Rubrica 38
LEONE D’ARGENTO
Ma dov’è finito il Sessantotto? A furia di metterci in guardia dal mare di rievocazioni, abbiamo finito col passare tutto sotto silenzio e soprattutto senza riflessione.
In televisione a parte “Dodicesimo Round” che – a notte fonda – ha dedicato una serie di puntate brillanti e intelligenti all’evento, non si è visto quasi niente.
Sui giornali ancora meno.
Eppure ce ne sarebbero di miti e riti da “rivisitare”.
Stiamo perdendo un’occasione? A volte qualche lampo di memoria brilla nei posti più impensati. Come un’intervista a Dario Argento sulla Repubblica (28/6).
Parlando di Sergio Leone si rievoca il film del ’68, “Giù la testa” e Argento dice: “E’ il suo film più insincero, gradasso, con quelle citazioni di Mao. Pomposo. E del ’68 non gliene fregava proprio niente”.
UN ALITO IMPORTANTE
Già. Mao. Attorno al ‘68 questo tiranno è stato letteralmente venerato in Occidente.
Oggi viene citato perlopiù per modi di dire innocui o aneddoti.
Come quello di Andrea Marcenaro che rievoca “la fila di vergini fuori dalla porta del Comitato centrale” (Il Foglio 28/6).
A proposito dei suoi vizi sessuali da despota orientale rimando ad Alberto Pasolini Zanelli, “Il genocidio dimenticato (la Cina da Mao a Deng)”.
Quando Hailé Selassié in visita a Pechino chiese al tiranno quale fosse stato in vite umane il costo “delle vittorie del socialismo dopo il 1949”, Mao rispose: “Cinquanta milioni di morti” (Eugenio Corti, “L’esperimento comunista”).
Ma sappiamo che furono molti di più.
Cionondimeno non si è mai vista l’intellighentsia occidentale di allora insorgere.
Paul Hollander nel libro “Pellegrini politici” cita Simone de Beauvoir: “la vita in Cina oggi è incredibilmente bella… Un’infinità di sogni sono possibili all’idea che ci sia un paese che paga al popolo l’intero corso di studi, dove generali e uomini di stato sono studiosi e poeti”.
Pare che una sola cosa del Grande Timoniere creava disagio ai nostri intellettuali: la fiatella.
Come racconta Pasolini Zanelli: “aveva sempre rifiutato di pulirsi i denti, limitandosi a sciacquarli con il the: ‘Le tigri – affermava – non usano lo spazzolino’, con il risultato che aveva denti verdi e gengive purulenti”.
Si può immaginare l’alito del Grande Timoniere. Nei salotti non era apprezzato come la sua rivoluzione.
BANDIERA ROTTA
Raymond Aron nel suo “L’oppio degli intellettuali” (appena uscito da Lindau) si chiede se “il mito della rivoluzione, alla fine, non si riallacci al culto fascista della violenza”. E cita una frase di Sartre, tratta dal dramma “Il Diavolo e il buon Dio”.
Avrebbe potuto trovarne una migliore nel bellissimo “Cigni selvatici” di Jung Chang, un grande libro che racconta l’odissea di tre donne nella Cina del Novecento.
Vi si trova questa massima di Mao: “Comincia a distruggere: la ricostruzione verrà da sé”.
Questa stupefacente idiozia doveva giustificare l’orrenda serie di distruzioni e violenze a cui dette il via con la “rivoluzione culturale” (una sorta di rivoluzione interna allo stesso regime comunista, che fece un mare di vittime).
Non solo violenze sulle persone, massacrate senza pietà e nei modi più sadici, ma anche sulle cose: dai teatri e i musei ai libri, bruciati in tutta la Cina dalle Guardie rosse perché “non erano stati scritti tutti negli ultimi mesi e quindi non citavano Mao a ogni pagina”, fino alle statue antiche”.
Pasolini Zanelli ricorda anche la “caccia ai pianoforti”, che venivano “demoliti a colpi di accetta”, mentre i violini erano “schiantati contro le pareti” (naturalmente insieme a pianisti e violinisti).
Infatti “Beethoven e Mozart erano nemici del popolo, ‘ideologi borghesi’ ”.
Vi ricordate un’insurrezione del nostro mondo culturale? Non pervenuto.
Fonte: © Libero – 1 luglio 2008