L’apparente inattualità del Meeting di Rimini di quest’anno sull’“amicizia” ci libera dalla dittatura del presente, che è l’albero che non fa vedere la foresta, la soffocante attualità senza un passato e senza un futuro. E ci libera pure dall’ipnosi del negativo, del male, delle paure, del catastrofismo, delle demonizzazioni che ormai occupano tutta la scena pubblica.

Alla Fiera di Rimini si osserva l’oggi dall’alto di una cima dove lo sguardo può abbracciare tutto, la luce e le ombre. La vetta montana dell’“amicizia”, come desiderio di ognuno – grido di tutte le nostre solitudini – e come bisogno della vita del mondo, fa respirare e spalanca un orizzonte grande.

Così il Meeting 2023, che si apre oggi, mette a tema qualcosa che è da sempre nel Dna di questa manifestazione (si chiama appunto “per amicizia fra i popoli”) e che attraversa sia le esistenze individuali che i drammi attuali del mondo.

Infatti Papa Francesco, nel suo messaggio trasmesso dal Segretario di Stato vaticano, card. Parolin, ha definito “audace” e “in controtendenza”il tema scelto.

Perché in questo momento storico “purtroppo, la guerra e le divisioni seminano nei cuori rancori e paure”. Inoltre, prosegue il messaggio, “la comunicazione globale e pervasiva fa sì che questo atteggiamento diffuso diventi una mentalità, che le differenze appaiano sintomi di ostilità e si verifichi una sorta di epidemia di inimicizia”.
Questa “epidemia di inimicizia” ormai sta intossicando anche il discorso pubblico, i media, il confronto politico e il dialogo fra le persone che – lo testimoniano tristemente i social – si è radicalizzato in una devastante logica binaria (o di qua o di là) che ci rende incapaci di ascoltarci e di capire le ragioni dell’altro e la complessità dei problemi.

In Italia (e non solo) si ha l’impressione di vivere una sorta di guerra civile permanente (la demonizzazione del Nemico, le invettive apocalittiche e l’ansia diffusa ne sono i frutti). Ma è una guerra che abita anzitutto nei cuori e un po’ tutti ne portiamo la responsabilità.

È un gorgo – sottolinea il Papa – da cui “è impossibile uscire con le proprie forze. Da sempre l’umanità ne ha fatto esperienza. Per questo, in un momento preciso della storia, Dio ha preso l’iniziativa. Ci manda il suo Figlio, lo dona” scrive il Pontefice “affinché impariamo il cammino della fraternità, il cammino del dono. È definitivamente un nuovo orizzonte per tante situazioni di esclusione, di disgregazione, di chiusura, di isolamento. È una Parola che rompe il silenzio della solitudine”.

Bellissime queste parole del Pontefice: Gli amici fedeli […] sono un riflesso dell’affetto del Signore, della sua consolazione e della sua presenza amorevole. Avere amici ci insegna ad aprirci, a capire, a prenderci cura degli altri, a uscire dalla nostra comodità e dall’isolamento, a condividere la vita”.

Essere amici, diceva don Giussani, significa “amare il destino dell’altro sopra ogni cosa, al di là di qualsiasi tornaconto”.

Il messaggio conclude: La legge dell’amicizia è stata fissata da Gesù con queste parole: ‘Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici’ (Gv 15,13). Per questo il Santo Padre chiede ai cristiani e a tutti gli uomini e le donne di buona volontà di non rimanere sordi davanti al grido che sale a Dio da questo nostro mondo”.

È un’opera divina che è fatta anche di piccole cose – spiega il Pontefice – come “riconciliarci in famiglia, con gli amici o con i vicini, pregare per chi ci ha ferito, riconoscere e aiutare chi è nel bisogno, portare una parola di pace a scuola, in università o nella vita sociale, ungere di prossimità qualcuno che si sente solo…”.

Poi è fatta di grandi cose come – appunto – “l’amicizia fra i popoli”. A questo proposito il card. Parolin, parlando a nome del Papa, cita Benedetto XVIche diceva: “L’incontro delle culture è possibile perché l’uomo, nonostante tutte le differenze della sua storia e delle sue creazioni comunitarie, è un identico e unico essere. Quest’essere unico che è l’uomo, nella profondità della sua esistenza, viene intercettato dalla verità stessa”.

Inoltre Benedetto XVI focalizzò un problema, una questione ideologica, che riguarda in modo speciale il nostro tempo e la civiltà occidentalea cui apparteniamo. Siamo infatti attanagliati da una radicale inimicizia verso noi stessi.

Ratzinger, nel 2004, parlando dell’ostilità anticristiana che dilaga nella nostra cultura, disse: “C’è qui un odio di sé dell’Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico; l’Occidente tenta sì, in maniera lodevole, di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro. L’Europa” aggiungeva Ratzinger “ha bisogno di una nuova – certamente critica e umile – accettazione di se stessa, se vuole davvero sopravvivere. La multiculturalità, che viene continuamente e con passione incoraggiata e favorita, è talvolta soprattutto abbandono e rinnegamento di ciò che è proprio, fuga dalle cose proprie. Ma la multiculturalità non può sussistere senza basi comuni, senza punti di orientamento offerti dai valori propri. Sicuramente non può sussistere senza il rispetto di ciò che è sacro”.

Questa inimicizia verso se stesso dell’Occidente è diventata pure un’ideologia ostile all’uomo in quanto tale, un’ideologia che oggi sta diventando dominante.

Sempre il card. Ratzinger lo intuì, profeticamente, in un discorso del 1981: “Va prendendo piede un nuovo atteggiamento non meno deleterio, un atteggiamento che vede l’uomo come un guastafeste che rompe tutto e che è il vero parassita e la vera malattia della natura. L’uomo non ha più simpatia per se stesso… in questo modo non guariamo la natura, bensì distruggiamo noi e con noi il creato”.

Invece la Chiesa insegna un’“ecologia integrale” in cui la “difesa del pianeta” non sia una guerra all’uomo, alla sua vita e alla prosperità dei popoli.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 20 agosto 2023

Print Friendly, PDF & Email