Quando si torna a parlare della Brexit e l’Unione Europea si comporta sempre più spesso come un super Stato, che sovrasta gli Stati, torna di grande attualità il filosofo conservatore inglese Roger Scruton.

Il suo “Manifesto dei conservatori” fu pubblicato in Italia da Raffaello Cortina Editore nel 2007 con una prefazione di Giuliano Ferrara il quale scriveva: “mi ritrovo nelle sue idee portanti e anche nelle osservazioni apparentemente più laterali, dal di dentro della mia esperienza di conservatore d’occasione”.

In effetti il suo giornale, “Il Foglio”, nel corso degli anni, ha contribuito molto a far conoscere e apprezzare Scruton in Italia. Forse più di chiunque altro. Tuttavia se rileggiamo questo “manifesto” del filosofo oggi troviamo idee che sono l’opposto di quelle sostenute dal quotidiano di Ferrara. Potrebbe essere definito un “Manifesto dei sovranisti” dal “Foglio” che notoriamente vede i cosiddetti sovranisti come il fumo negli occhi.

Il titolo del primo capitolo infatti è “Conservare le nazioni”. E l’esordio è inequivocabile: “Le democrazie devono la loro esistenza alle lealtà nazionali (…). La democrazia non si è mai radicata dove l’idea di nazionalità sia debole o addirittura inesistente (…). Tuttavia, l’idea di nazione è ovunque sotto minaccia – disprezzata come un’atavica forma di unità sociale o, perfino, accusata di essere causa di guerra e conflitti, una cosa che deve essere cancellata e sostituita con forme di giurisdizione più illuminate e universali”.

Il riferimento di Scruton è anzitutto all’Unione Europea. Infatti prosegue: “Nella storia d’Europa siamo a un punto di svolta… Sussiste ancora la possibilità di riguadagnare quei poteri legislativi e procedure esecutive che hanno plasmato gli stati-nazione europei. Allo stesso tempo, però, si è messo in moto un processo che consentirebbe di privare i nostri parlamenti e i nostri tribunali di ciò che resta della loro sovranità, che cancellerebbe i confini delle nostre giurisdizioni, che dissolverebbe le nazionalità europee in una collettività storicamente insignificante, senza alcun tipo di unità… Ciò che io sostengo non è che lo stato-nazione sia la sola risposta ai problemi di un governo moderno, ma che sia l’unica risposta che abbia dimostrato la sua validità”.

Forse questo giudizio storico di Scruton andrebbe approfondito, perché non c’è dubbio che, dopo la seconda guerra mondiale, la cooperazione fra i Paesi europei – prima con l’istituzione della Comunità economica del carbone e dell’acciaio (Ceca) nel 1951; poi con la Comunità economica europea (Cee) del 1957 – sia stata utile.

Ma è altrettanto vero che con la nascita dell’Unione Europea (attraverso i Trattati di Maastricht del 1992 e di Lisbona del 2007) si è messa in moto quella desovranizzazione che Scruton vede come un pericolo mortale per gli stati-nazione. Anche perché questa svolta degli anni Novanta (che comprende anche la moneta unica, istituita senza che vi sia uno Stato europeo e una Costituzione europea) fu concomitante (e in sintonia) con la globalizzazione che ha sottomesso gli stati nazionali alla signoria dei Mercati. Fenomeno che, a sua volta, ha assestato un colpo duro alle sovranità nazionali.

Democrazia a rischio? Sì. Infatti il nono capitolo del libro di Scruton è dedicato a “Neolingua ed eurocratese” ed è un’acuta demolizione del gergo della UE: “l’eurocratese – come la neolingua orwelliana – esemplifica l’intolleranza nei confronti di qualunque opposizione all’agenda fondamentale”.

 

Antonio Socci

 

Da Libero, 4 febbraio 2023

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