L’altroieri l’Huffington post ha titolato: “Nel suk per Conte si muovono pure i cardinali”. L’articolo parlava del grande impegno dei prelati per indurre parlamentari “centristi” a puntellare le traballanti poltrone del governo Conte (attivismo non proprio attinente i compiti della Chiesa e che pare sia stato respinto dall’Udc).

Ammesso e non concesso che si possa prescindere dalla laicità dello Stato, che un tempo la Sinistra invocava per imbavagliare la Chiesa su temi etici e che qui viene tranquillamente messa sotto i piedi, due questioni sconcertano.

La prima: il fatto che cardinali e vescovi si preoccupino del possibile crollo delle poltrone ministeriali, mentre il Paese crolla dal punto di vista economico-sanitario. Dopo un anno di pieni poteri del governo Conte siamo fra i peggiori paesi del G20 per numero di morti e disastro economico: un risultato tanto catastrofico che l’esecutivo, con un minimo di sensibilità, avrebbe dovuto dimettersi di sua iniziativa per fallimento.

Ma soprattutto stupisce lo zelante soccorso del mondo ecclesiastico al governo più anticattolico della storia repubblicana. Che si possa definire così si desume dagli atti della stessa Cei. Tre esempi.

Il 26 aprile scorso, alla fine del lockdown, quando il governo varò le riaperture di alcune attività, ma non delle chiese, la Cei prese una posizione durissima accusando l’esecutivo (per la prima volta nella storia repubblicana) di mettere addirittura a rischio un fondamentale diritto costituzionale: “I Vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto”.

Il 10 giugno scorso poi, sempre la Cei, si espresse contro i testi di legge sull’omotransfobia sostenuti dai partiti di governo. La Cei manifestò la sua “preoccupazione” perché – disse – in quella materia “non si riscontra alcun vuoto normativo” e “un’eventuale introduzione di ulteriori norme incriminatrici rischierebbe di aprire a derive liberticide, per cui – più che sanzionare la discriminazione – si finirebbe col colpire l’espressione di una legittima opinione”.

La Chiesa ebbe un altro scontro, in agosto, con il ministro Speranza che aveva deciso un ampliamento dell’accesso all’aborto farmacologicosenza il ricovero, scelta che fu attaccata dal card. Bassetti, presidente della Cei (“una duplica sconfitta, per il concepito e per la stessa donna, lasciata ancor più a se stessa”), dalla Pontificia accademia per la vita e dall’Osservatore romano.

Dunque come si spiega oggi l’attivismo ecclesiastico a favore di questo stesso governo, così opposto alla Chiesa?

In realtà è papa Bergoglio ad essere un accesso sostenitore di Conte e del governo giallorosso ed è lui a “dare la linea”. Già prima dell’apertura formale della crisi, Bergoglio, intervistato dal Tg5, il 10 gennaio scorso, era incredibilmente entrato in campo: “In questo tempo non c’è il diritto di allontanarsi dall’unità. Si deve dire ‘Noi’ e cercare un’unita davanti alla crisi”.

Parole discutibili perché compito dei politici non è il “volemose bene”, ma governare bene il Paese: una classe politica “unita” nel governare male è una sciagura.

Del resto Bergoglio ha voluto discettare anche della politica statunitense, naturalmente contro Trump e facendo una lezione sulla democrazia. Nessuno, anche stavolta, ha ritenuto di parlare di “interferenza” essendo pronunciamenti a favore della Sinistra.

Però qualche giorno prima, sul “Corriere della sera”, lo storico liberale Ernesto Galli della Loggia aveva ricordato che proprio il papa ha un grosso problema con la democrazia.

E’ vero infatti che la Chiesa non può essere una democrazia perché Dio non si mette ai voti, “la democrazia però non è solo questione di voti. È anche — anzi soprattutto — una questione di diritti. Innanzi tutto” aggiungeva Della Loggia “di quei diritti della persona alla cui origine c’è il Cristianesimo e sui quali da decenni non a caso insiste in ogni occasione il magistero della Chiesa stessa. Ma allora la domanda ovvia che si pone è la seguente: come può essere compatibile con la tutela di tali diritti della persona il tipo di potere che esercita il Papa sul suo Stato e sull’istituzione ecclesiastica — un potere assoluto e incontrollato, arbitrario nel più vero senso della parola? Com’è compatibile ad esempio il diritto di ogni persona a conoscere le accuse che gli vengono mosse, a conoscerne i motivi, ad avere un giusto processo da parte di giudici indipendenti, con la sorte riservata al cardinale Becciu, il quale, spogliato dal Papa di alcune importanti prerogative legate alla sua carica senza nulla sapere dei motivi, in teoria aspetta giustizia — si noti il paradosso — da giudici nominati e revocabili ad nutum dal Papa stesso? Come si può chiedere al mondo di essere giusto, mi chiedo, se in casa propria le regole della giustizia sono queste?

Galli trovava conferma di questo potere assoluto anche nel fatto “ancora oggi in seguito a un episodio come quello appena detto (ma anche a mille altri) nessuno osi dire pubblicamente nulla… l’obbligo democratico alla trasparenza tante volte invocato vale solo per gli altri?”.

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 17 gennaio 2021

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