Rubrica 68
Il Medio Eco
Bisogna essere grati a Umberto Eco che periodicamente torna a ricordarci che nel Medioevo sapevano benissimo che la terra è rotonda.
Lo avevamo già letto anni fa, nella sua rubrica sull’Espresso, “La bustina di Minerva”, dove citava un interessante volume di un autore inglese il quale aveva ridicolizzato l’idea moderna secondo cui i medievali credevano che la Terra fosse piatta.
Sulla Repubblica (23/2) Eco torna a spiegare che questo pregiudizio antimedievale è del tutto infondato. Del resto basta aver sfogliato la Divina Commedia per capire che il suo autore e i suoi lettori sapevano benissimo che la Terra è rotonda.
Casomai bisognerebbe che Eco avesse il coraggio di fare i nomi. Scrive infatti: “si è sostenuto (anche da parte di seri storici della scienza) che il Medioevo aveva dimenticato questa nozione antica, e l’idea si è fatta strada anche presso l’uomo comune”. Ecco, mi chiedo: perché non dire chi sono questi “seri storici della scienza”?
In secondo luogo Eco potrebbe aggiungere una scoperta recente spiegata da Horia-Roman Patapievici, nel libro “Gli occhi di Beatrice”. Questo autore, che ha insegnato fisica all’università di Bucarest e ha lasciato la carriera accademica per dedicarsi agli studi umanistici, ha ricostruito la vera cosmologia dantesca e ha scoperto, con immensa sorpresa, che il poeta fiorentino, ha costruito un modello straordinariamente simile alle teorie dell’universo che sei secoli dopo sarebbero state definite da Albert Einstein.
Altro che buio Medioevo. Che ne dicono i “seri storici della scienza” ?
Pure Serra…
Aldo Grasso, critico televisivo del Corriere della sera, capace di guidarti nel mare procelloso della tv conservando sempre (ed esercitando) il senso del ridicolo, nell’assegnare le pagelle del Sanremo 2009 (Corriere 22/2), nota due fatterelli preziosi per capire la nostra casta intellettuale.
Primo: “Niccolò Ammaniti, Michele Serra, Alda Merini, Paolo Giordano e Dacia Maraini sono stati gli autori di un testo, una missiva speciale indirizzata idealmente al festival, che è stata letta, anzi ‘recitata’ da attori di rango. Trovato il successo, perso il senso del ridicolo”.
Benigni e maligni
Una seconda punzecchiatura è per Roberto Benigni che – dice Grasso – “non sorprende” con la sua scontata e conformistica apologia della cultura gay: “se al posto di Oscar Wilde avesse letto e spiegato il XV dell’Inferno su Brunetto Latini avrebbe dimostrato più coraggio”.
Grasso qui (ricordando le letture dantesche fatte da Benigni, anche a Sanremo) fa riferimento al girone infernale dei sodomiti dove si trova appunto ser Brunetto.
Ma se il comico toscano, anziché la missiva di Wilde, avesse spiegato il Canto XV dell’Inferno, avrebbe mostrato un Dante per nulla “politically correct” e per nulla benignesco: dunque ne è stato alla larga.
Questo coraggio non è roba da Benigni che si rifugia nel suo terreno, i banali lazzi da festival dell’Unità.
La Divina Commedia è un’altra cosa. E’ il cristianesimo, la cognizione dolorosa della nostra condizione e la commozione della Bellezza, cioè del perdono e della Grazia.
Perciò è anticonformista, veramente sovversiva, provocatoria, urticante per i gusti dominanti. Dante è stato un uomo libero che per non tradire se stesso e la verità, accettò in vita, oltre all’esilio decretato dalla malagiustizia politica, pure l’umiliazione di veder disprezzato il Poema sacro, mentre nelle corti di quel tempo venivano esaltati autori che neanche gli legavano le scarpe (oggi pressoché dimenticati).
Ricorda Anna Maria Chiavacci Leonardi, nella prefazione al “Purgatorio” (Meridiani Mondadori): “l’incoronazione di poeta fu concessa, lui vivo, ad Albertino Mussato, autore di una tragedia, l’Ecerinis, che nessuno oggi legge più, quando già erano in circolazione Inferno e Purgatorio”. Rifletta Benigni…
Fonte: © Libero – 24 febbraio 2009