New age

Contraddittori, dal punto di vista culturale, i primi riferimenti del nuovo presidente Obama.
In una dichiarazione ha indicato Reinhold Neibuhr come uno dei suoi autori preferiti. Un saggio bello e originale di Gianni Dessì su “30 Giorni” (12/2008) ne spiega le sorprendenti implicazioni. Il titolo “Se il realismo di Niebuhr arriva alla Casa Bianca!” già fa intuire il contenuto.
Ma Obama, nel corso della campagna elettorale aveva indicato anche un altro suo riferimento culturale, esattamente opposto al primo: Gioacchino da Fiore.
Stupisce che un giovane americano di oggi conosca questo monaco calabrese del Medio evo. E soprattutto sorprende che abbia definito Gioacchino “Maestro della civiltà contemporanea” e “ispiratore di un mondo più giusto”.
Il pensiero di Giacchino è variamente declinato oggi soprattutto in ambienti, per così dire, iniziatici. Ma Aldo Civico, esperto di Relazioni Internazionali e docente alla Columbia University, che lavorava nello staff di Obama, spiegò all’Adn-Kronos: “Conosco questi riferimenti e richiami, ma non sono io ad avergli fatto conoscere Gioacchino da Fiore o ad avergli ispirato queste citazioni. È stata un’autonoma scoperta culturale da parte di Obama”.

C’è stata un implicito richiamo a Gioacchino, se si vuole, anche nello slogan della manifestazione di insediamento, che annunciava “una nuova era”.
Ma questo orizzonte millenarista dell’Abate da Fiore è stato la fonte di ispirazione di una gran quantità di utopie e di ideologie moderne, compresi i classici della filosofia idealista e fino a pensatori contemporanei come Francis Fukukjama.
Lo spiega Massimo Borghesi in uno straordinario volume appena uscito, “L’era dello spirito. Secolarizzazione ed escatologia moderna” (Studium 2008).
C’è solo un problema: Niebuhr-Agostino sembra l’opposto di Gioacchino. Dessì e Borghesi, due intellettuali che fra l’altro sono stati condiscepoli di Augusto Del Noce (e sono amici) dovranno decifrare quale sarà la strada di Obama e spiegarcela.

U.s.a e getta

Il presidente Obama ha firmato un ordine esecutivo con il quale è stata abolita la “’Mexico City Policy”, cioè quella norma voluta dal presidente Reagan con cui gli Stati Uniti misero fine ai finanziamenti verso “le organizzazioni internazionali che promuovevano l’aborto nei Paesi in via di sviluppo”.

Con Obama i finanziamenti riprendono. Questa notizia – che sembra connotata da un’ideologia francamente imperialista – è uscita dappertutto.
Ma Avvenire (29/1) ne ha aggiunta una che ne fa intuire le conseguenze. Ha spiegato che “i più felici” sono quelli dell’International Planned Parenthood Federation (Ippf) “una delle lobby abortiste più agguerrite d’America”.
Ed ecco la dichiarazione, riportata da Avvenire, che è stata fatta da Gill Greer, che è appunto direttore generale della Ippf: “Abbiamo stimato che durante l’amministrazione Bush sono stati tolti almeno 100 milioni di dollari in progetti di salute riproduttiva in 100 Paesi in via di sviluppo”. Poi ha aggiunto: “In base a cifre riconosciute a livello internazionale possiamo dire che questi fondi sarebbero serviti a prevenire 36 milioni di gravidanze non desiderate”. Riprende Avvenire: “Come a dire: i fondi tolti da Bush con la sua azione anti-aborto hanno permesso la nascita di 36 milioni di bambini”.

Ma – se questa è la realtà – cosa significa la ripresa dei finanziamenti? La questione aborto, nelle sue dimensioni planetarie, è ancora poco esplorata. Pur essendo un’enormità.
C’è da chiedersi se, fra cinquant’anni, i nostri nipoti ci accuseranno di aver taciuto, con indifferenza, mentre stava accadendo tutto questo sotto i nostri occhi. Per chiarirsi le idee – almeno su quanto succede in Italia – può servire il libro di Mario Palmaro, “Aborto e 194. Fenomenologia di una legge ingiusta” (Sugarco). La lettura potrà irritare certi palati laici, ma certamente farà riflettere.

Fonte: © Libero – 3 febbraio 2009