Ormai da mesi, certi media – a proposito della crisi Ucraina – hanno calzato l’elmetto e suonano la fanfara contro l’“espansionismo russo” che la Nato – a loro dire – dovrebbe contrastare.

In realtà se si guarda una cartina geografica si vede che ad essersi allargata smisuratamente in Europa, dagli anni Novanta, è la Nato, non la Russia (che non è più neanche Urss, ma si è ridotta appunto alla sola Russia).

Infatti sono passate dal Patto di Varsavia (che non esiste più) alla Nato: Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria nel 1999, poi nel 2004 Bulgaria, Slovacchia, Romania, Slovenia e perfino Estonia, Lettonia e Lituaniache facevano addirittura parte dell’Urss; infine Croazia nel 2009, Montenegro nel 2017 e Macedonia del Nord nel 2020. Anche l’Albania – che non era nel Patto di Varsavia perché filocinese – c’è entrata nel 2009.

Oltretutto gli “atlantisti con l’elmetto” di oggi “fingono di dimenticare” come ha scritto Barbara Spinelli sul Fatto quotidiano “che l’unificazione della Germania e lo scioglimento del Patto di Varsavia furono ottenuti grazie a una promessa che Bush padre e i leader europei (Kohl, Genscher, Mitterrand, Thatcher) fecero a Gorbaciov nel 1990: la Nato non si sarebbe estesa ‘nemmeno di un pollice’ ad Est, garantì il Segretario di Stato, James Baker. Avrebbe rispettato l’antico bisogno russo di non avere vicini armati ai propri confini. Un bisogno speculare a quello statunitense, come si vide nella crisi di Cuba del 1962”.

Abbiamo visto com’è stato rispettato quell’impegno. Inoltre Stati Uniti e Gran Bretagna, scrive la Spinelli, “hanno imposto il riarmo dell’Est europeo” e “si sono immischiate nelle rivoluzioni colorate in Georgia e poi Ucraina, e ora inviano ulteriori massicci aiuti militari a Kiev”.

Se anche l’Ucraina, come prospettato, aderisse alla Nato, la Russia si troverebbe con i missili sotto casa senza più possibilità di difesa, uno squilibrio pericolosissimo per la pace mondiale.

Non c’è bisogno di avere simpatie per Putin – basta voler evitare la guerra in Europa (con tutte le conseguenze economiche disastrose, anche delle sole sanzioni) – per capire che bisogna fermarsi.

Perfino su “Foreign Affairs” – la rivista legata al Council of Foreign Relations, al di sopra di ogni sospetto – lo storico Michael Kimmage ha scritto: “E’ ora che la Nato chiuda le sue porte”. Aggiungendo che “non è adatta all’Europa del 21° secolo” ed è “troppo grande, troppo poco definita e troppo provocatoria per il suo stesso bene”.

Secondo la Spinelli “forse sarebbe l’ora di dire che la Nato perde senso, essendosi sciolto il Patto di Varsavia” e che “l’ascesa della Cina a potenza globale richiede politiche nuove, multipolari”. Ma “discuterne è impossibile in Italia” riconosce la Spinelli, perché “c’è il copione e se te ne discosti sei un appestato sovranista”.

Lo si è visto nelle settimane scorse, quando – è sempre la Spinelli che lo dice – “è bastato che Franco Frattini dicesse alcune cose sensate sulla crisi ucraina e sulla russofobia regnante in Occidente, perché il suo nome – suggerito fugacemente da Conte e Salvini – scomparisse come per magia da tutte le rose dei candidati” al Quirinale.

Eppure Frattini (già ministro degli Esteri) è da sempre noto come atlantista, tanto che nell’ottobre 2013 è stato addirittura candidato a Segretario generale dell’alleanza atlantica: “Una candidatura” scriveva l’HuffPost “che gode sia del sostegno del governo italiano (Monti prima, Letta ora), che – si dice tra i corridoi di Bruxelles – di quello del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano”.

Se un politico di centrodestra si discosta dalla russofobia dogmatica viene subito messo all’indice. Romano Prodi nel recente passato si è schierato per togliere le sanzioni alla Russia (criticate pure da D’Alema), ma guai se lo fa un politico di centrodestra.

Pierluigi Castagnetti, che è assai vicino al presidente Mattarella, un mese fa ha scritto in un tweet: Forse è ora di dire che la pretesa russa che l’Ucraina non entri nella Nato ha qualche senso”.

Se lo avesse scritto Salvini sarebbe finito nelle polemiche. Infatti è bastato che, una settimana fa, invitasse a dialogare con Mosca per risolvere la crisi ucraina perché “Repubblica” gli dedicasse polemicamente l’apertura del giornale: “Kiev, Salvini apre a Mosca”.

Eppure ad “aprire a Mosca”, andando a parlare con Putin a nome dell’Europa, nelle stesse ore, era il presidente francese Macron che dichiarava: “Cominciamo a costruire una risposta utile per la Russia, utile per tutta la nostra Europa, una risposta che permetta di evitare la guerra, di costruire gli elementi di fiducia e stabilità”.

È sospetto di russofilia pure Macron, secondo “Repubblica”, specialista nella caccia ai “filo russi” con gli altri giornaloni?

Si sono espressi a favore del dialogo con la Russia pure il Papa e Valerie Pécresse (candidata gollista alle presidenziali francesi). E il cancellliere tedesco Scholz è prudente. “Anche il papa, Scholz e Valerie Pécresse sono ‘filo-russi’?”, si è chiesto Il Fatto quotidiano. Perché sui giornaloni domina il dogmatismo e fioccano le scomuniche? Il bellicismo russofobo non fa l’interesse dell’occidente.

Lucio Caracciolo, fondatore di “Limes” (gruppo editoriale Repubblica/La Stampa) e acuto analista di geopolitica, ha spiegato, proprio sulla “Stampa”: “Nel 2014 gli Stati Uniti spinsero la Russia nelle braccia della Cina appoggiando il rovesciamento del regime ucraino, considerato marionetta del Cremlino, e stroncando la mediazione franco-tedesca. In questo modo riuscirono a costruire un’improbabile, ma effettiva coppia sino-russa, a tutto vantaggio della Cina. Mettere insieme il Numero Due e il Numero Tre non è esattamente il compito del Numero Uno. Eppure è accaduto e resta un fatto… rafforzare il proprio avversario principale (Pechino) offrendogli le notevoli risorse militari, energetiche e tecnologiche dell’avversario secondario (Mosca) non è mossa da manuale”.

Sergio Romano, già ambasciatore a Mosca ed editorialista del “Corriere della sera”, sostiene che “gli Stati Uniti hanno bisogno di un grande nemico perché il nemico giustifica la loro politica delle armi, la loro industria delle armi… si ha bisogno di una crisi permanente, l’Ucraina come crisi permanente”.

Ma è anche l’attuale crollo di Biden nei sondaggi a indurre oggi la Casa Bianca ad alimentare la tensione Ucraina/Russia per distrarre la propria opinione pubblica. Tuttavia la crisi permanente e le sanzioni (per non dire della guerra) hanno costi economici colossali, pure per l’Italia (lo vediamo sulla bolletta). E non è una politica lungimirante per gli Usa.

Bisognerebbe invece sviluppare la strategia dell’incontro di Pratica di Mare, del 2002, quando – ospiti del premier italiano BerlusconiBush e Putin sottoscrissero uno storico documento di collaborazione fra Nato e Russia che (prendendo atto della fine del comunismo in Russia) doveva mettere fine alla guerra fredda, ai blocchi contrapposti e alla minaccia nucleare in Europa, aiutando pure lo sviluppo della democrazia ad Est. Quella strada fu abbandonata dagli Stati Uniti, ma resta l’unica via saggia da seguire.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 13 febbraio 2022

 

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