Clemente VII, nel settembre 1533, commissionò a Michelangelo il “Giudizio Universale” della Cappella Sistina, trent’anni dopo che aveva dipinto la volta. L’artista, a quasi 60 anni, accettò l’ardua impresa.

L’immenso affresco sembrerebbe un caotico ammasso di corpi, ma in realtà c’è una struttura simbolica profondamente meditata. Anche dal punto di vista teologico. Secondo Heinrich W. Pfeiffer sj “Michelangelo vorrebbe offrire allo spettatore un’architettura formata di corpi nudi: è probabile che con questo egli faccia riferimento alla Chiesa composta di membra vive”.

IL TRICOLORE ALLA SISTINA

Pfeiffer ha dedicato agli affreschi di quell’edificio vaticano un importante volume, “La Sistina svelata. Iconografia di un capolavoro” (Jaca Book). L’immensa rappresentazione – con Cristo giudice al centro – contiene più di quattrocento personaggi, spesso con richiami teologici, storici e spirituali che Pfeiffer, nel suo libro, decifra e studia.

Ma su un dettaglio vorrei soffermarmi. Nell’affresco compaiono tre donne: una velata di bianco assorta in preghiera (“Michelangelo ha probabilmente pensato a una personificazione della fede”), al suo fianco una figura vestita di rosso, “la personificazione dell’amore” e poco dietro una figura con un mantello verde che “è in posizione di rilievo e guarda in alto in direzione della volta, verso il punto in cui l’artista ha dipinto la Separazione della luce dale tenebre. Tale figura, probabilmente l’immagine della speranza, rappresenterebbe” scrive Pfeiffer “la moglie di Noè, madre di tutti i viventi dopo il diluvio universale”.

Com’è noto i colori simbolici delle tre virtù teologali – bianco (fede), rosso (carità) e verde (speranza) – appaiono già nella Divina Commedia, di cui Michelangelo era un lettore e conoscitore appassionato, e in un episodio di grande importanza.

Infatti così si presenta Beatrice a Dante nell’Eden: “sovra candido vel cinta d’uliva/ donna m’apparve, sotto verde manto/ vestita di color di fiamma viva” (Purg. XXX, 31-33). Sono anche i colori delle ghirlande dei tre gruppi della processione (Purg. XXIX, 84, 93, 148).

La bandiera italiana ha dunque i colori delle tre virtù teologali rappresentate da Dante e Michelangelo nei due più grandi capolavori dell’arte italiana.

UN’ALTRA STORIA

A dire il vero come bandiera nacque “ghibellina” perché Zamboni e De Rolandis idearono la coccarda tricolore nel 1794 in attesa di Napoleone contro lo Stato pontificio. Ma presero il bianco e il rosso dallo stemma di Bologna (che pare venga dalla prima crociata) aggiungendoci il verde “in segno della speranza”.

Peraltro di recente è stato notato che la milizia urbana di Milano, sotto gli spagnoli, nel 1633, indossava già una divisa bianca rossa e verde. Ma soprattutto, nel 2016, in una mostra a Onzo (Albenga), è stato esposto un dipinto sull’Assunzione al cielo di Maria del sacerdote e pittore Pietro Balestra dove si nota una bandiera con il tricolore, bianco rosso e verde.

Don Balestra morì nel 1789, quindi anticipò Zamboni e De Rolandis. È chiaro che il tricolore sotto l’Assunta rimanda ai colori delle tre virtù teologali nella Divina Commedia. Di fatto è la prima bandiera tricolore che si conosca.

Il Carducci, anticlericale, ma non ignaro di Dante, nel 1897, nel discorso per il primo centenario della nascita del Tricolore, a Reggio Emilia, interpretò il bianco, rosso e verde ricordando le “tre sacre virtù”, quelle di Dante, sia pure laicizzandole in chiave patriottica. Così, di fatto, riconciliando tutta la storia italiana.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 15 aprile 2023

 

 

Print Friendly, PDF & Email