Il 5 maggio, a Parigi, è morto Philippe Sollers e forse lui – sempre irregolare e ironico – avrebbe riso per aver occupato una data che in Francia è così clamorosamente napoleonica.

Se non mi è sfuggito qualcosa, sulla stampa italiana non è uscito nemmeno un articolo su Sollers. Eppure è stato uno degli intellettuali più interessanti della cultura d’oltralpe, anche se pochi testi suoi sono stati tradotti da noi. Soprattutto è stato uno dei protagonisti (forse il primo) della “scoperta” di Dante in Francia nella seconda metà del XX secolo. Continua

Clemente VII, nel settembre 1533, commissionò a Michelangelo il “Giudizio Universale” della Cappella Sistina, trent’anni dopo che aveva dipinto la volta. L’artista, a quasi 60 anni, accettò l’ardua impresa.

L’immenso affresco sembrerebbe un caotico ammasso di corpi, ma in realtà c’è una struttura simbolica profondamente meditata. Anche dal punto di vista teologico. Secondo Heinrich W. Pfeiffer sj “Michelangelo vorrebbe offrire allo spettatore un’architettura formata di corpi nudi: è probabile che con questo egli faccia riferimento alla Chiesa composta di membra vive”. Continua

Dante muore in esilio, a Ravenna, nel settembre 1321. Davanti alla grandezza del Poema sacro, alcuni anni dopo, i cittadini di Firenze richiesero ai Priori delle Arti una sua lettura pubblica per consentire a tutti di apprenderne gli insegnamenti, “tam in fuga vitiorum, quam in acquisitione virtutum”. Nella petizione si precisava che per questa lettura occorreva “unum valentem et sapientem virum, in huiusmodi poesiae scentia bene doctum”.

Così Firenze, cinquant’anni dopo la morte di Dante, nell’agosto del 1373, decise questa “riparazione” verso il grande poeta che aveva esiliato. Fu incaricato Giovanni Boccaccio che ben conosceva la Commedia e aveva già scritto il “Trattatello in laude di Dante”. Continua

Il piacere. In apparenza non c’è parola più moderna, edonistica ed estiva. La pubblicità e i media la celebrano come un dovere e fa venire in mente l’industria del divertimento, la movida, le spiagge, Ibiza e le discoteche romagnole.

Per i più colti il pensiero andrà al romanzo “Il piacere” di Gabriele D’Annunzio con cui – a giudizio di Benedetto Croce – “risuonò nella letteratura italiana una nota, fino ad allora estranea, sensualistica, ferina, decadente”.

Eppure – chi lo avrebbe mai detto? – “piacere” è anche una parola chiave della Divina Commedia. Certo, appare anzitutto nella sua accezione consueta, nel canto V dell’Inferno, quello di Paolo e Francesca: “Amor, ch’a nullo amato amar perdona,/ mi prese del costui piacer sì forte,/ che, come vedi, ancor non m’abbandona”. Continua

RED PASS

Per gli Europei di calcio l’Italia di colpo si è riempita di 60 milioni di commissari tecnici della Nazionale.

Ma intanto la penisola era stata invasa improvvisamente da folle di epidemiologi e virologi, laureati all’università di Twitter, che imperversano sui social se necessario bacchettando scienziati e medici, spesso considerati sospetti complici di Big Pharma.

Negli stessi mesi però sull’Italia si è abbattuta un’altra sciagura: il 700° anniversario della morte di Dante. Cosicché il Belpaese ora pullula di dantisti. Ne spuntano dappertutto.

Il fenomeno è particolarmente significativo perché dal poeta in questione – Dante – per decenni, dopo il ’68, tutti sono stati alla larga come se fosse stato appestato (e senza Green pass o meglio senza Red pass).

Era pressoché sparito dalla scuola. Al bando. Chiunque abbia frequentato un liceo dagli anni Settanta in poi lo ha sentito liquidare frettolosamente come reazionario, bigotto e poi omofobo, islamofobo e peggio ancora. Continua

ANATEMA SU DANTE

Maurizio Bettini su Repubblica (17/4) ha descritto, senza particolare allarme, l’attacco alla cultura classica, greca e romana, nel mondo accademico statunitense. Alberto Asor Rosa (Repubblica 6/5) critica la “cancel culture”, ma sostiene che la “cultura dell’eliminazione” è nel nostro Dna.

Per esempio? Asor Rosa poteva citare un mostruoso esempio comunista (sia pure asiatico): la “Rivoluzione culturale” di Mao che entusiasmò tanti nostri intellettuali e che (con il solito terrore sanguinario) ebbe proprio l’obiettivo ideologico di fare tabula rasa del passato.

Come riferiva Alberto Pasolini Zanelli nel pamphlet “Il genocidio dimenticato (La Cina da Mao e Deng)”, non solo si ordinò di far “scomparire la vecchia arte” e furono devastati teatri e musei, non solo si fecero “bruciare i libri in contrasto con il pensiero di Mao Zedong”, non solo le guardie rosse si scatenarono contro la cultura borghese arrivando a distruggere pianoforti e violini perché “Beethoven e Mozart erano nemici del popolo, ‘ideologi borghesi’” e furono perfino “messe al bando le lingue straniere”, ma fu proclamata pure la “guerra al confucianesimo” (oggi, del resto, perseguitano Uiguri islamici, buddisti tibetani e cristiani). Continua

L’ANTICONFORMISTA

Trasgressivo, irriverente, dissacrante, così viene sempre descritto Roberto Benigni dai media. Un marziano penserebbe quindi che una voce tanto corrosiva e scomoda per il Potere venga emarginata e silenziata.

In effetti l’attore toscano da anni è “perseguitato” da premi e onorificenze di tutti i tipi, a leggere l’elenco stilato da Alessandro Gnocchi (Giornale 16/4). L’anticonformista Benigni, nel corso della sua carriera, ha dovuto sopportare: “dieci lauree e un dottorato honoris causa; tre Oscar; mezza tonnellata di David di Donatello; il Grand Prix della Giuria al Festival di Cannes; un’altra quarantina di riconoscimenti internazionali. E’ anche Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica italiana e può appuntarsi sul petto la Medaglia d’oro ai benemeriti della cultura e dell’arte”.

La stampa svedese ha addirittura ipotizzato il Nobel per la letteratura per le sue letture della Commedia (come se l’avesse scritta lui).

Ora gli è stato inflitto il Leone d’Oro alla carriera della Mostra del Cinema di Venezia. Una vita grama, per lo “scomodo” Benigni, star di tutti i media, di tutte le autorità e i poteri. Una voce coraggiosa fuori dal coro. Continua

“Quid est veritas?” (che cos’è la verità?). L’esclamazione scettica di Pilato rivolta a Gesù, mentre lo interrogava (Gv 18:38), restò senza risposta verbale perché il governatore romano non aspettava nessuna risposta: stava solo ironizzando su quanto aveva appena detto l’uomo di Nazaret (“per questo sono venuto nel mondo: per rendere testimonianza alla verità”).

Forse nulla come la domanda di Pilato rappresenta e descrive quegli uomini disincantati e un po’ disperati del XXI secolo che siamo noi. Anche noi abbiamo domande, ma non ci aspettiamo risposte, né le cerchiamo. Siamo disinteressati perché riteniamo pregiudizialmente che nessuno abbia “la” risposta. Pensiamo che la verità non esista perché ognuno ha la sua e se la racconta come vuole.

Quell’uomo di Nazaret, per quanto affascinante e nobile (così appariva allo stesso Pilato che ne era colpito), aveva avanzato una pretesa inaudita: “Io sono la verità”. Anzi di più: “io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14:6). Continua