Forse Emilio Fede al Tg4 potrebbe lanciare come una scoperta “berlusconiana” lo scoop su Caravaggio. Da anni gli specialisti erano alla ricerca del luogo e della vera data di nascita di Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, uno dei più straordinari artisti della nostra storia.
Il 14 febbraio scorso è avvenuta la clamorosa scoperta del certificato di battesimo e l’altroieri la notizia è diventata pubblica sui giornali. Adesso sappiamo che l’artista è nato nel 1571 a Milano (non nel paese bergamasco da cui provenivano i genitori). Due particolari significativi per capire la sua opera. Ma ci sono anche due curiosità che potrebbero entusiasmare Emilio Fede (chissà se legge le pagine culturali….).

Innanzitutto lo scopritore, Vittorio Pirami, oggi pensionato e cultore di studi archivistici, è un manager della Fininvest. E poi la data di nascita del grande Michelangelo è il 29 settembre. Data che spiega la scelta del nome – quel giorno è la festa dell’Arcangelo san Michele – e fa percepire la profonda religiosità della famiglia. Ebbene quella data contiene anch’essa una curiosa coicidenza: c’è infatti un altro famoso personaggio – contemporaneo – che è nato a Milano un 29 settembre. Si chiama Silvio Berlusconi.
Chissà quante illazioni berlusconiane si potrebbero fare sul genio milanese che scende in una Roma manierista e rivoluziona la storia (dell’arte).

D’altra parte ieri sull’Unità Maurizio Calvesi ha provveduto ad arruolare Caravaggio nel centrosinistra scrivendo che egli “era interprete dell’ala pauperista della Controriforma, quella di san Filippo Neri e dei Borromeo”. E che “incontrò in vita opposizioni, si direbbe oggi, di segno ‘politico’, giacché all’ala pauperista, che predicava l’assistenza ai poveri considerandoli immagine del Cristo, si contrapponeva in Curia un pensiero radicalmente opposto e maggioritario, che, più o meno, giudicava i poveri colpevoli della loro povertà”.

Una ricostruzione politica davvero fantasiosa e inverosimile. E’ semmai il calvinismo che ha quella concezione della povertà. E i calvinisti erano a quel tempo i nemici della Chiesa di Roma, la quale era prodiga di mille e mile opere di carità. E poi il Caravaggio era protetto dai Borromeo (la famiglia di San Carlo e del cardinal Federico), da papi, nobili romani e cardinali. Farne un “politico” pauperista è surreale.

Peraltro Calvesi aggiunge che la scoperta della vera data di nascita (1571 anziché 1573) smonta la stupefacente notizia che a 17 anni Caravaggio avesse ricevuto una delle più importanti commissioni pittoriche di Roma (le storie di san Matteo), cosa che, a dire di Calvesi, “concorreva a rinforzare la leggenda del ‘pittore maledetto’, ovvero del Rimbaud della pittura, precosissimo, ateo, sprezzante di ogni vincolo e perché no anche omosessuale; per di più violento e assassino”.
Calvesi definisce questa come una “aberrante costruzione, le cui fondamenta erano state poste dal primo biografo del pittore, che però, vedi caso, era un suo acerrimo nemico: Giovanni Baglione”.

In realtà non pare che lo scarto di due anni nella data di nascita faccia venir meno la precocità del pittore lombardo. Né la tempestosità della sua vita.
Invece ha ragione Calvesi quando afferma che il Caravaggio fu un “pittore drammaticamente religioso”. E’ vero. E per capirlo bisogna ascoltare il grande critico che lo ha svelato alla nostra generazione, Roberto Longhi.
Dopo la grande pittura rinascimentale che aveva costruito un monumento all’ idea dell’ “uomo” con tele dove anche la luce era “anodina”, dove tutto era simbolo o rimando ai canoni iconografici, irrompe il Caravaggio con questi sprazzi drammatici di luce nelle tenebre: “il dirompersi delle tenebre rilevava l’accaduto e nient’altro che l’accaduto”, spiega Longhi.
Le sue tele, aggiunge il critico, colgono “l’attimo di cronaca”. “Caravaggio” spiega anche Guttuso “riafferma il principio secondo cui non concetti astratti o prevenute concezioni filosofiche siano da incollare sulla tela, ma la conoscenza della realtà, le cose come esse sono… le cose da sole esprimono idee, filosofia e storia, perché da esse si sprigiona il ‘presente’ e il suo suono, la nuova condizione umana”.

Ad un cristianesimo che rischia continuamente di cristallizzarsi in fredda dottrina, in astratta morale, in ritualità o ideologia (anche sociale), i santi – e Caravaggio che è cresciuto alla scuola di uomini come san Carlo e sull’onda del grande Concilio tridentino – mostrano che invece il cristianeismo è un avvenimento, un fatto del presente, che sta accadendo ora, che stupisce e commuve oggi proprio come duemila anni fa nei polverosi villaggi di Galilea.
Caravaggio rappresenta la storia cristiana come avvenimenti di cronaca, che hanno per scenario i vicoli di Roma, la gente a lui contemporanea. Volti e gesti di luce che irrompono nelle tenebre della vita quotidiana, nel buio del cuore e della storia.

E’ questa sua genialità – legata allo strepitoso talento pittorico – che ne fa uno dei più grandi artisti cristiani di tutti i tempi. Insieme all’altro Michelangelo, il Buonarroti, al cui genio (anch’esso cristianissimo) i Papi hanno affidato addirittura di esprimere la forma architettonica del centro della cattolicità romana. Cadono proprio in questi mesi i 500 anni della nuova Basilica di San Pietro che porta la firma del Buonarroti, come pure la Cappella Sistina.

E’ singolare che i due più grandi artisti della cattolicità portino lo stesso nome. Si pensava che per il piccolo Merisi fosse stato scelto quel nome in onore del grande artista toscano, ma la scoperta della data di nascita svela che entrambi furono così chiamati in onore dell’Arcangelo San Michele.
E qui la coincidenza si colora di mistero. Egli è infatti – nelle Sacre Scritture – il capo delle schiere angeliche, colui che nel combattimento primordiale sconfisse Satana e gettò gli angeli ribelli nell’Inferno. Il suo nome, “Mi ka’ el”, in ebraico significa “Chi è come Dio?”. E questo fu il grido di battaglia con cui debellò Lucifero che voleva sostituirsi all’Onnipotente.
Il nome dell’Arcangelo esprime perciò “fedeltà e umiltà, un grido di amore, una scelta incondizionata nel servire Dio” (Jeanguenin). Per questo nella storia cristiana è venerato come protettore della Chiesa. La sua raffigurazione, con la lancia in mano, spicca sui pinnacoli delle cattedrali. San Gregorio Magno sostenne che “san Michele è presente in qualunque grande avvenimento della Chiesa”. Devotissimi all’Arcangelo furono i più grandi santi come san Francesco e padre Pio.

Il 13 ottobre 1917 a Fatima si verificò la straordinaria “danza del sole” davanti a 70 mila persone, giornalisti compresi, accorse per le apparizioni della Vergine. Era il segno preannunciato, la prova della veridicità delle profezie della Madonna (poi verificatesi). Esattamente 33 anni prima, il 13 ottobre 1884, papa Leone XIII alla fine della messa ebbe una terribile visione nella quale sentì la voce di Satana che minacciava di distruggere la Chiesa e vide la Basilica San Pietro scossa fin dalle fondamenta (era una visione profetica del secolo che stava arrivando).
Sconvolto il pontefice volle scrivere lui stesso una preghiera a San Michele Arcangelo, per invocare la sua potente protezione. E volle che fosse recitata alla fine di ogni Messa. Fu recitata fino al 26 settembre 1964 quando, nell’atmosfera conciliare, fu decretata la sua abolizione. Seguì una delle tempeste più devastanti per la Chiesa. In un appello del 24 aprile 1994 Giovanni Paolo II chiese insistentemente ai fedeli di recitare ogni giorno quella preghiera. In effetti per la Chiesa questo è il tempo della grande battaglia, il tempo dell’Arcangelo.

Fonte: © Libero – 28 febbraio 2007

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