L’altroieri l’Huffington post ha titolato: “Nel suk per Conte si muovono pure i cardinali”. L’articolo parlava del grande impegno dei prelati per indurre parlamentari “centristi” a puntellare le traballanti poltrone del governo Conte (attivismo non proprio attinente i compiti della Chiesa e che pare sia stato respinto dall’Udc).

Ammesso e non concesso che si possa prescindere dalla laicità dello Stato, che un tempo la Sinistra invocava per imbavagliare la Chiesa su temi etici e che qui viene tranquillamente messa sotto i piedi, due questioni sconcertano.

La prima: il fatto che cardinali e vescovi si preoccupino del possibile crollo delle poltrone ministeriali, mentre il Paese crolla dal punto di vista economico-sanitario. Dopo un anno di pieni poteri del governo Conte siamo fra i peggiori paesi del G20 per numero di morti e disastro economico: un risultato tanto catastrofico che l’esecutivo, con un minimo di sensibilità, avrebbe dovuto dimettersi di sua iniziativa per fallimento. Continua

Il presepe allestito quest’anno in piazza San Pietro fa discutere. Non pochi, del popolo cristiano, lo trovano “brutto”, intendendo dire, con ciò, che in un presepio con quelle figurazioni stravaganti (o extraterrestri) c’è qualcosa che non va.

Si dirà che è un giudizio soggettivo. Ma “vox populi, vox Dei”. Sostenere – da parte vaticana – che ognuno ha i suoi gusti, non è una risposta accettabile, in questo caso, perché non siamo in una galleria di arte moderna o a una mostra d’avanguardia.

Non si discute il valore artigianale dei manufatti e l’abilità degli autori (che si può ben riconoscere), ma la scelta del Vaticano. Il presepio della piazza San Pietro è in un contesto religioso, ha lo scopo di richiamare la venerazione dei fedeli per la nascita del Redentore, dunque deve rispondere a un codice liturgico, deve stare in una tradizione iconografica cristiana che per secoli – da Giotto ai popolari presepi napoletani – ha sempre reso riconoscibile, al popolo, il racconto evangelico del Natale di Gesù. E in questo caso non è affatto chiaro. Continua

A 96 anni Eugenio Scalfari continua ad elargire all’umanità le sue perle di saggezza. E pare che voglia proseguire a lungo perché si preoccupa per il sole che fra 5 miliardi di anni si spegnerà.

Infatti, spaziando dalla filosofia alla letteratura, dalla politica alla teologia, gli capita spesso di concludere con l’allarme perché “il Sole – la nostra stella portante – sta invecchiando” e, anche se “ci vorranno millenni per vedere un sole ombroso”, lui, Scalfari, è preoccupato. Evidentemente prevede di esser presente allo spiacevole evento e già riflette sul da farsi.

Ieri però ha evitato il solito finale sul sole e, dopo aver scritto del rapporto fra Benedetto XVI e papa Bergoglio, a sorpresa, ha concluso così: “Questo è il futuro, e non ci dimentichiamo le particelle elementari che ruotano intorno al principe di Salina. Speriamo bene”. Continua

Proprio stamani Bergoglio ha annunciato la creazione di 13 nuovi cardinali (di cui 9 elettori). Sono tutti ultra bergogliani. La frettolosa scelta dei tempi, alla vigilia del voto Usa, è significativa: Trump è in forte rimonta e ora il Vaticano bergogliano teme fortemente che possa vincere ancora. A Trump Bergoglio, con tutto l’establishment globalista, ha dichiarato guerra totale. Se Trump dovesse davvero vincere, questo pontificato, già al tramonto, sarebbe di fatto finito, essendosi schiacciato sulla Cina e totalmente screditato. Nello spot elettorale pro Biden di cui parlo nell’articolo, proprio sul finale, viene lanciato platealmente il card. Tagle come colui che Bergoglio vuole come suo successore. Tutto è esplicito. Con i nuovi cardinali Bergoglio vuole assicurarsi il risultato del prossimo Conclave.

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Il docufilm “Francesco” ha fatto enorme clamore per il “sì” papale alle unioni civili per le coppie gay. Ma era questo era lo scopo principale?

Non proprio. Di sicuro era intenzione del Vaticano dare il massimo risalto a questo prodotto. Infatti mercoledì scorso, prima dell’Udienza generale, papa Bergoglio ha ricevuto – con tanto di fotografi – il regista Evgeny Afineevsky e i suoi collaboratori “dando così la sua benedizione al lavoro”, come scrive il “Fatto quotidiano”, in un clima di tale familiarità che il papa argentino ha addirittura offerto una torta al regista visto che era il suo compleanno. Continua

A Giuseppe Conte va riconosciuta una straordinaria capacità mimetica. Ieri, per esempio, al Festival dell’economia civile che si tiene a Firenze, ha fatto addirittura un’esternazione anticapitalista (e anti globalizzazione).

Se fosse intervenuto al forum di Cernobbio o all’assemblea di Confindustria o a Davos, probabilmente, avrebbe detto cose opposte ed è proprio per questa sua multiforme identità (per cui viene spesso rappresentato come lo Zelig della politica italiana) che riesce a rimanere a Palazzo Chigi con le più diverse coalizioni.

Ieri, in quel contesto, ha annunciato – nientemeno – che “il vecchio modo di intendere il capitalismo è al tramonto” e “l’economia di mercato sta cedendo il passo  a una nuova fase di mercato comunitaria”, qualunque cosa ciò voglia dire.

Naturalmente, a prendere sul serio il suo annuncio, a proposito del primato lapiriano del “lavoro” sul mercato, ci si dovrebbe aspettare che ne traesse le conseguenze buttando al macero le politiche tedesche di austerità fin qui imposte dalla Ue. Dovrebbe buttare al macero Maastricht che impone il primato del mercato e dei bilanci pubblici anziché del lavoro, producendo disoccupazione. Continua

Già Benedetto XVI cercò di fare pulizia nelle intricate e oscure questioni finanziarie del Vaticano e si ebbe la sensazione di un’impresa durissima ai limiti dell’impossibile, addirittura fino a suscitare in alcuni il dubbio che essa abbia influito nella “rinuncia” al pontificato.

Jorge Mario Bergoglio, nel 2013, fu eletto anche “per far pulizia nelle finanze del Vaticano”, come ha ricordato il cardinale George Pell. In effetti ci ha provato fin dall’inizio, ma questi sette anni sono stati un susseguirsi di tentativi e fallimenti. Anche qui con una serie di nomine, siluramenti, contraddizioni, errori e casi mai ben chiariti, fino a precipitare nel dramma di queste ore che ha investito uno dei principali collaboratori di papa Francesco: il cardinale Angelo Becciu, “licenziato” su due piedi dal pontefice per la gestione dei fondi del Vaticano. Lui che era – come scrive Matteo Matzuzzi – “il potentissimo cardinale, considerato più vicino e in confidenza con il Papa”.

E’ un caso tanto clamoroso – anche per i suoi possibili sviluppi – che ieri un giornale titolava: “La Chiesa è nel caos. Siamo al tutti contro tutti”. Continua

Mancano pochi giorni alla visita di Mike Pompeo in Vaticano, prevista per il 29 settembre, ma il Segretario di Stato americano ha già lanciato un avvertimento molto chiaro dalla prestigiosa rivista “First Things”.

Già nelle precedenti visite aveva spiegato al cardinale Parolin e a papa Bergoglio quanto era sbagliato l’accordo sottoscritto dalla Santa Sede col regime comunista di Pechino, perché danneggiava i cristiani cinesi e legittimava nel mondo una tirannia molto pericolosa (il Covid-19 è l’ennesimo esempio della sua perniciosità globale).

Ora quell’accordo provvisorio di due anni fa (rimasto peraltro segreto nei suoi contenuti) arriva a scadenza e il Vaticano è deciso a rinnovarlo nonostante il bilancio fallimentare di questi due anni.

Così il Segretario di Stato di Trump preme sul Vaticano perché si fermi e non rinnovi un così nefasto accordo. Su “First Things” spiega che, negli ultimi tempi, la situazione dei diritti umani in Cina è diventata ancora più grave soprattutto per i credenti. Continua

Sabato scorso “Avvenire” ha fatto un titolo quantomeno ambiguo sulla trasformazione della basilica di Santa Sofia in moschea: “Santa Sofia è di Erdogan”.

Il sottotitolo recitava: “Insorgono l’Onu, gli ortodossi, Usa, Ue e Atene”. Dall’elenco mancava clamorosamente l’istituzione che più avrebbe dovuto manifestare dolore e disappunto: la Santa Sede.

Un silenzio imbarazzante che – col passare delle ore – diventava sempre più insostenibile, perché rischiava di replicare l’analogo silenzio del papa di domenica scorsa su Hong Kong quando Bergoglio si è rifiutato di leggere, all’Angelus, un pensiero sulla repressione della libertà e dell’autonomia di Hong Kong da parte del regime comunista cinese.

Oltretutto con la replica di un altro silenzio papale, stavolta relativo all’Italia, cioè alla controversa legge sull’omofobia, in discussione al Parlamento, che – secondo vescovi, sacerdoti e laici – minaccia gravemente la libertà di insegnamento della Chiesa. Anche su questo il papa – sempre così interventista nella politica italiana – sta osservando il più rigoroso silenzio (pur essendosi pronunciato più volte, in passato, su questi temi). Continua

Quali sono i veri contenuti del patto – tuttora segreto – fra Vaticano e regime comunista cinese? E perché, dopo due anni, viene ancora nascosto? Cosa c’è da nascondere? La domanda è sempre più scottante, anche perché domenica si è verificato un autentico giallo.

Il vaticanista Marco Tosatti, nel suo seguitissimo blog “Stilum curiae”, subito dopo l’Angelus, ha rivelato che nel bollettino distribuito ai giornalisti prima della preghiera del Papa, erano contenute anche alcune importanti parole sulla crisi di Hong Kong, dove il regime di Pechino sta definitivamente schiacciando la libertà e l’autonomia. Continua

C’è chi – anche in Vaticano – si pone con inquietudine una domanda: perfino il Papa, domani, potrebbe essere “inquisito” – in via di principio – in base alla legge, appena presentata in Parlamento, sull’omotransfobia? O potrebbero esserlo vescovi, preti e fedeli che ne riportano il magistero?

I promotori della legge sostengono che la libertà di parola non viene toccata (bontà loro), tuttavia gli oppositori sostengono che non è così. Secondo il sen. Quagliariello “quel Ddl prevede un reato di opinione… chi esprime un’opinione senza usare violenza e offendere può essere incriminato”. E il card. Ruini concorda con lui: “Questo è un tipico esempio di dittatura del relativismo”.

In effetti la fattispecie dei reati, in questo Ddl, è così generica che la critica – per esempio – al matrimonio omosessuale o alla teoria del genere o ad altre richieste Lgbt, potrebbe domani essere impugnata e giudicata come “discriminazione” o “istigazione all’odio”. Continua