Dopo quattro mesi di guerra, il 21 giugno il Parlamento italiano potrà finalmente discutere sul conflitto Russia/Ucraina, in cui siamo stati “coinvolti” nostro malgrado, e così fornirà al governo la linea politica da tenere.

Per la verità il presidente del Consiglio finora ne ha fatto volentieri a meno, perché ha definito lui tale linea facendosi bastare la ratifica parlamentare del decreto governativo con cui, appena scoppiata la guerra, furono decisi i primi aiuti all’Ucraina.

Draghi ha pure evitato di andare in Parlamento prima del viaggio a Washington, nonostante le richieste di alcuni partiti della maggioranza. E in seguito ha ignorato gli inviti del maggior partito della coalizione, il M5S, a venire in aula a discutere sui nuovi invii di armi. Continua

Con la guerra in Ucraina d’improvviso nei talk show e sui giornali è apparso un particolare tipo umano che impartisce lezioni a tutti: uno che era comunista al tempo dell’Urss (compagno del Pci o della sinistra extraparlamentare) e oggi sfoggia un atlantismo fervoroso e luccicante come un F-35.

Questi neo-atlantisti, dopo la piroetta da Est a Ovest, pretendono pure di insegnare l’atlantismo a chi è sempre stato anticomunista e dalla parte dell’Occidente. Inoltre sono i più zelanti cacciatori di presunti “putiniani” che vedono dappertutto, un po’ come negli anni Settanta i compagni accusavano di “fascismo” chiunque osasse dissentire da loro.

Di recente, in un talk show, Federico Rampini ha testualmente affermato: “negli anni Settanta non c’erano così tanti filorussi come oggi”.

Dove Rampini veda oggi tutti questi filorussi che vorrebbero vivere sotto Putin è un mistero. Ma ancora più misterioso è il fatto che non abbia visto le masse che negli anni Settanta sventolavano la bandiera rossa, applaudivano i compagni rivoluzionari di ogni latitudine e acclamavano i regimi comunisti (in quel decennio il Pci stava sul 30-35 per cento ed eravamo invasi dai gruppi extraparlamentari di sinistra). Continua

Le dichiarazioni di Berlusconi sulla guerra in Ucraina hanno fatto infuriare il “partito della guerra”, soprattutto perché è storicamente impossibile contestare l’atlantismo del Cavaliere.

Eppure ci hanno provato certi (autonominati) paladini dell’ortodossia atlantica che (com’è ovvio) arrivano tutti da sinistra.

Anzitutto Paolo Mieli (viene dal ’68 e da Potere operaio) che ieri ha addirittura assimilato Berlusconi ai “Partigiani della pace” del tempo di Togliatti (Berlusconi comunista?) in un editoriale sul “Corriere della sera”, diretto da Luciano Fontana, già capo dell’ufficio centrale dell’Unitàdi Veltroni, il quale Fontana, sempre ieri, ha sparato contro “quei politici molto comprensivi verso Putin” (ma è stato Macron a dichiarare che se si vuole la pace è meglio “non umiliare la Russia”).

Poi c’è Giuliano Ferrara, nato nell’élite comunista, che è stato sessantottino e dirigente del Pci. Sul “Foglio” dell’atlantismo dogmatico c’è pure Adriano Sofri – che fu capo e simbolo di “Lotta Continua” – di cui ieri è stata ripubblicata un’intervista a Pannella contro il pacifismo. Continua

Ieri Carlo De Benedetti – che si definì “la tessera numero 1 del Pd” – con un’intervista al “Corriere della sera” ha annichilito il Pd: la “linea Letta” sulla guerra in Ucraina è stata demolita, polverizzata.

La voce di De Benedetti non è importante solo per ciò che rappresenta come imprenditore. Anni fa Walter Veltroni (allora segretario del Pd) spiegava la battuta sulla “tessera n. 1” con il fatto che “i giornali di De Benedetti hanno avuto un ruolo molto importante nell’evoluzione della sinistra italiana. Ricordo quando, ai tempi del crollo del Muro e della trasformazione del Pci, coltivavamo con Scalfari il sogno di un partito che un giorno potesse unire i riformismi italiani. Quella spinta verso l’innovazione è stata la bussola della storia di De Benedetti editore”.

Dunque per la sua storia la voce dell’Ingegnere pesa molto e oggi abbatte la narrazione dominante del Pd. Già a fine marzo, a “Otto e mezzo”, aveva rifiutato la retorica bellicista esprimendosi contro l’aumento delle spese militari (deciso pressoché all’unanimità da governo e parlamento) e affermando che “questa guerra avrà conseguenze inenarrabili: anzitutto un enorme problema di fame nel mondo, uno shock energetico simile allo shock petrolifero del 1973 (che generò una recessione di anni), quindi recessione e crollo delle Borse”.

Un quadro apocalittico che già confutava gli “esportatori di democrazia” atlantisti pronti ad abbracciare l’idea di Biden di una guerra infinita che serve a logorare e abbattere Putin. Nell’intervista di ieri De Benedetti fa un’autentica lezione di politica al “partito della guerra”.

Anzitutto annuncia l’arrivo di masse enormi di affamati ora che la prospettiva della carestia planetaria, per il collasso del granaio del mondo e il blocco delle navi cariche di grano, si sta realizzando nei fatti. Continua

L’analisi più intelligente e realista, per capire la tragedia in corso fra Russia e Ucraina è uno straordinario articolo di Henry Kissinger, To settle the Ukraine crisis, start at the end, pubblicato sul Washington Post il 5 marzo del 2014 (eccolo QUI tradotto dal blog di Massimo Borghesi). Alla luce degli ultimi eventi questa analisi è ancora più attuale. E non a caso lo stesso Kissinger cita positivamente il pensiero di Solzenicyn, sulla vicenda Russia/Ucraina.

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Oggi tutti siamo sconcertati dalla drammatica scelta bellica della Russia e ci chiediamo cos’ha in mente Putin. Eppure, quando arrivò al potere, nel 1999, tese la mano all’Occidente, ipotizzando perfino l’adesione alla Nato. Ci fu l’accordo di Pratica di Mare con Bush, propiziato da Berlusconi, nel 2002, e l’ingresso della Russia nel G7.

Ma subito dopo gli Usa chiusero quella porta e capovolsero l’atteggiamento verso la Russia. Perché?

Anche una personalità di grande statura morale come il Premio Nobel Aleksandr Solzenicyn (1918-2008), provò a farci capire il tragico errore dell’Occidente. Basta leggere il suo libro “Ritorno in Russia. Discorsi e conversazioni 1994-2008” (Marsilio). Continua

Ormai da mesi, certi media – a proposito della crisi Ucraina – hanno calzato l’elmetto e suonano la fanfara contro l’“espansionismo russo” che la Nato – a loro dire – dovrebbe contrastare.

In realtà se si guarda una cartina geografica si vede che ad essersi allargata smisuratamente in Europa, dagli anni Novanta, è la Nato, non la Russia (che non è più neanche Urss, ma si è ridotta appunto alla sola Russia).

Infatti sono passate dal Patto di Varsavia (che non esiste più) alla Nato: Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria nel 1999, poi nel 2004 Bulgaria, Slovacchia, Romania, Slovenia e perfino Estonia, Lettonia e Lituaniache facevano addirittura parte dell’Urss; infine Croazia nel 2009, Montenegro nel 2017 e Macedonia del Nord nel 2020. Anche l’Albania – che non era nel Patto di Varsavia perché filocinese – c’è entrata nel 2009. Continua

E’ in corso la demonizzazione di Matteo Salvini. Tutto fa brodo per trasformarlo in una terribile minaccia per la civiltà, come un Gengis Khan redivivo. Perfino il giubbotto del leader leghista secondo “Repubblica” è inquietante e di destra.

Ieri poi Yascha Mounk, sulla prima pagina di “Repubblica”, per la possibile alleanza Lega-M5S ha pacatamente evocato il patto Hitler-Stalin. Un sobrio paragone storico. Manca solo che accostino Salvini a Jack lo Squartatore o a Vlad III principe di Valacchia (in arte Dracula).

Del resto i giornali demonizzano chiunque, in Europa o in America, osi vincere le libere elezioni democratiche senza dire “signorsì!” all’establishment. La cui “polizia del pensiero” da noi è l’intellighentsia salottiera in genere proveniente dalla militanza marxista e rivoluzionaria.

Dopo aver osannato in gioventù regimi stomachevoli come quelli comunisti (senza mai aver fatto autocritica), oggi fa gli esami di affidabilità democratica e di civiltà agli altri. Continua

L’euro in sé è un affare (come fu promesso) o una maledizione (come oggi appare)? Ci sono contrapposte opinioni. Ma parlano i fatti invece su come la moneta unica è stata concretamente realizzata e gestita.

Il professor Mario Baldassarri, col suo Centro studi Economia reale, ha calcolato quanto ci è costata la politica della Banca centrale europea guidata – dal 2003 – da Jean-Claude Trichet in base ai diktat teutonici della Bundesbank, quelli che vogliono l’euro come un super-marco.

I NUMERI

Ebbene, “all’intera eurozona la super moneta unica è costata dal 2003 al 2014 l’11% di Pil in meno e 18 milioni di disoccupati in più. A questo si aggiunge il costo della stupidità di Maastricht, che ha spinto tutti i governi a cercare di azzerare il deficit aumentando tasse e tagliando investimenti. Qui abbiamo perso altri 8 milioni di occupati e il 5% di Pil”. Continua