In Vaticano è appena iniziato il “Sinodo sulla sinodalità”: una tale Babele, confusa e autodistruttiva, che è stata ribattezzata da qualcuno “Casinodo”.

Nei giorni scorsi il cardinale Raymond L. Burke ha dato la chiave di lettura più realistica dell’evento: È purtroppo molto chiaro che l’invocazione dello Spirito Santo da parte di alcuni ha per scopo il far andare avanti un’agenda più politica e umana che ecclesiale e divina”.

È l’agenda politica della sinistra. Del resto fra i partecipanti c’è Luca Casarini, di cui sono ignoti gli slanci mistici, ma sono noti quelli da estremista di sinistra (e alla presentazione del comizio super-ecologista “Laudate Deum” sono stati chiamati dei simboli della sinistra come Carlo Petrini, Vandana Shiva e Giorgio Parisi, il fisico che nel 2006 tanto si adoperò perché Benedetto XVI non parlasse all’Università di Roma).

Più dello Spirito Santo domina dunque lo spirito del tempo, quello delle mode ideologiche. Un sinodo mondano che appassiona i soliti media e i circoli clericali, ma non certo il popolo cattolico.

Non a caso all’inizio della “rivoluzione d’ottobre” vaticana, la creazione di 21 nuovi cardinali, il 30 settembre, la Piazza San Pietro era completamente vuota (vedi foto): non si ricorda una cerimonia di tale portata così disertata dai fedeli.

Dovrebbe far riflettere, fra l’altro, un sondaggio della rivista Il Regno che ieri Avvenire ha “sepolto” a pagina 16, ma che ha dovuto titolare così: “Si assottiglia il popolo delle parrocchie. È sempre più over. E vota centro(destra)”.

In effetti il popolo cattolico che va a messa ogni domenica “quando è davanti all’urna, sceglie il centrodestra, piuttosto che il centrosinistra. I picchi di assenti ai riti” spiega Avvenire “si registrano fra le fila della Sinistra (il 48% non va mai a messa) e del Terzo Polo (46%)”.

Ma questo sondaggio ci dice anche altre cose importanti. Anzitutto coloro che partecipano alla messa almeno una volta alla settimana sono il 18% della popolazione: nell’analogo sondaggio fatto nel 2009 erano il 28% (poco sotto il 30% medio dei precedenti tre decenni).

Siamo dunque di fronte a un crollo del 10% in soli 14 anni (ancora peggio va negli altri paesi occidentali). Un dato catastrofico che rappresenta la disfatta della Chiesa progressista che si occupa di tutti i temi mondani politicamente corretti – dai migranti, al clima, alla sinodalità – invece di parlare di Dio e annunciare Gesù Cristo.

La “Chiesa in uscita” dell’attuale pontificato non ha significato dunque un nuovo impeto missionario, come papa Francesco in buona fede pensava e sperava, ma l’uscita dalla Chiesa di molti battezzati.

Questo fenomeno è ancor più impressionante se si considera che, nella gente, c’è una forte domanda religiosa e un radicato senso di appartenenza alla cristianità. Infatti il sondaggio ci dice pure che “quasi sei italiani su dieci si dicono credenti in Dio” (il 57 per cento), il 61% prega e siamo una nazione che per due terzi si dice cattolica.

Cosa significano questi dati? Martedì scorso un commentatore laico come Massimo Gramellini, sulla prima pagina del Corriere della sera, analizzava una notizia: “Quattromila persone stipate in un palazzetto ad ascoltare un guru indiano”.

Gramellini affermava, giustamente, che è “l’elefante in mezzo alla stanza” che nessuno vuol vedere”. Questa notizia “non liquidabile con una smorfia, è il sintomo di un bisogno generato da un malessere non solo economico, ma esistenziale. Fa fatica a capirlo la cultura ufficiale… impregnata com’è di illuminismo… Ma fa fatica a capirlo anche la religione, altrimenti non si spiegherebbe perché ha rinunciato a parlare di temi spirituali per concentrarsi su quelli sociali”.

Nessuno sembra voler dare una risposta alla domanda di significato, alla ricerca di sé e al desiderio di Dio. “E dovremmo stupirci” chiede ancora Gramellini “se persino nella frenetica, pragmatica Milano il desiderio di rassicurazione e pace interiore riempie i palazzetti?

Proporre la conversione ecologica invece che la conversione a Gesù Cristo, come fa l’ultimo documento pontificio, può appassionare solo gli attivisti di “Ultima generazione”.

Ma non la gente comune, anche perché è già bombardata dai media e dalla Ue che – in nome della cosiddetta transizione ecologica – vuole che si spendano tutti i risparmi per acquistare auto elettriche e ristrutturare le case. Tutti hanno capito che questa “transizione”(peraltro del tutto irrilevante sul clima) per qualcuno sarà un affare, ma per la gran parte un disastro.

Peraltro è stupefacente che la Chiesa voglia ripetere l’errore che fece con il caso Galileo, trasformando in dogma di fede una teoria scientificache per sua natura è discutibile e può essere confutata (in effetti è contestata da molti scienziati). Rischia un altro naufragio. Ripete gli errori del passato invece delle cose grandi per sentirsi “moderna”.

Gianni Vattimo, anni fa, con provocatoria sincerità, disse a Vittorio Messori: “Un consiglio da laico: se proprio volete cambiare ancora, restaurate, non riformate. È tornando indietro, verso una Tradizione che tutti vi invidiavano e che avete gettato via, che sarete più in sintonia con il mondo d’oggi, che uscirete dall’insignificanza in cui siete finiti ‘aggiornandovi’ in ritardo. Con quali risultati, poi? Chi avete convertito da quando avete cercato di rincorrerci sulla strada sbagliata?”

Un convertito dall’ateismo al cattolicesimo è il neo premio Nobel, Jon Fosse. Ma è una conversione che risale al 2012, l’epoca di Benedetto XVI. Un personaggio di un suo romanzo dice qualcosa che il Vaticano di oggi dovrebbe meditare: essere cattolici è “un modo di vivere la propria vita che può somigliare all’essere un artista, perché entrambi creano una certa distanza dal mondo mentre al contempo indicano qualcos’altro, qualcosa che è presente nel mondo (…) e qualcosa di lontano dal mondo, qualcosa di trascendente”.

Come fa papa Francesco quando parla, commosso, dello sguardo di Gesù. È il suo volto che il mondo desidera incontrare, non la solita tiritera sul clima.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 8 ottobre 2023

 

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