“Madre de’ Santi, immagine/ della città superna;/ del Sangue incorruttibile/ conservatrice eterna;/ tu che, da tanti secoli,/ soffri, combatti e preghi,/ che le tue tende spieghi/ dall’uno all’altro mar;/ campo di quei che sperano;/ Chiesa del Dio vivente…”.

Così inizia la Pentecoste di Alessandro Manzoni, l’ultimo dei suoi Inni sacri. Non so se è già stato notato – probabilmente sì e io arrivo per ultimo – ma Pier Paolo Pasolini doveva avere in testa il verso manzoniano “soffri, combatti e preghi”, quando ha scritto “Difendi, conserva, prega!”, il verso chiave della sua famosa poesia “Saluto e augurio”, pubblicata esattamente 50 anni fa, nel marzo 1975, su “Almanacco dello Specchio”, prima di essere raccolta nel volume La nuova gioventù, l’ultimo libro che pubblicò in vita, che richiamava la raccolta del 1954, La meglio gioventù. Continua

I giovani, i giovani… quanti vecchi sessantottini sempre lì a blandire “i gggiovani”. Oggi come ieri, come l’altro ieri, una valanga di untuosa melassa, una sequela insopportabile di retorica giovanilistica, come se i giovani avessero sempre ragione, anche se dicono sciocchezze o si mostrano intolleranti e prepotenti. Com’è cominciata questa commedia?

Nella famosa poesia in cui si schierava con i poliziotti (proletari) contro gli studenti (figli di papà), negli scontri romani di Valle Giulia (simbolo ed esordio del ’68), a un certo punto Pier Paolo Pasolini scriveva: “Adesso i giornalisti di tutto il mondo (compresi quelli delle televisioni)/ vi leccano (come credo ancora si dica nel linguaggio/ delle Università) il culo. Io no, amici”. Continua

Nelle polemiche di oggi sugli incidenti fra manifestanti e polizia è stata evocata la famosa poesia di Pier Paolo Pasolini sugli scontri di Valle Giulia, evento simbolo del ’68 italiano.

Tutti sanno che lo scrittore simpatizzò con i poliziotti e non con i manifestanti. Questa poesia è molto spesso citata, ma è poco conosciuta nella sua interezza. Si trova oggi nel IV volume di Tutte le poesie (Garzanti) alla pagina 687 con il titolo: “Il Pci ai giovani!!”. Continua

Dieci anni fa l’Osservatore romano ha scritto che Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini “rimane un capolavoro, e probabilmente il miglior film su Gesù mai girato”. Martin Scorsese ha detto la stessa cosa.

Non so se è proprio così. Ma quell’opera pluripremiata, datata 1964 (quest’anno ha 60 anni), rappresenta anzitutto un dramma irrisolto, per il suo autore e per il mondo culturale italiano (laico-marxista ieri e oggi genericamente progressista) che non ha mai fatto veramente i conti con il cristianesimo. Continua

Secondo una nota battuta “il tratto di mare in cui spariscono più persone non è il Triangolo delle Bermude, ma quello tra il Dire e il Fare”. Va dispersa specialmente la credibilità politica in quel braccio di mare dove la sinistra organizza frequenti crociere. Continua

“La democrazia” scriveva Arnold Toynbee “è una pagina strappata dal Vangelo”. Infatti lì sono state proclamate la libertà personale e la sacralità (non del Potere, ma) di ogni essere umano. Il limite invalicabile all’arbitrio del Potere.

Oggi l’importanza del cristianesimo nella formazione della civiltà occidentale è contestata. Anzi, è un’eredità rifiutata. Così i cristiani spesso reagiscono più con battaglie di civiltà (pur comprensibili e giuste), a difesa di un’eredità, che concentrandosi sull’essenziale. Ma cos’è l’essenziale? Continua

Cosa c’è in comune fra don Emilio De Roja e Pier Paolo Pasolini? Anzitutto il Friuli. Don Emilio è morto trent’anni fa e a lui è dedicata una bella mostra attualmente ospitata dal Meeting di Rimini. Pasolini è nato cento anni fa e a lui – e a suo fratello Guido – è dedicato un libro, appena uscito, di Andrea Zannini, “L’altro Pasolini” (Marsilio).

Il fratello partigiano di Pier Paolo, conosceva don Emilio perché il sacerdote udinese faceva parte, come lui, della brigata partigiana Osoppo. Sono due grandi storie purtroppo dimenticate che si intrecciano.

La morte di Guido – generoso e idealista – è stata il grande dolore della vita di Pier Paolo che, sebbene più grande, aveva scelto di non andare con lui in montagna. In una sua poesia del 1966 scriverà: “Piango ancora, ogni volta che ci penso/ su mio fratello Guido,/ un partigiano ucciso da altri partigiani, comunisti”. Continua

Il 22 settembre 1974 sul “Corriere della sera” uscì uno dei memorabili articoli di Pier Paolo Pasolini di quella stagione (poi raccolto negli “Scritti corsari”). Erano gli anni della scristianizzazione trionfante. Lo scrittore rifletteva sugli ultimi mesi del pontificato di Paolo VI arrivando a conclusioni drammatiche: “Il Potere reale non ha più bisogno della Chiesa e l’abbandona quindi a se stessa”.

Poi aggiungeva:

Se molte e gravi sono state le colpe della Chiesa (…) la più grave di tutte sarebbe quella di accettare passivamente la propria liquidazione da parte di un potere che se la ride del Vangelo (…). Essa dovrebbe passare all’opposizione (…) contro un potere che l’ha così cinicamente abbandonata, progettando, senza tante storie, di ridurla a puro folclore. Dovrebbe negare se stessa per riconquistare i fedeli (o coloro che hanno un ‘nuovo’ bisogno di fede) che proprio per quello che essa è l’hanno abbandonata. Riprendendo una lotta che è peraltro nelle sue tradizioni (la lotta del Papato contro l’Impero) ma non per la conquista del potere, la Chiesaproseguiva Pasolini “potrebbe essere la guida, grandiosa ma non autoritaria, di tutti coloro che rifiutano (…) il nuovo potere consumistico che è completamente irreligioso, totalitario, violento; falsamente tollerante, anzi, più repressivo che mai; corruttore; degradante. (…) O fare questo o accettare un potere che non la vuole più: ossia suicidarsi”. Continua