Un grande filosofo cattolico, Augusto Del Noce, aveva intuito, già attorno al 1980, che il Pci, con il collasso dei sistemi comunisti e il crollo delle ideologie storiche si sarebbe trasformato – al seguito della tecnocrazia capitalista – in un “partito radicale di massa” e avrebbe sostituito le battaglie sui diritti sociali dei lavoratori con quelle sui cosiddetti “diritti civili” relativi ai temi bio-etici (qualcosa di analogo aveva intuito e paventato anche Pier Paolo Pasolini).

In effetti il programma del Pd illustrato sabato da Enrico Letta sembra realizzare totalmente quella “profezia”. Infatti il segretario dem ha clamorosamente sostituito la fantomatica Agenda Draghi con l’Agenda Bonino: Ddl Zan, matrimonio egualitario, legge sul fine vita, “pieno riconoscimento dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne” (che significa aborto) e legalizzazione dell’autoproduzione della cannabis “per uso personale”. È il trionfo di Emma Bonino.

Ovviamente è una scelta del tutto legittima, anche se ci si chiede perché il Pd – che ha governato pressoché sempre – non abbia fatto negli anni passati queste leggi che promette di fare in futuro.

Ma – per chi analizza le proposte politiche – colpisce il fatto che il Pd, con la nuova Agenda Bonino, si ponga in contrapposizione “radicale” con il mondo cattolico e la Chiesa (a tutte quelle proposte si dovrebbero aggiungere pure la posizione bellicista del Pd sulla guerra in Ucraina e il sì all’aumento delle spese militari, un’idea che il Papa ha bocciato con estrema durezza, come ha fatto, peraltro, con temi etici come l’aborto).

Dunque ci si aspettava ieri una reazione del quotidiano dei vescovi italiani, ma “Avvenire” non ha espresso nessuna critica, nemmeno flebile. Non ha fatto nessuna riflessione su tali proposte.

È evidente, per chi segue il giornale episcopale, la sua preferenza per la Sinistra. Tuttavia su temi etici fondamentali come quelli enunciati in genere prende posizione. Ieri, sulle proposte di Letta, no.

Non si sa se si pronuncerà nei prossimi giorni, ma ieri ha descritto il programma del Pd solo con cronache asettiche che non contenevano nessun giudizio critico. In sostanza ad “Avvenire”, davanti alla svolta radicale del Pd, non hanno fatto una piega.

In compenso però ieri il giornale della Cei ha ritenuto di attaccare Matteo Salvini e la Lega per l’inizio della campagna elettorale con lo slogan “Credo”. Naturalmente si possono fare tutte le critiche che si vogliono a quello slogan (a parere di chi scrive, per esempio, è astruso), ma non si vede perché dovrebbe irritare il giornale dei vescovi che è imperturbabile davanti alle bandiere ideologiche sventolate da Letta.

Oltretutto nel testo leghista – per non urtare la suscettibilità di nessuno – si parla chiaramente di “atto di fede laica nella bella politica e nel bello della democrazia”.

Salvini ha spiegato lo slogan così: “credo in chi ha la forza di rialzarsi, in chi non molla mai… credo nell’Italia, credo negli italiani, credo nella libertà, nella lealtà e nell’onestà, in un futuro migliore per i nostri figli…”.

E ancora: “credo in un fisco equo, credo in città sicure, credo in pensioni dignitose, credo che tutti gli italiani vadano tutelati, a partire dai più fragili. Nel valore del rispetto e dei doveri, che danno senso ai diritti. Nella Giustizia giusta e nella certezza della pena. In una sanità che non lasci indietro nessuno. In una scuola che prepari davvero al lavoro…”.

Condivisibili o no sono le idee e le proposte della Lega. Ma ad “Avvenire” non digeriscono l’uso della parola “credo” e ieri è uscito un commento in cui il teologo Giuseppe Lorizio – pur riconoscendo che nel testo leghista “si afferma che si tratta di una ‘fede laica’”, cioè di proposte politiche e non di religione – ha fatto una requisitoria indispettitasull’uso della parola “credo”. Evidentemente bisogna chiedere il permesso ad “Avvenire” pure per dire “credo nella libertà”.

Alla fine Lorizio evoca addirittura il “Racconto dell’Anticristo” di Vladimir Solov’ëv, pur non indicando alcun nesso logico fra lo slogan della Lega e il testo dello scrittore russo.

L’invito finale del teologo di “Avvenire” a “evitare ogni possibile deriva populista” farebbe sospettare un qualche suggestivo accostamento fra l’Anticristo e Salvini, ma l’idea è così risibile che neanche Lorizio la formula esplicitamente.

Però – evocando il “Racconto dell’Anticristo” di Solov’ëv per criticare la Lega salviniana – “Avvenire” ha fatto un autogol. Perché – com’è noto – la figura anticristica che domina quel racconto ha uno spiccato connotato “progressista”.

Nel mondo cattolico si ricorda bene che quelle pagine di Solov’ëv  – lanciate dal “Sabato” nel 1988 contro l’umanitarismo progressista – diventarono un classico nella Chiesa di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, a cui si aggiunse “Il padrone del mondo” di Robert Benson spesso citato da papa Francesco.

Sia “Il racconto dell’Anticristo” di Solov’ëv (pubblicato nel 1900) che “Il padrone del mondo” di Benson (del 1907) collocano temporalmente i loro romanzi attorno all’anno 2000. Fra le tante analogie ricordo che l’Imperatore/Anticristo di Solov’ëv viene eletto presidente degli Stati Uniti d’Europa e anche Julian Felsenburgh, che è l’Anticristo di Benson, diventa presidente dell’Europa. Insomma due convinti europeisti.

Il racconto di Solov’ëv fu riproposto dall’allora card. Ratzinger e dal card. Biffi che addirittura lo analizzò negli esercizi spirituali alla Curia romana del 2007, descrivendo l’Anticristo come un campione dell’ideologia umanitarista, filantropica, ecologista, egualitaria ed ecumenica.

Insomma – come insegnava Biffi – quel pericoloso imperatore, col suo acclamato totalitarismo “buonista” e “illuminato”, dovrebbe suggerire ad “Avvenire” accostamenti politici diversi. Più progressisti.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 14 agosto 2022