Alle ultime elezioni politiche del 2018 il Centrodestra prese il 37 per cento dei voti. Fu la coalizione più votata, ma non ebbe la possibilità di provare a fare un governo.

Da allora i consensi del Centrodestra sono schizzati in alto e, ormai da tre anni, sono stabilmente vicini al 50 per cento che significa la (molto probabile) conquista della maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento.

Anche l’ultimo sondaggio, uscito ieri su “Repubblica”, lo conferma, assegnando ai tre partiti di Centrodestra un consenso complessivo del 48,1 per cento, mentre il Pd è dato al 19,3 per cento e il M5S al 16,6. Due risultati che, sommati, raggiungono solo il 35,9 per cento, di gran lunga sotto lo schieramento di Centrodestra che sembra, attualmente, inarrivabile.

Quella di Salvini, Meloni e Berlusconi sembrerebbe dunque una marcia trionfale verso le consultazioni politiche del 2023.

Ma le cose andranno proprio così? Sbaglierebbero i diretti interessati a darlo per scontato. La prudenza è d’obbligo anzitutto perché i sondaggi non sono i voti veri e, nel corso dei mesi, i loro responsi potrebbero cambiare.

Ma c’è un altro problema, molto più grosso, che dovrebbe farli riflettere. Oggi una parte del Centrodestra (Lega e Forza Italia) è nella maggioranza di governo e l’altra parte (Fratelli d’Italia) è all’opposizione.

Sono passati solo sei mesi da quando – con la nascita del governo Draghi – si è creata questa frattura e già la distanza fra le due parti del Centrodestra si è fatta più grande, su alcuni temi di attualità addirittura enorme.

Sono sicuri i tre leader di poter continuare, così divisi, ancora per un anno e mezzo? Ritengono che – arrivati alla vigilia del voto del 2023 – possano rimettersi magicamente insieme presentandosi all’elettorato con unità d’intenti e di programma, quando – fino al giorno prima – si sono combattuti su sponde opposte? E quale sarà la narrazione comune che offriranno agli italiani dopo due anni di conflittualità?

Se sono bastati sei mesi a creare una tale divisione, cosa accadrà da oggi al 2023? Non si vede chi possa riuscire fra due anni a rimettere il dentifricio dentro al tubetto.

È vero che i partiti del Centrodestra già in passato si sono collocati in campi diversi rispetto ai governi. Nel 2011 la Lega era all’opposizione del governo Monti, mentre il Popolo della libertà lo sosteneva. Ma era un appoggio esterno dato a un governo tecnico, oltretutto dato obtorto colloper come era finito il governo Berlusconi.

Pure al governo Letta, il Popolo delle Libertà inizialmente dette il suo appoggio, mentre la Lega si collocò subito all’opposizione.

Ma era una situazione molto diversa rispetto a quella di oggi. Anche perché a quel tempo Berlusconi era il leader indiscusso del Centrodestra, ne era stato il fondatore e il federatore fin dall’inizio e poteva contare sul fatto che la sua Forza Italia era di gran lunga il partito più forte della coalizione.

Oggi tutto è cambiato. Infatti nei due casi citati non si crearono forti divisioni fra le tre componenti del Centrodestra. E anche quando, nel 2018, la Lega ha formato il governo con il M5S la conflittualità con Fratelli d’Italia e Forza Italia, durante quell’anno, fu molto contenuta. Sono stati inoltre governi di breve durata.

Ma, con il governo Draghi, non sembra di vedere lo stesso film. Inizialmente si poteva ipotizzare che una presenza contemporanea al governo e all’opposizione potesse permettere all’insieme del Centrodestra di aumentare i consensi complessivi, ma invece dei consensi è arrivata la competizione interna.

La divisione su certi temi è forte: basterebbe confrontare le posizioni di Fratelli d’Italia e di Forza Italia sulla gestione della pandemia. La Lega stessa è attraversata da divisioni interne.

Finora nel Centrodestra hanno ritenuto che bastasse la buona volontà dei leader a ricomporre i cocci. Ma la scelta delle candidature per le elezioni amministrative e suppletive di ottobre ha dimostrato che non è proprio così. Infatti il punto di caduta è stato un compromesso al ribasso e oggi il risultato che si prospetta per l’autunno è negativo (c’è addirittura chi ritiene che possa essere una cocente sconfitta).

È vero che ci sono alcuni valori comuni molto forti che uniscono i tre partiti. Ma basteranno domani a ricucire? Le divisioni di questi anni non lasceranno il segno?

Occorre loro un programma concordato e una concreta idea del futuro del Paese. Ma troveranno un’idea comune rispetto all’Unione europea e alla “questione Draghi”, con tutto ciò che egli rappresenta? È infatti molto più di un ipotizzato “partito di Draghi”…

La tentazione di un dialogo con gruppi centristi, soprattutto per Forza Italia (ma anche per la Lega) potrebbe crescere col passar dei mesi, in particolare per la partita del Quirinale.

Conviene a Fratelli d’Italia (l’unico partito che ha un solo forno) isolarsi, anche rispetto alla gestione della pandemia, quando – per esempio sul Green pass – il consenso nel Paese è così vasto? Secondo il sondaggio di “Repubblica” anche nell’elettorato di Fratelli d’Italia il “sì” è largamente maggioritario (74 per cento).

Se tutto il Centrodestra fosse entrato al governo avrebbe avuto certamente un peso maggiore nelle decisioni. Oggi è spaccato e conta assai meno di quanto potrebbe.

D’altra parte l’esistenza di questo esecutivo dà il tempo ai partiti di costruire una classe dirigente all’altezza di un governo futuro, ma al momento non si vedono questi lavori in corso. Né si ha notizia di una riflessione strategica che parta dal mutamento di scenario nazionale e internazionale intervenuto con l’arrivo di Draghi.

Un fatto che inevitabilmente cambierà anche la partita del 2023 che probabilmente non potrà più essere semplicemente una competizione per Palazzo Chigi fra l’esponente più votato del Centrodestra e il leader del Pd. I tempi cambiano e bisogna capirne il senso in anticipo.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 5 settembre 2021