“Nei suoi ultimi giorni alla Casa Bianca, Barack Obama ha approfittato dei poteri di cui ancora godeva per revocare la legge che garantiva il diritto di asilo ai rifugiati provenienti da Cuba non appena fossero riusciti a mettere piede sul territorio americano”.

Con questa notizia, che evidenziava una delle tante “ambiguità” Democratiche, iniziava la prefazione di Sergio Romano a un libro – uscito qualche anno fa – di Kelly M. Greenhill intitolato “Armi di migrazione di massa. Deportazione, coercizione e politica estera” (Leg Edizioni).

Perché un titolo così singolare? Spiegava ancora Romano: “l’autrice di questo libro, studiosa delle relazioni internazionali in una università americana, ha descritto alcuni casi degli ultimi decenni in cui i gruppi umani sono stati usati come ‘armi di migrazione di massa’”.

Un esempio è proprio quello di Cuba: in alcuni periodi Fidel Castro aveva cercato di fermare l’esodo di cubani verso gli Usa, ma “in altri casi si era occasionalmente sbarazzato in questo modo dei suoi dissidenti e in una particolare circostanza, nel 1980, si era spinto sino ad aprire le prigioni dell’isola per gettare sulle spiagge americane un buon numero di criminali comuni” con vari scopi, uno dei quali era “costringere gli americani a negoziare un accordo”.

Kelly M. Greenhill “nelle sue ricerche ha individuato fra il 1951 e il 2006 non meno di 56 casi in cui i movimenti organizzati di popolazione sono stati usati per raggiungere un obiettivo politico”.

A questa perfetta sintesi di Romano va aggiunto ciò che dice l’autrice: “circa tre quarti” di questi casi “sono riusciti a raggiungere almeno in parte gli obiettivi prefissati”.

La conclusione che traeva Romano era la seguente: “Uno studioso americano ha scritto che i migranti non sono soltanto gli effetti di un conflitto: sono anche un’altra arma, non meno efficace di quelle che vengono usate nelle guerre moderne”.

Va letta in questo contesto storico la dichiarazione di Matteo Salvini dei giorni scorsi: “Gli sbarchi di Lampedusa sono il simbolo di un’Europa che non c’è. Quando arrivano 120 mezzi navali in poche ore non è un episodio spontaneo, è un atto di guerra. Seimila persone in 24 ore non arrivano per caso”.

Le “anime belle” scandalizzate dalla parola “guerra” evidentemente non sanno che sono tanti i casi in cui si è dato il via a delle migrazioni per scopi politici (talvolta possono dichiarare questa “guerra” anche organizzazioni criminali o terroristiche o mafie)

Ci si può interrogare su quali potrebbero essere gli eventuali scopi politici dei recenti (numerosi) approdi su territorio italiano e su chi potrebbe perseguirli.

Ma una cosa è certa. L’emigrazione di massa dall’Africa non è un’inevitabile calamità naturale come il terremoto. Lungi dall’essere un destino ineluttabile a cui bisogna rassegnarsi e che non si può fermare (come ripetono le sinistre e i media), è invece un fenomeno squisitamente politico. Le cui cause (se si vuole) si possono rimuovere.

Perché politiche sono le cause della povertà africana. Infatti l’Africa è di per sé uno dei continenti più ricchi del mondo, forse il più ricco. Essa è più grande della somma di Cina, Usa ed Europa, è sottopopolata ed ha una popolazione giovane. Ha la più alta percentuale di terre coltivabili del mondo e potrebbe garantirsi da sola l’autonomia alimentare. È ricchissima di petrolio, gas naturale, uranio, coltan, ferro, legno, cobalto, platino, oro, diamanti e molte altre ricchezze.

Ha tutti i requisiti per garantire agli africani condizioni di vita che evitino l’emigrazione di massa. Purché si eliminino le zavorre che la penalizzano, in parte dovute alle classi dirigenti locali (spesso pessime), in buona parte allo sfruttamento di potenze di altri continenti. E purché arrivino nuove tecnologie e investimenti.

Il cambiamento di ottica che Giorgia Meloni propone a livello internazionale con l’idea del “Piano Mattei” è questo (e dovrebbe essere sostenuto dal Pd): guardare l’Africa non più come un problema, ma come una grande chance, anzitutto per le popolazioni africane, ma anche per il resto del mondo perché – oltre a evitare le migrazioni di massa – il suo sviluppo può essere trainante per tutti.

Però occorre abbandonare l’approccio rapace e devono essere la Ue e il G20 a farsi carico di varare un piano così ambizioso e promettente(altro che il costoso e dannoso Green Deal!).

In questo nuovo sguardo sull’Africa la Meloni ha un alleato molto importante: il Papa. Egli, il 6 novembre scorso, dopo aver sottolineato che l’Italia non può essere lasciata sola a fronteggiare le emigrazioni e che deve farsene carico la UE, citò la Merkel che diceva: “il problema dei migranti va risolto in Africa”.

Poi Francesco aggiunse: “Ma se pensiamo all’Africa con il motto ‘l’Africa va sfruttata’, è logico che la gente scappi da quello sfruttamento. L’Europa deve cercare di fare dei piani di sviluppo per l’Africa. Pensare che alcuni Paesi in Africa non sono padroni del proprio sottosuolo, che ancora dipende dalle potenze colonialiste! È un’ipocrisia risolvere il problema dei migranti in Europa, no, andiamo a risolverlo anche a casa loro. Lo sfruttamento della gente in Africa è terribile a causa di questa concezione. Se vogliamo risolvere il problema dei migranti definitivamente, risolviamo l’Africa”.

Purtroppo si fa ancora fatica a rinunciare allo sfruttamento dell’Africa. Non solo Cina, Russia e potenze islamiche. Ma anche la Francia e gli altri Paesi europei vogliono vedersela da soli e non escono dall’ottica coloniale. L’Italia è oggi il Paese leader di un’altra visione del mondo e può essere protagonista di una svolta storica.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 17 settembre 2023

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