“La mia parrocchia è divorata dalla noia. Come tante altre parrocchie! La noia le divora sotto i nostri occhi”.

SENZA AVVENIRE

Viene in mente questa pagina del Diario di un curato di campagna di Georges Bernanos quando si sfoglia il giornale della Cei, Avvenire, ormai simile al Manifesto, una barchetta alla deriva nell’oceano dell’insignificanza, tra il Pd e il partitino di Bonelli e Fratoianni. Il sol dell’Avvenire al tramonto.

Di recente si è svolto sulle sue pagine un dibattito sulla “cultura cattolica”. Come diceva Giovanni Testori, in assenza di battiti fanno dibattiti. Tuttavia poteva essere un sussulto di vita. Sarebbe stato utile se si fosse concluso con un’autocritica severa ed esplicita (a cominciare dalla discussione sulla Chiesa durante la pandemia).

Ma la conclusione finale che ne è emersa – non c’è più cultura cattolica – è stata applicata in generale ai cattolici: in realtà riguarda loro, il catto-progressismo, monopolista dell’establishment clericale, ma irrilevante e sterile perché da sempre subalterno alle ideologie dominanti. Per questo non genera cultura.

Altrove, pur essendo un momento storico cupo, si trovano fede e cultura. Nell’arcipelago cattolico mondiale ci sono isole (magari emarginate o ignorate dall’establishment clericale) di pensiero e creatività, di intelligenza della realtà, letteratura, amore per la tradizione cristiana e molto altro.

Nel catto-progressismo no. Anche la teologia della liberazione, in Sud America, è diventata marginale e irrilevante, ormai una cosa per pochi anziani.

IL BANAL GRANDE

Qua da noi il catto-progressismo è una chiacchiera sociologica superficiale che ripete i luoghi comuni già cucinati ogni giorno da Repubblica. Non ha nessuna originalità di accento perché non ha l’evento di Cristo come sorgente del giudizio, quindi non ha capacità attrattiva. I catto-progressisti hanno una sola preoccupazione: non andare mai contro l’ideologia dominante, i suoi dogmi e i suoi slogan.

Il card. Robert Sarah li ha raffigurati così: “Sono paralizzati dall’idea di opporsi al mondo. Sognano di essere amati dal mondo; hanno perso il desiderio di essere un segno di contraddizione”. In effetti bramano gli elogi di Repubblica che applaude la loro conformità alla linea. Mentre dovrebbero preoccuparsene e dolersene.

Oggi più che mai sui cattolici incombono le parole di Gesù: “Voi siete il sale della terra; ma, se il sale diventa insipido, con che lo si salerà? Non è più buono a nulla” (Mt 5,13). Anche papa Francesco ha detto: “Un cristiano senza coraggio, che non dà fastidio a nessuno, è un cristiano inutile”.

Certo, bisogna testimoniare l’Amore, ma dicendo la verità come i santi e i martiri. Nel romanzo di Bernanos uno dei protagonisti dice: “una cristianità non è un uomo che si nutre di marmellata. Il buon Dio non ha scritto che noi fossimo il miele della terra, ragazzo mio, ma il sale. Ora, il nostro povero mondo somiglia al vecchio padre Giobbe sul suo letame, pieno di piaghe e di ulcere. Il sale su una pelle a vivo brucia. Ma le impedisce anche di marcire (…). La vostra mania è d’essere amati, amati per voi stessi, s’intende. Un vero prete non è mai amato, ricorda”.

Del resto una cosa caratterizza il deserto culturale catto-progressista: l’estraneità all’oceano di bellezza che per duemila anni ha accompagnato il fiorire della cristianità, specialmente in Italia. Sono estranei a secoli di cultura cristiana. Non amano la bellezza (come si vede dalle chiese moderne). Ma sulla “via pulchritudinis” si incontra Gesù Cristo.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 31 maggio 2024

 

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