DUE TIPI OPPOSTI DI ATLANTISMI E DI EUROPEISMI: QUELLI DEL CENTRODESTRA E QUELLI DEL PD. ECCO LA DIFFERENZA…
Le dichiarazioni di Berlusconi sulla guerra in Ucraina hanno fatto infuriare il “partito della guerra”, soprattutto perché è storicamente impossibile contestare l’atlantismo del Cavaliere.
Eppure ci hanno provato certi (autonominati) paladini dell’ortodossia atlantica che (com’è ovvio) arrivano tutti da sinistra.
Anzitutto Paolo Mieli (viene dal ’68 e da Potere operaio) che ieri ha addirittura assimilato Berlusconi ai “Partigiani della pace” del tempo di Togliatti (Berlusconi comunista?) in un editoriale sul “Corriere della sera”, diretto da Luciano Fontana, già capo dell’ufficio centrale dell’Unitàdi Veltroni, il quale Fontana, sempre ieri, ha sparato contro “quei politici molto comprensivi verso Putin” (ma è stato Macron a dichiarare che se si vuole la pace è meglio “non umiliare la Russia”).
Poi c’è Giuliano Ferrara, nato nell’élite comunista, che è stato sessantottino e dirigente del Pci. Sul “Foglio” dell’atlantismo dogmatico c’è pure Adriano Sofri – che fu capo e simbolo di “Lotta Continua” – di cui ieri è stata ripubblicata un’intervista a Pannella contro il pacifismo.
Peraltro Sofri giorni fa c’informava sul segretario della Nato Soltenberg(criticato da Berlusconi per il suo atteggiamento incendiario sulla guerra in Ucraina): “il giovane Stoltenberg” scrive Sofri “si era fatto le ossa manifestando contro gli yankee per il Vietnam. Da responsabile Nato è stato ligio alla versione americana”.
Insomma è la generazione del ‘68 che assordò l’Occidente gridando contro gli odiati yankee. La corte giudicante di Mieli, Fontana e Ferraraieri ha preteso di contestare l’atlantismo di uno come Berlusconi che (come ripete da decenni) era anticomunista e atlantista da quando con i pantaloni corti attaccava i manifesti della Dc nel 1948. Peraltro resta, nella loro prosa, l’inconfondibile tendenza alla scomunica tipica della storia comunista e del ‘68.
In particolare colpisce Ferrara che, sul “Foglio”, ha sfoderato il vocabolario dei tempi di Togliatti scrivendo che “a Berlusconi Napoli fa male, gli dà letteralmente alla testa, lo rimbecillisce”.
Ferrara dimentica (e con lui qualche ministro di Forza Italia ormai transitato in “Forza Draghi”) che Berlusconi ha sempre pensato e detto ciò che venerdì ha esternato a Napoli. Lo testimonia l’articolo scritto per il Corriere della sera il 9 maggio 2015che va riletto alla luce di ciò che sta accadendo oggi.
Il Cavaliere osservava che “l’assenza dei leader occidentali alle celebrazioni a Mosca per il settantesimo anniversario della Seconda guerra mondiale è la dimostrazione di una miopia dell’Occidente che lascia amareggiato chi, come me, da presidente del Consiglio ha operato incessantemente per riportare la Russia, dopo decenni di Guerra fredda, a far parte dell’Occidente”.
A suo avviso fu “prima di tutto una mancanza di rispetto al contributo decisivo della Russia alla vittoria su Hitler nel 1945” e il Corriere stesso, allora, lo sottolineò.
Berlusconi scriveva: “Quello che stiamo commettendo è un errore di prospettiva. Quella tribuna sulla piazza Rossa, sulla quale di fianco a Putin siederanno il Presidente cinese, il Presidente indiano, gli altri leader dell’Asia, non certificherà l’isolamento della Russia, certificherà il fallimento dell’Occidente”.
Il Cavaliere sottolineava pure il danno economico delle sanzioni per le aziende italiane ed europee e aggiungeva che “costringere la Russia ad isolarsi” e “costringerla a scegliere l’Asia e non l’Europa” era una “prospettiva strategica” disastrosa. “Crediamo che questo renderà il mondo un luogo più sicuro, più libero, più prospero?”
I fatti hanno dimostrato che i suoi timori erano fondatissimi. In quel 2015 indicava il pericolo rappresentato dalle “potenze emergenti dell’Asia” e la minaccia “politica e militare dell’integralismo islamico. Per sostenere queste sfide” scriveva “è fondamentale avere la Russia dalla nostra parte” essendo oltretutto “un grande paese europeo. Perché allora isolare Putin? Perché costringerlo ad alzare i toni della sfida con l’Occidente?”.
Berlusconi riconosceva che “con la Russia ci sono delle serie questioni aperte. Per esempio la crisi ucraina. Ma sono problemi che è ridicolo pensare di risolvere senza o contro Mosca. Anche perché in Ucraina coesistono due ragioni altrettanto legittime, quelle del governo di Kiev e quelle della popolazione di lingua, cultura e sentimenti russi. Si tratta di trovare un compromesso sostenibile fra queste ragioni, con Mosca e non contro Mosca”.
Erano le stesse cose che in quei mesi scriveva Henry Kissinger sul “Washington Post” e che si sono rivelate purtroppo profetiche. Anche lui va accusato di “putinismo”?
Oggi il “partito dei giornali” insorge contro Berlusconi e pretende di farlo passare per “anti americano”, tentando poi di cooptare Giorgia Meloni accanto al Pd, da contrapporre a un presunto asse anti-americano di Berlusconi, Salvini e Conte.
Stefano Folli, dopo aver incoronato Enrico Letta come “atlantista ed europeista” modello, gli affianca la Meloni che giudica “euro-atlantica molto vicina a Draghi”.
Ma la realtà è molto diversa. Oggi si confrontano due tipi di atlantismi e di europeismi. Il centrodestra nel suo insieme professa un atlantismo e un europeismo che vogliono essere “a schiena dritta” (come dicono Meloni e Salvini) o “da protagonisti” (come dice Berlusconi).
Il Pd invece – secondo il centrodestra – ha sempre incarnato la sudditanza a UE e Nato, la sottomissione ai voleri di Bruxelles e Washington, salatamente pagata dall’Italia.
In una conferenza stampa di qualche giorno fa, proprio la Meloni ha sottolineato che aderire convintamente alla Nato non significa essere “inginocchiati” e non poter fare “critiche agli americani”.
Poi ha fatto un piccolo errore storico sostenendo che il Msi “ha dal 1948 la stessa posizione filoatlantica” e nel Msi mai è stata “messa in discussione l’adesione alla Nato”. Qui sbaglia perché il Msi nel 1949 votò contro l’adesione alla Nato. Ma di certo ha espresso con chiarezza la posizione “atlantica-non inginocchiata” del centrodestra che anche Salvini professa.
Berlusconi ha dato concretezza storica a questa politica del centrodestra nel 2002 con il Trattato di Pratica di mare e in questi giorni è tornato sulla scena a ribadirla con inattesa energia, anche perché ha il consenso della maggioranza degli italiani. Se il centrodestra è compatto su questa sua identità alle prossime elezioni può vincere.
Antonio Socci
Da “Libero”, 24 maggio 202