Gian Antonio Stella, sul “Corriere della sera”, martedì scorso, ricordando la “spedizione di Magellano” (di cui ricorre il 500° anniversario) ha illustrato ed elogiato la preziosa relazione che ne fece il veneto Antonio Pigafetta.

Poi ha concluso il suo pezzo celebrativo sostenendo che il “leggendario condottiero” (Magellano) “avrebbe dimostrato definitivamente quanto avesse ragione chi sosteneva che la terra fosse rotonda e quanto torto avessero i terrapiattisti”.

Anche Gabriele Romagnoli ha scritto, su “Repubblica” del 6 agosto 2019, che “Magellano fece compiere la prima circumnavigazione del globo, dimostrando in modo inconfutabile (anche agli ottusi di oggi) che il pianeta è una sfera”.

In realtà nel Medioevo non credevano affatto che la terra fosse piatta. Ma questa incredibile fake news è stata ribadita nel 2019 (per i 500 anni dall’inizio della spedizione) perfino dall’allora presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, in un video celebrativo in cui diceva testualmente: “Cinquecento anni fa Ferdinando Magellano, alla guida di 260 uomini molto coraggiosi, partì per circumnavigare il mondo, dimostrando che la terra è rotonda”. Continua

“La caduta di Draghi è un trionfo della democrazia, non una minaccia alla democrazia”. È sorprendente leggere questo titolo sul “New York Times”, d’altronde fra altri pareri di segno opposto (quelli puntualmente citati dai giornali italiani).

Lo ha firmato Christopher Caldwell che poi individua precisamente da dove viene la vera minaccia alla nostra democrazia.

Caldwell è un opinionista autorevole. Collaboratore del Financial Times, scrive anche sul Wall Street Journal e il Washington Post, ha lavorato per il Weekly Standard, ha una quantità di titoli ed è autore fra l’altro del libro “Reflections on the Revolution in Europe”.

Il suo ragionamento sulla crisi di governo italiana e sui problemi che si troveranno ad affrontare i vincitori delle prossime elezioni è molto acuto.

Anzitutto egli sottolinea che Mario Draghi “ha un curriculum straordinario per uno statista contemporaneo”. I suoi tifosi, l’UE e i sostenitori dell’economia globale lo ritengono un simbolo democratico, un punto di riferimento nell’epoca attuale e giudicano la sua caduta una catastrofe.

“In una delle sue newsletter JPMorgan ha descritto le manovre parlamentari che hanno portato alla cacciata di Draghi come un ‘colpo di stato populista’ (…). Ma” osserva Caldwell “c’è qualcosa di strano nell’attribuire a Draghi il ruolo di simbolo della democrazia: nessun elettore da nessuna parte ha mai votato per lui” dunque, per quanto stimabile e capace egli sia, “le sue dimissioni sono un trionfo della democrazia, almeno come è stata tradizionalmente intesa la parola democrazia”. Continua

Dopo quattro mesi di guerra, il 21 giugno il Parlamento italiano potrà finalmente discutere sul conflitto Russia/Ucraina, in cui siamo stati “coinvolti” nostro malgrado, e così fornirà al governo la linea politica da tenere.

Per la verità il presidente del Consiglio finora ne ha fatto volentieri a meno, perché ha definito lui tale linea facendosi bastare la ratifica parlamentare del decreto governativo con cui, appena scoppiata la guerra, furono decisi i primi aiuti all’Ucraina.

Draghi ha pure evitato di andare in Parlamento prima del viaggio a Washington, nonostante le richieste di alcuni partiti della maggioranza. E in seguito ha ignorato gli inviti del maggior partito della coalizione, il M5S, a venire in aula a discutere sui nuovi invii di armi. Continua

Sta cambiando il vento per Mario Draghi? Di certo nessuno ha avuto il vento favorevole come lui, in questi quindici mesi del suo governo.

È difficile ricordare, nella storia repubblicana, un esecutivo sostenuto dalla quasi unanimità del Parlamento e dal coro – pressoché completo – dei media (nazionali e internazionali), oltreché dai governi occidentali. Peraltro senza conflittualità sociale (che non è poca cosa).

Data questa situazione favorevolissima, di cui mai nessuno aveva goduto, si speravano e si annunciavano grandi risultati. Invece oggi la situazione non è affatto entusiasmante e si cominciano a vedere delle crepe nel consenso al premier e al suo governo. Continua

L’analisi più intelligente e realista, per capire la tragedia in corso fra Russia e Ucraina è uno straordinario articolo di Henry Kissinger, To settle the Ukraine crisis, start at the end, pubblicato sul Washington Post il 5 marzo del 2014 (eccolo QUI tradotto dal blog di Massimo Borghesi). Alla luce degli ultimi eventi questa analisi è ancora più attuale. E non a caso lo stesso Kissinger cita positivamente il pensiero di Solzenicyn, sulla vicenda Russia/Ucraina.

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Oggi tutti siamo sconcertati dalla drammatica scelta bellica della Russia e ci chiediamo cos’ha in mente Putin. Eppure, quando arrivò al potere, nel 1999, tese la mano all’Occidente, ipotizzando perfino l’adesione alla Nato. Ci fu l’accordo di Pratica di Mare con Bush, propiziato da Berlusconi, nel 2002, e l’ingresso della Russia nel G7.

Ma subito dopo gli Usa chiusero quella porta e capovolsero l’atteggiamento verso la Russia. Perché?

Anche una personalità di grande statura morale come il Premio Nobel Aleksandr Solzenicyn (1918-2008), provò a farci capire il tragico errore dell’Occidente. Basta leggere il suo libro “Ritorno in Russia. Discorsi e conversazioni 1994-2008” (Marsilio). Continua

PARLA FALCONE  

La separazione delle carriere di giudici e Pm, su cui è stato indetto un referendum approvato dalla Corte Costituzionale, rappresenta un attacco all’ordine giudiziario? O è una riforma salutare?

Cosa ne pensava – per esempio – Giovanni Falcone che della magistratura è un simbolo prezioso?

Si può leggere la sua opinione, al di sopra di ogni sospetto, nel volume “Interventi e proposte (1982-1992)”, pubblicato nel 1994 da Sansoni editore con la Fondazione Giovanni e Francesca Falcone. Continua

L’Unione Europea sta per dichiarare guerra al vino e non sarà solo una guerra contro l’Italia, ma pure contro la cultura e la storia della nostra civiltà.

Ecco la notizia: martedì 15 febbraio verrà discusso al Parlamento europeo il cosiddetto “Cancer Plan”. Il quale, di per sé, ha una finalità giusta, combattere il cancro, ed avrà pure un finanziamento di 4 miliardi a integrazione delle risorse investite dagli Stati. Solo che vogliono perseguire questa sacrosanta finalità mettendo nel mirino anche il vino.

L’Unione italiana vini già prevede effetti devastanti per il settore se il piano non sarà cambiato (un crollo del 35% del fatturato, che equivale a 5 miliardi di euro l’anno). Continua

Un vecchio leader democristiano, Pierluigi Castagnetti, che i media ritengono molto vicino al presidente Mattarella, nei giorni scorsi – considerando la tensione fra Usa e Russia – ha scritto un tweet alquanto saggio:

Non scherzare col fuoco. Va bene la reazione USA alla minaccia russa di invadere l’Ucraina con 175000 uomini. Va bene la vicinanza UE all’Ucraina. Ma che facciamo per evitare che? Forse è ora di dire che la pretesa russa che l’Ucraina non entri nella Nato ha qualche senso”.

Parole di realismo andreottiano. Infatti l’ingresso dell’Ucraina nella Nato – peraltro in violazione degli impegni presi con Mosca dai presidenti americani – non è solo una questione diplomatica fra Usa e Russia, ma è un rischio colossale per tutti noi: potrebbe essere la scintilla che rischia di trascinarci in un conflitto, prima economico, con disastrose sanzioni e grossi problemi per le forniture di gas, ma forse poi anche militare. Continua

Nel discorso di venerdì alla Leopolda, Matteo Renzi ha parlato dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica: “sarà la priorità assoluta” ha detto “cercheremo un profilo riformista, europeista, che sia contro il sovranismo”.

Sono parole che sorprendono in un leader accorto e preparato come Renzi. Infatti il programma politico e ideologico che lui ha delineato non c’entra nulla con la figura del Capo dello Stato e con la sua elezione. Continua

CONTRADDIZIONI 1

Nel libro, appena uscito, di Lodovico Festa e Giulio Sapelli, “Draghi o il caos. La grande disgregazione: l’Italia ha una via d’uscita?” (Guerini), a un certo punto si legge:

“Nelle scorse settimane Michel Barnier, pur severo negoziatore della Brexit per conto di Bruxelles e rigido accusatore di Londra perché non accettava ‘la giurisprudenza europea’, da candidato tra i gollisti per la presidenza della Repubblica francese, ha messo in discussione le fondamenta della Corte di Giustizia di Lussemburgo (e questo nel momento in cui sono sotto accusa per non voler accettare la supremazia legislativa di Bruxelles, Polonia e Ungheria), e ha chiarito perché un corpo giudiziario a cui non corrisponde un corpo realmente legislativo espressione del popolo non possa essere una soluzione istituzionale accettabile”.

I due autori osservano che “un approccio un po’ schizofrenico di questo tipo fa intendere drammaticamente come il processo di integrazione continentale sia giunto a un punto critico” e si chiedono “quanto può durare un’acrobatica prassi comunitaria che evita di fare i conti con le contraddizioni di fondo dell’ordine europeo, come ad esempio quelle tra i poteri apertamente rivendicati dalla Corte costituzionale tedesca e la già ricordata richiesta di primazia giuridica da parte della Corte di Bruxelles?” Continua