Il 5 maggio, a Parigi, è morto Philippe Sollers e forse lui – sempre irregolare e ironico – avrebbe riso per aver occupato una data che in Francia è così clamorosamente napoleonica.

Se non mi è sfuggito qualcosa, sulla stampa italiana non è uscito nemmeno un articolo su Sollers. Eppure è stato uno degli intellettuali più interessanti della cultura d’oltralpe, anche se pochi testi suoi sono stati tradotti da noi. Soprattutto è stato uno dei protagonisti (forse il primo) della “scoperta” di Dante in Francia nella seconda metà del XX secolo.

VULCANICO

Nel 1960 fondò la rivista “Tel Quel” che, fra gli altri, aveva nel comitato di redazione Julia Kristeva, Michel Deguy e Jacqueline Risset.

Collaborarono con quella rivista intellettuali come Roland Barthes, Jacques Derrida, Michel Foucault,  Tzvedan Todorov Gérard Genette, Georges Bataille, Umberto Eco, Jean-Luc Godard, Bernard-Henri Lévy, Pierre Boulez.

Nonostante l’importanza di queste personalità intellettuali e sebbene la rivista navigasse nei mari sicuri del marxismo e della psicoanalisi, non riscosse interesse in Italia se non alla Jaca Book, casa editrice cattolica, a quel tempo dell’area di Comunione e liberazione, molto curiosa di tutte le culture di quegli anni.

Non è strano, perché – anche se con giovanili eccessi di spregiudicatezza culturale – la vivace realtà di CL, negli anni ’60-‘70, in cui tutti erano barricati dentro i loro steccati ideologici, era quasi l’unica a vivere un’apertura intellettuale a 360 gradi, una passione vera per il dibattito delle idee e la riflessione seria sull’umana avventura.

È stata anche l’unica realtà cattolica che abbia veramente fatto i conti con la modernità senza nostalgie reazionarie e senza complessi di inferiorità modernisti verso le ideologie dominanti.

Non è dunque un caso che questi “strani cristiani” abbiano incontrato sulla loro strada (anche) un personaggio irregolare e originale come Sollers.

PASSIONE DANTESCA

“Repubblica” nel 1994 scriveva: “Anticipando sulle critiche che potranno essergli mosse, Sollers ricorda con ironia di esser stato bollato da quando ha cominciato a scrivere, di volta in volta o contraddittoriamente, come ‘classico, modernista, maoista, insignificante, pagliaccio, impostore, schizofrenico, paranoico, infantile, nullo, libertino, papista, voltairiano…’. Ormai ci ha fatto il callo e se ne infischia”.

Forse si può dire che Dante sia stato la passione della sua vita intellettuale. Un suo memorabile saggio del 1965, “Dante et la traversée de l’écriture”, pubblicato su “Tel Quel” (poi nel libro “L’écriture et l’experience des limites”, Editions du Seuil), impose il genio cattolico del Medioevo all’attenzione di tutta una platea di intellettuali marxisti, strutturalisti o abbeverati ad avanguardie e psicoanalisi. Un saggio geniale che mostrava Dante avanti di mille miglia rispetto alla modernità.

Iniziava così: “Poche opere sono separate da noi quanto la Divina Commedia: più vicina nella storia dell’Eneide, da cui trae origine, essa ci sembra tuttavia più lontana; commentata e ripetuta con un’erudizione maniacale, essa conserva ai nostri occhi il suo segreto. Il fatto è, senza dubbio, che essa è dissimulata nel più profondo della nostra cultura come un punto cieco, un enigma indefinito”.

Non sarebbe il caso di tradurre in Italia questo saggio e anche “La Divine Comédie” (Desclée de Brouwer), libro intervista di Sollers con Benoit Chantre?

Ciao Philippe, fratello irregolare, che tu sia accolto da “l’amor che move il sole e l’altre stelle”.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 20 maggio 2023

Print Friendly, PDF & Email