PERCHE’ I PAPI DEL NOSTRO TEMPO SONO CIRCONDATI DALL’AFFETTO DEL POPOLO. COSA CERCA L’UMANITA’ DEI NOSTRI ANNI
Forse le diatribe ecclesiastiche di cui parlano i giornali interessano soltanto pochi addetti ai lavori (spesso addetti ai “livori”). Il popolo, praticante e non praticante, guarda alla Chiesa con altri occhi. Con altre aspettative.
In genere rivolge lo sguardo verso la Chiesa alla ricerca di un padre. L’affetto manifestato dalla gente in questi giorni verso Benedetto XVI va letto in questo orizzonte.
Il padre è colui che mostra il senso dell’esistenza, l’ordine del mondo, insegna il bene e il male, educa a vivere e impegnarsi da uomini ed è anche lo sguardo che comprende e incoraggia, è l’abbraccio che protegge, perdona e accoglie.
Deve trattarsi di un desiderio originario dell’animo umano se è vero che l’antica civiltà greca fiorì attorno a un poema che narrava l’“odissea” di un padre la cui assenza era un vuoto incolmabile nel suo regno. E se è vero che l’epoca moderna comincia con la struggente nostalgia di Amleto per il padre che gli era stato tolto (non a caso il nome shakespeariano Hamlet è così simile alla radice del nome Telemaco letto al contrario).
Nella Chiesa, dicevo, si cerca il Padre e la persona del Papa (che significa appunto padre) ne è un’immagine significativa per la sensibilità collettiva. Anche la vicenda di Benedetto XVI lo conferma.
Ieri mattina, alle 9, sono state riaperte le Grotte vaticane e si è formata subito una lunga fila di fedeli che stavano attendendo in Basilica perché volevano andare a pregare sulla tomba di Papa Ratzinger, la cui lapide porta scritto “Benedictus PP XVI”. La formula “PP” significa “Pater Patrum” (è la sepoltura da Pontefice).
Quindi prosegue il pellegrinaggio che – da lunedì a mercoledì scorso – ha visto sfilare silenziosamente in San Pietro, davanti alle spoglie mortali del papa emerito, centomila persone. Anche alla messa funebre la piazza era gremita, pur trattandosi di un giovedì e di primo mattino, le 9,30.
Qualche osservatore è rimasto sorpreso da questo affetto popolare per un papa che, con la rinuncia, era uscito di scena da dieci anni e riteneva dimenticato da tutti.
Ma Fabrizio Roncone ha scritto, sul “Corriere della sera”, che “non era percepito dai fedeli come un Papa emerito, un pensionato sia pure ancora vestito di bianco, ma come un autentico e grandioso Papa in attività”. In effetti anche il suo ritirarsi in un silenzio orante insegnava qualcosa di prezioso: umiltà e amore per la Chiesa.
C’è poi chi cerca di etichettare questo popolo in base alle presunte fazioni ecclesiastiche, come se esistesse un popolo di Benedetto XVI e uno di papa Francesco. Ma in realtà la gente che ieri è andata a pregare sulla tomba di papa Ratzinger è la stessa che, poco dopo, ha pregato all’Angelus con papa Francesco. Ed è lo stesso popolo che affollò la Basilica di San Pietro e la piazza quando morì Giovanni Paolo II.
Pur con accenti e temperamenti diversi incarnano tutti e tre, agli occhi della gente, l’idea della paternità. Ieri Andrea Riccardi, su “Avvenire”, ha fatto una riflessione interessante: “In tempi lontani, il Papa era solo un nome, pronunciato in latino”, oggi “è diventato un compagno per la Chiesa e le generazioni che si susseguono. I media lo hanno avvicinato alla gente. Ne hanno inquadrato il volto e talvolta il dolore. Il Papa è un uomo pubblico in modo differente dai politici… Il senso dei fedeli spinge a cercare in lui il pastore e l’uomo. La sensibilità della gente (anche mutevole) incontra un uomo con la sua storia e il suo modo di essere”.
Gli ultimi tre pontefici, per esempio, sono molto diversi, eppure tutti sono stati circondati dall’affetto dei popoli.
Papa Wojtyla, che fu eletto a 58 anni, arrivò come un ciclone. Straordinariamente carismatico, il papa polacco che era stato minatore, poeta, che aveva recitato nel teatro clandestino sotto l’occupazione, che aveva lottato fin da giovane contro nazismo e comunismo, era sinonimo di una granitica fede in Cristo: una statua delle cattedrali gotiche. Dov’era lui – ebbe a dire un vaticanista – soffiava sempre il vento.
La sua vita epica rischiò un doloroso epilogo nell’attentato che solo per miracolo non lo uccise. Poi visse la lunga malattia come una testimonianza dell’infinita e intangibile dignità dell’uomo, anche nella debolezza e nel dolore: c’insegnò l’eroismo nella vita quotidiana.
Nel cuore dei popoli è rimasto il grido con cui iniziò il pontificato: “Non abbiate paura! Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo”. Il nome di Cristo, sinonimo di dignità dell’uomo e libertà, ha connotato i suoi anni che hanno visto lo sgretolamento del comunismo dell’est e la liberazione di quei popoli.
Benedetto XVI – secondo la diversità dei carismi, cioè dei doni di Dio – ha vissuto il suo ministero con la sua straordinaria sintesi di mitezza, umiltà, bontà e profondità di pensiero, portando luce in un tempo buio e saggezza a un’umanità smarrita.
Il suo è stato definito il pontificato della “fede pensata”. In effetti incantava i cuori perché sapeva spiegare con parole semplici e suggestive i misteri profondi di Dio (“Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario. Non vi è niente di più bello che essere raggiunti, sorpresi dal Vangelo, da Cristo”).
Ma ha affascinato le élite più colte, anche le più lontane, con la sua sapienza cristiana: “Cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui: questo oggi non è meno necessario che in tempi passati. Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi”.
Francesco è il Papa sudamericano, il Papa delle periferie del mondo e delle periferie esistenziali. È l’immagine di una paternità che si mette sulle spalle la pecorella ferita e va a cercare i figli che si credono perduti. Il suo messaggio, che è arrivato al cuore anche di tanti non credenti, è l’annuncio dell’infinita misericordia di Dio.
Anche ieri all’Angelus ha detto: “la giustizia di Dio non ha come fine la condanna del colpevole, ma la sua salvezza, la sua rinascita, il renderlo giusto: da ingiusto a giusto. È una giustizia che viene dall’amore, da quelle viscere di compassione e di misericordia che sono il cuore stesso di Dio, Padre che si commuove quando siamo oppressi dal male e cadiamo sotto il peso dei peccati e delle fragilità… sempre con la mano tesa per aiutarci a sollevarci”.
Ha poi citato e fatto sue queste parole di Benedetto XVI: “Dio ha voluto salvarci andando lui stesso fino in fondo all’abisso della morte, perché ogni uomo, anche chi è caduto tanto in basso da non vedere più il cielo, possa trovare la mano di Dio a cui aggrapparsi e risalire dalle tenebre a rivedere la luce per la quale egli è fatto”.
Pontefici di un’unica storia e della stessa Chiesa. Accenti diversi di un’unica Paternità. Quella che tutti gli uomini cercano.
Antonio Socci
Da “Libero”, 9 gennaio 2023