E’ imbarazzante oggi per papa Bergoglio beatificare Paolo VI perché è il suo esatto contrario.

Negli anni Sessanta esplode nel mondo la rivoluzione radicale e marxista che farà danni immani prima col comunismo e poi con la sua deriva nichilista (da rileggere Augusto Del Noce).

Paolo VI è il grande profeta che si oppose a questa catastrofe annunciata e tentò di alzare un muro contro l’invasione radicale e marxista nella Chiesa. Bergoglio invece è colui che vuole abbattere quel muro.

 

I DUE OPPOSTI

 

Papa Montini seppe andare contro il conformismo del pensiero unico per difendere la Chiesa e la vera fede. Fu abbandonato e isolato da tutto l’establishment intellettuale cattoprogressista (buttatosi a sinistra) che prima vedeva in lui un punto di riferimento.

Accettò l’isolamento e la loro ostilità per restare fedele a Cristo anche a costo di archiviare le sue personali sensibilità culturali (cioè fece prevalere Pietro su Simone come era suo dovere).

Il cardinale Ratzinger, alla sua morte disse: “Paolo VI ha resistito alla telecrazia e alla demoscopia, le due potenze dittatoriali del presente. Ha potuto farlo perché non prendeva come parametro il successo e l’approvazione, bensì la coscienza, che si misura sulla verità, sulla fede”.

Papa Bergoglio fa l’esatto contrario e usa il sistema mediatico laicista, a lui totalmente osannante, per uniformare la Chiesa al mondo “politically correct” e per affermare le “sue” personali idee (facendo prevalere Simone su Pietro).

Paolo VI con l’eroismo profetico della “Humanae vitae” intuì e denunciò la distruzione dell’umano, dei rapporti affettivi e del valore della vita, che stava per essere perpetrata (e il panorama di macerie di oggi, 50 anni dopo, ne è la prova).

Invece il “bergoglismo” a quella liquefazione nichilista dell’umano, come si è visto al Sinodo, pensa di strizzare l’occhio.

Montini è il papa che per primo ha intuito l’“emergenza antropologica” oggi esplosa e che ha formulato quei “principi non negoziabili” che oggi Bergoglio misconosce e rottama.

Infatti Paolo VI legò la “Humanae vitae” alla “Populorum progressio”, mostrando che la difesa della dignità umana dal concepimento alla morte naturale, ovvero la legge naturale (di cui la Chiesa è custode), è la base di ogni vero progresso economico, civile e sociale.

Invece l’epoca Bergoglio addirittura abbandona la categoria di legge naturale che è sempre stato un pilastro del magistero della Chiesa (e ha pure fondato il diritto internazionale).

 

AUTODEMOLIZIONE

 

Paolo VI intuì che c’erano lobby e ideologie, interne ed esterne al mondo cattolico, che volevano “usare” il Concilio per scardinare la Chiesa. E prima impedì colpi di mano rovinosi al Concilio (anche con la famosa “Nota explicativa Praevia”). Poi denunciò, sempre più drammaticamente quelle correnti cattoprogressiste che puntavano all’“autodemolizione” della Chiesa.

Papa Bergoglio rappresenta invece la bandiera e il simbolo attuale di quel cattoprogressismo che negli anni Sessanta portò la Chiesa – per dirla con Paolo VI – in un tempo di “nuvole, tempesta e buio” (basti pensare alle decine di migliaia di religiosi che abbandonarono l’abito).

Papa Montini denunciò il modernismo come sintesi di tutte le eresie e sottolineò che la Chiesa cattolica ha come missione primaria la “rigorosa conservazione della Rivelazione autentica, e la considera come tesoro inviolabile, e ha una coscienza così severa del suo fondamentale dovere di difendere e di trasmettere in termini inequivocabili la dottrina della fede; l’ortodossia è la sua prima preoccupazione”.

Papa Bergoglio, al contrario, arriva addirittura a scagliarsi contro chi usa “un linguaggio completamente ortodosso” (Ev. gaud. n. 41) e bolla continuamente come “farisei” coloro che chiedono fedeltà alla dottrina cattolica.

Egli infatti contrappone la misericordia alla dottrina come se Gesù Cristo non fosse al tempo stesso la misericordia e la Verità. Al tempo di Bergoglio la parola “misericordia” – come si è visto al Sinodo – si degrada a discutibile accondiscendenza ai costumi e alle ideologie mondane.

Invece papa Montini proclama che la Chiesa è vincolata al “Depositum fidei”, cioè all’insegnamento della Verità, che “costituisce per essa un tale impegno, che sarebbe tradimento violare. La Chiesa maestra non inventa la sua dottrina; ella è teste, è custode, è interprete, è tramite; e, per quanto riguarda le verità proprie del messaggio cristiano, essa si può dire conservatrice, intransigente; e a chi la sollecita di rendere più facile, più relativa ai gusti della mutevole mentalità dei tempi la sua fede, risponde con gli Apostoli: Non possumus, non possiamo (Act 4,20)”.

 

ANNI DI PIOMBO

 

Verso la fine del suo pontificato, nei bui anni Settanta, nei quali la menzogna dell’ideologia si trasformava in dilagante violenza politica e in odio anticristiano, considerando la situazione della Chiesa ormai terra di conquista di ideologie avverse e di dilaganti eresie, nel divampare delle contestazioni, Paolo VI affermò addirittura che “il fumo di Satana è entrato nel tempio di Dio”.

Verità drammatica. Un giorno all’amico Jean Guitton confidò: “C’è un grande turbamento in questo momento nel mondo e nella Chiesa, e ciò che è in questione è la fede. Capita ora che mi ripeta la frase oscura di Gesù nel vangelo di san Luca: ‘Quando il Figlio dell’uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?’ (…). Rileggo talvolta il vangelo della fine dei tempi e constato che in questo momento emergono alcuni segni di questa fine”.

Infine papa Montini ebbe questa intuizione profetica: “Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non-cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte. Ma esso non rappresenterà mai il pensiero della Chiesa. Bisogna che sussista un piccolo gregge, per quanto piccolo esso sia”.

Poi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, figli spirituali di Paolo VI, hanno rappresentato la rinascita della fede, la riscoperta di Gesù da parte dei giovani e la ricostruzione della Chiesa devastata dai “bombardamenti”. Si sono avversate le eresie e l’invasione delle ideologie. Ma il ritiro di Benedetto XVI ha rappresentato il ritorno al buio degli Anni Settanta che angosciava Paolo VI.

E il Sinodo di questi giorni è stato il più pericoloso tentativo del “pensiero non cattolico” di diventare maggioritario all’interno della Chiesa e di farsi magistero.

 

L’INAUDITO

 

Tuttavia la “rivolta” dei pastori ortodossi di giovedì scorso (anniversario dell’elezione di Wojtyla), è stato un evento epico e quasi miracoloso.

La Chiesa fedele alla tradizione quel giorno ha prevalso. Così è stato scritto che, come era accaduto al Concistoro, papa Bergoglio si è trovato in minoranza, praticamente “sfiduciato”.

Per questo nel suo discorso conclusivo è corso ai ripari cercando di smarcarsi dai più progressisti e ritagliarsi una tardiva posizione super partes. Fra chi diceva che due più due fa quattro (ortodossi) e chi sosteneva che fa sei (Kasper), Bergoglio ha proclamato che fa cinque. Gesuitico. Ma sbagliato.

La linea “rivoluzionaria” di Kasper, che ha sempre detto (mai smentito) di parlare a nome di Bergoglio, non ha vinto. Ma non è chiaro quali siano le conclusioni del Sinodo.

Bergoglio, citando Benedetto XVI, ha ricordato una verità che molti suoi sostenitori in questi giorni hanno dimenticato: “la Chiesa è di Cristo” e “il Papa non è il signore supremo, ma piuttosto il supremo servitore… il garante dell’ubbidienza e della conformità della Chiesa alla volontà di Dio, al Vangelo di Cristo e alla Tradizione della Chiesa, mettendo da parte ogni arbitrio personale”.

Forse la verità è che ci ha provato e (per ora) non c’è riuscito. Alla fine c’è un solo risultato certo: la spaccatura della Chiesa e una gran confusione sul suo magistero.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero” 19 ottobre 2014

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