Giorgia Meloni prepara i suoi primi viaggi. Si parla di Washington, forse Kyiv e poi il G20. Ma la data che dovrà tenere d’occhio è anzitutto quella delle elezioni di metà mandato negli Stati Uniti, l’8 novembre.

Infatti è probabile che dopo quel voto cambi l’atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti della guerra in Ucraina (soprattutto se Biden e i Democratici faranno naufragio nelle urne).

Come ha rilevato Eugenio Mazzarella, in un editoriale su “Avvenire”, oltreoceano si comincia a capire che – di fronte allo spettro sempre più minaccioso di una guerra mondiale e nucleare – “è tempo di offrirgli (a Putin, ndr) una via d’uscita, non per lui, ma per la Russia. Dopo Kissinger, in America, dove ci sono meno ‘atlantisti’ duri e puri che da noi” ha sottolineato Mazzarella “anche Obama ha fatto notare i rischi della corda tesa su cui sta ballando l’Amministrazione Biden, già suo vice. E ha formulato espliciti inviti a ‘concessioni’ su Crimea e Donbass che tolgano ogni alibi a Putin per farlo sedere a un tavolo di pace. Il che non significa abbandonare Zelensky, ma fargli intendere che non può interpretare il sostegno dell’Occidente come avallo a ogni intransigenza e al rifiuto di chiudere la guerra”.

Alla base di questo ragionamento, che esprime la posizione del giornale della Cei, c’è la convinzione che nessuno può “vincere” questa guerra. Possiamo solo perderla tutti. A proposito di “Avvenire” e della Chiesa, inizia la settimana delle manifestazioni per la pace: in particolare quella del 5 novembre. Continua

“Con franchezza va detto che papa Francesco è probabilmente il più grande ambasciatore della lingua italiana sulla scena mondiale in questo momento. Non ho idea di quante scuole americane offrano corsi di italiano, ma se il mio reddito dipendesse da quante persone vogliono imparare la lingua, farei il tifo perché Francesco rimanesse il più a lungo possibile”.

Giorni fa, uno dei più autorevoli vaticanisti americani, John Allen, sul sito di informazioni cattoliche Crux (che egli guida), faceva questa considerazione prendendo spunto dal recente viaggio del Papa in Kazakistan durante il quale, nei suoi interventi davanti ai vari leader delle religioni mondiali, ha usato la lingua italiana.

Per la verità il tono dell’articolo di Allen (che è anche Senior Vatican Analyst per la CNN) sembra un po’ ironico, forse infastidito. Probabilmente gli americani trovano indisponente o almeno bizzarro che, viaggiando per il mondo, una grande autorità come il Papa parli italiano anziché inglese. Continua

Entrambi i nuovi presidenti di Camera e Senato, nei loro discorsi di insediamento, hanno citato papa Francesco in modo non formale.

Ignazio La Russa ha detto: “saluto con grande rispetto il sommo Ponteficeche anche in questi giorni ci ha dato un segno della sua alta guida spirituale e morale, sottolineando come la risposta necessaria per contrastare e cercare di battere la povertà sia il lavoro degno e ben remunerato”.

Lorenzo Fontana ha lanciato un segnale ancor più forte: “Voglio dedicare un primo saluto al Pontefice Francesco che rappresenta il riferimento spirituale della maggioranza dei cittadini italiani e promuove il rispetto dei più alti valori morali nel mondo, a partire dal rispetto della dignità umana e dei diritti fondamentali umani e che sta svolgendo un’azione diplomatica a favore della pace senza eguali”.

Dunque i diritti sociali, i più alti valori morali a partire dalla dignità umana e dai diritti dell’uomo, infine la testimonianza profetica del Papa per la pace.

Sono principi che non somigliano alle caricature mediatiche del Centrodestra. Principi che fanno riferimento al magistero sociale del Papa e sono sintonizzati con l’anima profonda del popolo italiano, che – sulla guerra in Ucraina – si è sempre riconosciuto nelle posizioni di Francesco e non in quelle del governo Draghi.

Nel recente sondaggio di Pagnoncelli per “Di Martedì”, il 60 per cento del campione interpellato ha detto: “è il momento che Zelensky scenda a patti con Putin”. Solo il 27 per cento sceglie “di sostenere oltremodo Zelensky contro Putin” (il 13 per cento nessuna opzione). Continua

Il giorno di ieri, 15 ottobre 2022, a 100 anni esatti dalla nascita di don Luigi Giussani, potrebbe in futuro essere ricordato come l’inizio della rinascita di Comunione e Liberazione. Sarebbe un evento molto importante sia per la Chiesa che per il nostro Paese.

Se questa “resurrezione” avverrà il merito più grande andrà riconosciuto a papa Francesco, che – negli ultimi due anni – ha fatto il possibile e l’impossibile per rianimare i movimenti ecclesiali.

Infatti il discorso del Santo Padre, ai 60 mila ciellini che riempivano Piazza San Pietro, è stato commovente, paterno e pieno di speranza. Ha iniziato ricordando don Giussani a cui Francesco ha espresso la sua “personale gratitudine per il bene che mi ha fatto, come sacerdote” meditare sui suoi libri. Essendogli grato “anche come Pastore universale per tutto ciò che egli ha saputo seminare e irradiare dappertutto per il bene della Chiesa”. Continua

L’11 ottobre scorso, per il 60° anniversario dell’inizio del Concilio Vaticano II, papa Francesco – durante la celebrazione nella Basilica di San Pietro – ha tenuto un’omelia commovente, ma anche sorprendente.

Un discorso così fuori dagli schemi su cui è costruita l’informazione religiosa dei giornali che, non essendo compreso, è stato ignorato. Eppure potrebbe rappresentare una svolta vitale per il mondo cattolico.

Anzitutto il Papa ha spazzato via quel nefasto pensiero binario che ormai intossica il dibattito pubblico. Già Francesco lo sta facendo, da mesi, per quanto riguarda la guerra in Ucraina. Con l’omelia dell’11 ottobre ha voluto archiviarlo anche per il mondo cattolico, in relazione al Concilio.

Se solo ricordiamo quanto – da decenni – i cattolici si sono polarizzati e spaccati fra progressisti e conservatori, fra modernisti e tradizionalisti, producendo il disastro attuale, si può intuire l’importanza di ciò che il Papa ha detto.

Anzitutto – per spazzare via il manicheismo ideologico – ha iniziato dall’essenziale: “’Mi ami?’. È la prima frase che Gesù rivolge a Pietro nel Vangelo che abbiamo ascoltato (Gv 21,15)… Il Concilio Vaticano II è stato una grande risposta a questa domanda: è per ravvivare il suo amore che la Chiesa, per la prima volta nella storia, ha dedicato un Concilio a interrogarsi su sé stessa (…): si è riscoperta Popolo di Dio, Corpo di Cristo, tempio vivo dello Spirito Santo!” Continua

“L’impressione è che l’intera umanità si stia recando a una sorta di appuntamento planetario con la propria violenza”.

Leggendo le cronache belliche di questi giorni, tornano in mentre queste profetiche parole di René Girard, che furono pubblicate due decenni fa nel suo libro “La pietra dello scandalo” (Adelphi).

Il filosofo francese proseguiva così il suo ragionamento: “Quando la globalizzazione si faceva ancora aspettare tutti la invocavano. L’unificazione del pianeta era uno dei grandi temi del modernismo trionfante, e in suo onore si moltiplicavano le ‘esposizioni universali’. Ma, adesso che si è realizzata, suscita più angoscia che orgoglio. Forse la cancellazione delle differenze non è quella riconciliazione universale che si dava per certa”. Continua

Pietrangelo Buttafuoco dice che Giorgia Meloni appartiene alla “Generazione Tolkien”, i ragazzi degli anni ‘90 cresciuti a “pane e Tolkien”: il riferimento è al grande scrittore cattolico inglese che ha creato la trilogia del “Signore degli Anelli” e che – spiega Paolo Gulisano“era culturalmente conservatore: condannò pubblicamente il sistema sovietico, ma anche l’americanismo. Era antimperialista”.

Nel recente libro della Meloni c’è un ricordo divertito della sua giovanile passione tolkeniana: “Di recente ho rivisto un’agghiacciante foto di me vestita da Sam Gamgee, uno degli hobbit del Signore degli Anelli di Tolkien. Del resto, del libro Sam è sempre stato il mio personaggio preferito. Non ha la regalità di Aragorn, la magia di Gandalf, la forza di Gimli o la velocità di Legolas. È solo un hobbit, nella vita fa il giardiniere. Eppure, senza di lui Frodo non avrebbe mai compiuto la missione. Sa che non saranno le sue gesta a essere cantate in futuro, ma non è per la gloria che rischia tutto. ‘Sono le piccole mani a cambiare il mondo’ dice Tolkien”. Continua

Giovanni Paolo II ancorava l’amor di patria al comandamento: “Onora tuo padre e tua madre”. Un pensiero profondo, bellissimo, e ancora tutto da sviluppare.

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“Quando si farà l’Europa unita, i francesi ci entreranno da francesi, i tedeschi da tedeschi e gli italiani da europei”. La battuta di Indro Montanelli è la perfetta illustrazione dell’europeismo delle élite progressiste che hanno dominato in Italia in questi decenni.

Le quali – oltre all’idea di Patria – delegittimano addirittura la difesa dell’interesse nazionale che invece le classi politiche degli altri Paesi difendono vigorosamente.

Giustamente Ernesto Galli della Loggia, sul “Corriere della sera”, ha lamentato la cancellazione dell’identità nazionale che abbiamo subìtosempre più convinti a sproposito della presunta assoluta inattualità dell’idea di nazione (si provino gli illustri membri dell’Ispi o dell’Aspen a organizzare un seminario su tale inattualità a Parigi o a Berlino: si provino, si provino)”.

Spesso si “scomunica” il patriottismo sovrapponendolo al nazionalismo, ma è come confondere il polmone con la polmonite. Hanno caratteristiche e origini ben diverse.

È stato un papa, Giovanni Paolo II, a riproporre nel nostro tempo il valore del patriottismo, insegnando ad amare le patrie terrene come prefigurazione della patria celeste (e questo orizzonte trascendente è un antidoto ai nazionalismi). Continua

Il “sistema” è composto di tanti partiti, da quello dei giornali al Pd, dal partito degli intellettuali a quello di una certa finanza, dal partito dei cantanti al “partito straniero”. Tutti professano la stessa ideologia e hanno la stessa intollerante pretesa di rappresentare l’unico pensiero ammesso e rispettabile.

Papa Francesco è sempre più indigesto a questo establishment (che un tempo lo adulava). Infatti la sua voce oggi è sempre più silenziata o ignorata. Sul conflitto in Ucraina è evidente che il Papa è l’unica voce dissonante rispetto al “partito della guerra” (dell’Est e dell’Ovest). Continua

Oggi Alessandro Banfi ha scritto nella sua rassegna stampa: “Venerdì il più importante giornale economico italiano aveva rilanciato un’intervista all’economista Niall Ferguson, che insegna a Stanford. La domanda di fondo è quella angosciosa e che tutti gli osservatori economici si fanno nelle ultime settimane: come uscire dalla grande crisi dell’inflazione, della corsa dei prezzi del gas e del petrolio? Risposta di Ferguson: ‘Oggi non serve Draghi – sintetizza con efficacia – ma Kissinger’. Cioè l’Europa e il mondo non hanno bisogno di politica monetaria o di price cap ma di diplomazia. Di pace”. Quello che dice Ferguson conferma ciò che riporto in questo articolo.

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Ieri, ancora una volta, il Papa ha espresso la sua angoscia per la china che sta prendendo la guerra: “Ho detto che era una terza guerra mondiale a pezzi, ora è totale”.

Ha ricordato che “il mondo era stato preservato dalla guerra atomica, purtroppo dobbiamo continuare a pregare per questo pericolo”. Il pontefice ha sottolineato i “seri rischi per le persone e per il pianeta”. Perciò ha esortato infinite volte a trattare.

Eppure nessuno dei governanti lo ascolta. Neanche si cercano spiragli. Non si parla proprio di pace. Si sentono solo urla di battaglia e minacce apocalittiche (Liz Truss, poco prima di diventare premier britannico, ha addirittura dichiarato che è pronta” ad utilizzare le armi nucleari).

La guerra in Europa è il grande problema rimosso della campagna elettorale italiana. Eppure è da lì che ci arrivano i problemi economici e sociali più grossi, che in autunno potrebbero diventare devastanti, fino a mettere in ginocchio la nostra economia, causando milioni di disoccupati. Continua