Secondo una nota battuta “il tratto di mare in cui spariscono più persone non è il Triangolo delle Bermude, ma quello tra il Dire e il Fare”. Va dispersa specialmente la credibilità politica in quel braccio di mare dove la sinistra organizza frequenti crociere.

ADAMO ED EVI

Lo conferma anche la vicenda della co-portavoce di “Europa verde”,Eleonora Evi che, nel pieno della campagna scatenata dalla sinistra contro il “patriarcato” (espressione con cui vogliono mettere sotto accusa la destra, che peraltro ha eletto un premier donna), ha reso noto di essersi dimessa dalla carica in polemica con Angelo Bonelli, accusandolo di aver costruito “un partito patriarcale e personale”.

Spiega: “Mi dimetto, non sarò la marionetta del pinkwashing, la donna di facciata, la foglia di fico”. Poi ha ricordato che per analoghi motivi si è dimessa anche un’altra co-portavoce (del Lazio): Simona Saraceno.

Qualcuno deve aver pensato che era il caso di contrapporle una donna ed è scesa in campo Luana Zanella che però lo ha fatto con un argomento decisamente controproducente: “Non bisogna mai usare in modo strumentale la parola patriarcato”.

Ma non è proprio la sinistra che nelle ultime settimane ha usato a piene mani, in modo strumentale, la parola patriarcato?

IL PATRIARCALE ‘68

Si sono mostrati particolarmente zelanti nell’accusa generalizzata di patriarcato alcuni provenienti dall’estremismo del ’68. Eppure proprio il ’68 è stato un esempio di maschilismo stando alla testimonianza di Christine Delphy, sociologa che fu vicina a Simone de Beauvoir, “femminista, materialista e figlia del Maggio ‘68” (fu pure arrestata).

Lo spiegò in una intervista a “Millennium” – mensile del “Fatto quotidiano” – nell’ottobre 2017 (era il numero dedicato appunto al 50° anniversario del ’68).

Alla giornalista che le chiese se il ’68 “fu l’inizio anche di una rivoluzione sessuale”, rispose: “Non proprio, perché era pensata dagli uomini. Le donne avevano la libertà di dire sì, ma non quella di rifiutarsi. Dovevano essere pronte a fare sesso con tutti e soddisfare i loro capricci, in nome di una specie di liberazione”.

Più maschilismo di così…

(S)COPERTINE

Fu anche per reazione a questo “patriarcato” dei compagni che sorsero i primi collettivi femministi. Ed esplose la “rivoluzione femminista”, a proposito della quale Nando dalla Chiesa, sul “Fatto quotidiano” (1/12), ha scritto:

“Il mondo ‘progressista’ la fece formalmente sua. Ma negli anni Ottanta accadde una cosa che doveva pur allarmare. I settimanali impegnati e progressisti iniziarono a fare a gara a mettere in copertina donne nude, provocanti, ammiccanti, con ogni pretesto. In alcune riunioni di redazione si chiedeva addirittura, come fosse l’asso da poker, ‘ma abbiamo la f… in copertina?’. Rientrò così dalla finestra la donna-oggetto. Perché ‘vendeva’. Il fatto non apparve grave ma piuttosto ‘libertario’. Erano stati o no quei settimanali in prima fila per i diritti della donna a partire dal divorzio? Con quell’alibi (…) tornò in forma nuova il vecchio mondo”.

E la sinistra si perse ancora una volta nel braccio di mare tra il Dire e il Fare.

L’ABIURA DI PPP

Oggi le occorrerebbe l’anticonformismo sofferto di Pasolini: non solo la sua critica al ’68, ma la sua “Abiura dalla Trilogia della vita”, sui “doverivertenti la lotta per il progresso (…) la tolleranza, il collettivismo”, per capire che “la degenerazione è avvenuta proprio attraverso una falsificazione dei loro valori”.

 

Antonio Socci

Da “Libero”, 2 dicembre 2023

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