Il giorno di ieri, 15 ottobre 2022, a 100 anni esatti dalla nascita di don Luigi Giussani, potrebbe in futuro essere ricordato come l’inizio della rinascita di Comunione e Liberazione. Sarebbe un evento molto importante sia per la Chiesa che per il nostro Paese.

Se questa “resurrezione” avverrà il merito più grande andrà riconosciuto a papa Francesco, che – negli ultimi due anni – ha fatto il possibile e l’impossibile per rianimare i movimenti ecclesiali.

Infatti il discorso del Santo Padre, ai 60 mila ciellini che riempivano Piazza San Pietro, è stato commovente, paterno e pieno di speranza. Ha iniziato ricordando don Giussani a cui Francesco ha espresso la sua “personale gratitudine per il bene che mi ha fatto, come sacerdote” meditare sui suoi libri. Essendogli grato “anche come Pastore universale per tutto ciò che egli ha saputo seminare e irradiare dappertutto per il bene della Chiesa”. Continua

L’11 ottobre scorso, per il 60° anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II, papa Francesco – durante la celebrazione nella Basilica di San Pietro – ha tenuto un’omelia commovente, ma anche sorprendente.

Un discorso così fuori dagli schemi su cui è costruita l’informazione religiosa dei giornali che, non essendo compreso, è stato ignorato. Eppure potrebbe rappresentare una svolta vitale per il mondo cattolico.

Anzitutto il Papa ha spazzato via quel nefasto pensiero binario che ormai intossica il dibattito pubblico. Già Francesco lo sta facendo, da mesi, per quanto riguarda la guerra in Ucraina. Con l’omelia dell’11 ottobre ha voluto archiviarlo anche per il mondo cattolico, in relazione al Concilio.

Se solo ricordiamo quanto – da decenni – i cattolici si sono polarizzati e spaccati fra progressisti e conservatori, fra modernisti e tradizionalisti, producendo il disastro attuale, si può intuire l’importanza di ciò che il Papa ha detto.

Anzitutto – per spazzare via il manicheismo ideologico – ha iniziato dall’essenziale: “’Mi ami?’. È la prima frase che Gesù rivolge a Pietro nel Vangelo che abbiamo ascoltato (Gv 21,15)… Il Concilio Vaticano II è stato una grande risposta a questa domanda: è per ravvivare il suo amore che la Chiesa, per la prima volta nella storia, ha dedicato un Concilio a interrogarsi su sé stessa (…): si è riscoperta Popolo di Dio, Corpo di Cristo, tempio vivo dello Spirito Santo!” Continua

“L’impressione è che l’intera umanità si stia recando a una sorta di appuntamento planetario con la propria violenza”.

Leggendo le cronache belliche di questi giorni, tornano in mentre queste profetiche parole di René Girard, che furono pubblicate due decenni fa nel suo libro “La pietra dello scandalo” (Adelphi).

Il filosofo francese proseguiva così il suo ragionamento: “Quando la globalizzazione si faceva ancora aspettare tutti la invocavano. L’unificazione del pianeta era uno dei grandi temi del modernismo trionfante, e in suo onore si moltiplicavano le ‘esposizioni universali’. Ma, adesso che si è realizzata, suscita più angoscia che orgoglio. Forse la cancellazione delle differenze non è quella riconciliazione universale che si dava per certa”. Continua

Pietrangelo Buttafuoco dice che Giorgia Meloni appartiene alla “Generazione Tolkien”, i ragazzi degli anni ‘90 cresciuti a “pane e Tolkien”: il riferimento è al grande scrittore cattolico inglese che ha creato la trilogia del “Signore degli Anelli” e che – spiega Paolo Gulisano“era culturalmente conservatore: condannò pubblicamente il sistema sovietico, ma anche l’americanismo. Era antimperialista”.

Nel recente libro della Meloni c’è un ricordo divertito della sua giovanile passione tolkeniana: “Di recente ho rivisto un’agghiacciante foto di me vestita da Sam Gamgee, uno degli hobbit del Signore degli Anelli di Tolkien. Del resto, del libro Sam è sempre stato il mio personaggio preferito. Non ha la regalità di Aragorn, la magia di Gandalf, la forza di Gimli o la velocità di Legolas. È solo un hobbit, nella vita fa il giardiniere. Eppure, senza di lui Frodo non avrebbe mai compiuto la missione. Sa che non saranno le sue gesta a essere cantate in futuro, ma non è per la gloria che rischia tutto. ‘Sono le piccole mani a cambiare il mondo’ dice Tolkien”. Continua

Giovanni Paolo II ancorava l’amor di patria al comandamento: “Onora tuo padre e tua madre”. Un pensiero profondo, bellissimo, e ancora tutto da sviluppare.

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“Quando si farà l’Europa unita, i francesi ci entreranno da francesi, i tedeschi da tedeschi e gli italiani da europei”. La battuta di Indro Montanelli è la perfetta illustrazione dell’europeismo delle élite progressiste che hanno dominato in Italia in questi decenni.

Le quali – oltre all’idea di Patria – delegittimano addirittura la difesa dell’interesse nazionale che invece le classi politiche degli altri Paesi difendono vigorosamente.

Giustamente Ernesto Galli della Loggia, sul “Corriere della sera”, ha lamentato la cancellazione dell’identità nazionale che abbiamo subìtosempre più convinti a sproposito della presunta assoluta inattualità dell’idea di nazione (si provino gli illustri membri dell’Ispi o dell’Aspen a organizzare un seminario su tale inattualità a Parigi o a Berlino: si provino, si provino)”.

Spesso si “scomunica” il patriottismo sovrapponendolo al nazionalismo, ma è come confondere il polmone con la polmonite. Hanno caratteristiche e origini ben diverse.

È stato un papa, Giovanni Paolo II, a riproporre nel nostro tempo il valore del patriottismo, insegnando ad amare le patrie terrene come prefigurazione della patria celeste (e questo orizzonte trascendente è un antidoto ai nazionalismi). Continua

Il “sistema” è composto di tanti partiti, da quello dei giornali al Pd, dal partito degli intellettuali a quello di una certa finanza, dal partito dei cantanti al “partito straniero”. Tutti professano la stessa ideologia e hanno la stessa intollerante pretesa di rappresentare l’unico pensiero ammesso e rispettabile.

Papa Francesco è sempre più indigesto a questo establishment (che un tempo lo adulava). Infatti la sua voce oggi è sempre più silenziata o ignorata. Sul conflitto in Ucraina è evidente che il Papa è l’unica voce dissonante rispetto al “partito della guerra” (dell’Est e dell’Ovest). Continua

Oggi Alessandro Banfi ha scritto nella sua rassegna stampa: “Venerdì il più importante giornale economico italiano aveva rilanciato un’intervista all’economista Niall Ferguson, che insegna a Stanford. La domanda di fondo è quella angosciosa e che tutti gli osservatori economici si fanno nelle ultime settimane: come uscire dalla grande crisi dell’inflazione, della corsa dei prezzi del gas e del petrolio? Risposta di Ferguson: ‘Oggi non serve Draghi – sintetizza con efficacia – ma Kissinger’. Cioè l’Europa e il mondo non hanno bisogno di politica monetaria o di price cap ma di diplomazia. Di pace”. Quello che dice Ferguson conferma ciò che riporto in questo articolo.

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Ieri, ancora una volta, il Papa ha espresso la sua angoscia per la china che sta prendendo la guerra: “Ho detto che era una terza guerra mondiale a pezzi, ora è totale”.

Ha ricordato che “il mondo era stato preservato dalla guerra atomica, purtroppo dobbiamo continuare a pregare per questo pericolo”. Il pontefice ha sottolineato i “seri rischi per le persone e per il pianeta”. Perciò ha esortato infinite volte a trattare.

Eppure nessuno dei governanti lo ascolta. Neanche si cercano spiragli. Non si parla proprio di pace. Si sentono solo urla di battaglia e minacce apocalittiche (Liz Truss, poco prima di diventare premier britannico, ha addirittura dichiarato che è pronta” ad utilizzare le armi nucleari).

La guerra in Europa è il grande problema rimosso della campagna elettorale italiana. Eppure è da lì che ci arrivano i problemi economici e sociali più grossi, che in autunno potrebbero diventare devastanti, fino a mettere in ginocchio la nostra economia, causando milioni di disoccupati. Continua

Sono giorni impegnativi in Vaticano: la creazione di nuovi cardinali, la visita del Papa all’Aquila, alla tomba di Celestino V, poi la riunione di tutti i porporati dopo otto anni.

Eventi che nella stampa internazionale alimentano voci su novità clamorose in arrivo che alla fine ruotano tutte attorno all’ipotesi di rinuncia (per malattia) di Francesco e a un possibile nuovo Conclave.

In tutto questo vociferare sul papa ipotetico, i media intanto oscurano il papa presente e non per distrazione, ma perché è (diventato) scomodoper quel sistema informativo che prima lo idolatrava (senza mai capirlo).

Le parole durissime sulla guerra e sulla mancanza di volontà di pace, pronunciate da Francesco nell’udienza di mercoledì, sono state completamente silenziate. Come accade da mesi. La sua voce profetica  non rientra nel solito schema “o di qua o di là”: lui difende i popoli, i “tanti innocenti che stanno pagando la pazzia, la pazzia di tutte le parti, perché la guerra è una pazzia e nessuno in guerra può dire: no, io non sono pazzo”.

Non è gradito un profeta che denuncia l’assuefazione al conflitto in Ucraina e la nuova Guerra fredda Est/Ovest che potrebbe diventare guerra mondiale vera e che intanto causa già disastri sociali, anche per la nostra gente, come ha scritto Andrea Tornielli su Vatican News, ricordando le gravi conseguenze, economiche e di approvvigionamento energetico, previste a breve e medio termine per tanti Paesi” (che produrranno crisi gravissima, disoccupazione e povertà). Continua

Molti ciellini non comprendono che bisogno abbia il Meeting di Rimini di trasformarsi in palcoscenico del Potere, riducendo una bella manifestazione, a cui partecipano tanti giovani desiderosi di conoscere Gesù Cristo, a passerella dell’establishment politico ed economico.

Il Meeting nacque con lo scopo opposto. La prima edizione del 1980 (più povera, ma strepitosa nei contenuti) fu dedicata a “La pace e i diritti dell’uomo” e in particolare al dissenso in Urss quando in Italia parlare dei dissidenti nei regimi comunisti era eroico.

Il libro fondamentale per i ciellini, in quegli anni, era firmato dal grande dissidente cecoslovacco Vaclav Havel: “Il potere dei senza potere”.Proprio ciò che il Meeting originariamente voleva mettere in primo piano: si ricorda ancora la presenza a Rimini di Madre Teresa di Calcutta nel 1987.

Perché non tornare a quell’intuizione? Oltretutto il Potere – nella versione politica o economica – è già sotto i riflettori 365 giorni all’anno. Continua

“Fermati attimo!” scrive Goethe nel “Faust”. È il sogno – ingannevole – di “sperimentare la leggerezza e libertà della vita” illudendosi di spazzar via la sua fatica e il suo carico di affanni e dolore.

Eppure – dice il Papa“la sicumera di fermare il tempo, volere l’eterna giovinezza, il benessere illimitato, il potere assoluto, non è solo impossibile, è delirante”.

Con queste parole, pronunciate nell’ultima udienza generale, Francescodemolisce una delle nuove ideologie del nostro tempo e ci fa interrogare su noi stessi, sulla vita, su ciò che desideriamo.

Il Papa c’invita a riconoscere i limiti invincibili della natura umana con un bagno di realismo. Il nostro stesso corpo – mirabile capolavoro del Creatore che ci mette in relazione con il mondo e con gli altri – è il simbolo supremo della nostra fragilità: esposto alla fatica, alla sofferenza, alla vecchiaia e all’inevitabile morte. Continua