Il Corano sefardita? L’Islam sefardita? Sembra uno scoop. La discussa (e discutibile) intervista di Gianfranco Fini all’Espresso contiene questa perla nascosta: “l’alternativa è la scuola di via Quaranta a Milano o l’imam di via Anelli che non predica il Corano, ma una versione sefardita per cui l’Islam è sulla punta della spada”.

Com’è noto “Sefarad” è una parola ebraica che significa Spagna: “sefardita” indica la provenienza di alcuni ebrei e oggi denomina uno dei riti dell’ebraismo (insieme a quello ashkenazita e a quello italiano). Che l’imam musulmano di via Anelli possa insegnare un rito ebraico pare improbabile, a meno che Fini non disponga di informazioni inedite ed eccezionali. Sono pronto naturalmente – ove il presidente di An documentasse questo suo scoop – a inchinarmi a cotanta scienza, ma al momento sospetto che gli sia scappato un “sefardita” mentre voleva parlare piuttosto di “versione salafita” dell’Islam (il termine “salafita” indica una corrente particolarmente integralista del mondo musulmano, la più militante del wahabismo saudita).

Un banale lapsus? Può essere. Ma c’è anche un’altra ipotesi: una imbarazzante superficialità. Strano per uno che è stato ministro degli Esteri (francamente non brillante). Forse è anche il sintomo della scarsa dimestichezza del Centrodestra con la cultura e con la lettura. Nei giorni scorsi Berlusconi ha annunciato una clamorosa iniziativa in proposito: la fondazione di una “Università del pensiero liberale”, “all’americana”, che dovrebbe “scardinare il ‘monopolio della sinistra’ in campo culturale ed accademico e formare la ‘futura classe dirigente moderata’ ”.
Fantastico, ottimo progetto. Ma spero che la genialità creativa del Cavaliere lo consigli meglio sulla realizzazione, perché le anticipazioni dicono che a insegnarvi saranno chiamati “personaggi di livello internazionale come Mikhail Gorbaciov”. Che l’ultimo leader comunista dell’Unione sovietica, segretario di quel Pcus che ancora perseguitava i dissidenti, venga chiamato a fare da pilastro di una “università del pensiero liberale” che intende “scardinare il monopolio della sinistra” e formare “la classe dirigente moderata” – si ammetterà – è almeno bizzarro.
Non che Gorbacev non possa proficuamente insegnare in un prestigioso ateneo, ma difficilmente potrà essere maestro di pensiero liberale e paladino della lotta al pensiero di sinistra. Infine che si annunci il suo nome insieme a quello di altri “grandi personaggi” come Bill Clinton e Bill Gates fa pensare a un altro “Bill”, il mitico Buffalo Bill che da fascinoso eroe della Prateria decadde fino a diventare un fenomeno da circo. Una Università può fare una “rivoluzione culturale” in Italia con questi “grandi nomi” come grandi attrazioni (vecchi dinosauri della politica del secolo scorso)? Non denota un’idea della cultura un po’ approssimativa e “televisiva”? In fondo Gorbacev è già stato ospite a Sanremo…

E qui torniamo al caso Fini, che non è solo un problema di confusione fra “sefarditi” e “salafiti”. Ma di eccessiva disinvoltura con le idee. Di recente il leader di An ha firmato una prefazione entusiasta al libro di Nicolas Sarkozy, “Témoignage”. Bene. Solo che il prossimo candidato gollista all’Eliseo sta portando il centrodestra francese nella direzione opposta alla sua (e a quella laicista di Chirac). Le idee, le grandi scelte politiche, non sono chiacchiere.
Fini ha un eloquio accattivante ed efficace (di scuola almirantiana), ha la battuta tagliente e un aspetto signorile. Ma ricordo una stroncatura fatta da un intellettuale di Destra che lo rappresentava come un “Fini dicitore”, uno dalla loquela sciolta e dalla poca sostanza, un leader politico dedito più alla pesca subacquea che alle letture, insomma un politico dall’aspetto elegante e “sotto il vestito niente”.

A questo ritratto impietoso va aggiunto un elemento che ultimamente si è fatto dirompente: la spregiudicatezza. In due casi la spregiudicatezza di Fini è stata coraggiosa, giusta e molto proficua: quando ha “lasciato la casa del padre” fondando Alleanza Nazionale dalle ceneri del Msi e quando ha condannato il fascismo e le leggi razziali avvicinandosi a Israele. Due svolte storiche di cui porta il merito.
Tuttavia la politica, le idee e la storia sono (o dovrebbero essere) cose serie, da maneggiare con cautela e rispetto. E quando il coraggio di due rotture storiche, diventa un disinvolto e quotidiano “rompere gli schemi” (e le scatole) con salti della quaglia su tutto si rischia di degenerare nel trasformismo e nella poca serietà. La citata intervista all’Espresso ha fatto notizia per due ennesime “svolte finiane”: sulle unioni di fatto “anche gay” e sul Corano da insegnare a scuola.
Sortite che hanno un chiaro significato politico e seguono altre, continue fughe in avanti, come il voto amministrativo agli immigrati o la stroncatura del film di Martinelli “Il mercante di pietre” (definito da Fini “becera propaganda” anti islamica). Tutte trovate che mostrano un politico a caccia dell’applauso dei media progressisti e politically correct. Questa disinvoltura ha toccato l’apice con il voltafaccia di Fini sul referendum 2005 sulla procreazione assistita: da un giorno all’altro il leader di An ha totalmente (e senza dare vere spiegazioni) ribaltato le sue posizioni pubblicamente sostenute fino all’approvazione della legge (poche settimane prima). Una vera “eterogenesi dei Fini”. Durante la campagna referendaria ferocemente laicista dei giornali, il leader di An arrivò pure ad attaccare la Chiesa.

Poi una maggioranza record, il 75 per cento degli italiani, bocciò i referendum radicali sostenuti dalle Sinistre, dai media e da Fini. Ma l’esito fallimentare della sua “svolta” non ha indotto il leader a nessun “mea culpa”, non lo ha fatto riflettere sul grave errore di seguire il laicismo radicale o i mass media “progressisti”. Né ha trasformato il mal di pancia di An in discussione, sfiducia e salutare defenestrazione del segretario. Anche nel 1999, quando Fini ebbe la geniale idea di aggregarsi a Segni formando, per le Europee, la lista dell’Elefantino, che portò al più grave crollo di consensi della storia di An, il presidente del partito non subì contraccolpi (i colonnelli di An sembrano farsela sotto davanti a lui).
Questo lo ha persuaso di potersi permettere un piglio cesarista. Ultimamente – ad esempio – ha “aderito” all’idea della Federazione dei partiti di centrodestra, ma all’intervistatore che gli chiedeva se una tale svolta passerà per un congresso (come sarebbe ovvio), ha risposto lapidario: “lo escludo”. Questo è l’altro colossale problema del centrodestra. Può un’alleanza che si dice liberaldemocratica eludere disinvoltamente al suo interno (nella vita dei partiti) le salutari procedure dei congressi e delle verifiche, insomma quel meccanismo noto nel mondo come “democrazia” ?

Come può Fini continuare a guidare un partito che ha idee opposte su temi cruciali e addirittura candidarsi a guidare l’intero centrodestra? Con i voti dei radicali? O con quelli degli immigrati? In politica sono entrati di prepotenza i temi etici e si ha l’impressione che i dirigenti della Casa delle libertà spesso confondano l’etica con l’etichetta e la bioetica con la cosmetica. Fini col referendum ed ora con l’apertura sulle “coppie gay” sembra stare con i radicali. Proprio mentre la senatrice Ds Anna Serafini (moglie di Fassino) mette in guardia dal “laicismo” e sembra prefigurare una Sinistra più seria e meno pannelliana. Meglio la Serafini di Fini.

Fonte: © libero – 30 dicembre 2006

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