Matteo Renzi all’assemblea del Lingotto passa dal sogno del partito della nazione all’incubo del partito della fazione e non sarà certo la valorizzazione del ministro Martina (non proprio una personalità smagliante) ad evitarlo, né la “vaga e ambigua rincorsa populista” dell’ex premier “fondata sull’imitazione di temi e suggestioni ‘grilline’ ”, come scrive Stefano Folli, perché è del tutto incoerente con la natura del Pd (percepito da tutti come pilastro dell’establishment) e perché alle (improbabili) imitazioni gli elettori preferiscono sempre l’originale.

Al Lingotto il politico toscano cerca un difficilissimo rilancio perché la sua stella politica è obiettivamente molto ammaccata (al di là del problema delle inchieste, che però pesa), dopo la sconfitta al referendum, la perdita di Palazzo Chigi, la dolorosa “scissione” nel Pd e la contesa sulla segreteria con antagonisti veri come Orlando ed Emiliano.

Bisognerebbe aggiungere a questo quadro pure la sconfitta in America dell’establishment Obama/Clinton che era il vero punto di forza internazionale dell’ex premier.

Di sicuro è finita la stagione dell’unanimismo renziano e il suo potere incontrastato. Matteo sembra essersi bruciato in pochi mesi la grande chance che aveva avuto.

La sua irruzione sulla scena aveva suscitato notevoli speranze, anche nell’elettorato moderato, ma – dopo tre anni di potere quasi assoluto, gestito con abilità comunicativa, ma pure con arroganza – il suo bilancio è fallimentare.

Infatti non è riuscito a intaccare l’elettorato del M5S né quello di centrodestra e ha perso la Sinistra. Ha visto crollare tutte le sue tentate riforme (peraltro discutibili) al punto da poter rivendicare come grande (e unico) merito del governo la legge sulle “unioni civili”.

Cosicché oggi abbiamo la nostra economia in fondo alla classifica Ue, le banche nel caos, l’industria che è un terreno di conquista degli stranieri, la disoccupazione giovanile al 40 per cento, la povertà che avanza, ma in compenso le coppie omosessuali possono celebrare in Comune un simil-matrimonio. Non sembrerebbe un bilancio trionfale…

RESA AL LAICISMO

La “conquista” della legge Cirinnà paradossalmente è l’unica cosa su cui sono d’accordo pure gli scissionisti di D’Alema. Ed è emblematico. Perché i due filoni da cui è nato il Pd – ex comunisti ed ex sinistra dc – hanno trovato un solo terreno comune: l’approdo alla cultura radicale-pannelliana.

Come aveva previsto quarant’anno fa Augusto Del Noce. L’esito del cattoprogressismo è stata la resa alla cultura laicista. E lo sdoganamento che i comunisti cercavano – per far dimenticare il loro passato – è avvenuto egualmente attraverso l’adesione all’ideologia laicista.

Questo spiega perché non hanno più una cultura politica di riferimento né gli uni né gli altri. Sono ideologicamente e politicamente subalterni al “pensiero unico” mercatista, mondialista e “liberal” che aveva in Obama e nella Clinton i suoi pilastri imperiali e nella Germania della Merkel, di fatto padrona della Ue, la sua traduzione continentale.

Renzi al Lingotto ripropone la minestra riscaldata di un obamismo casereccio, ma fuori tempo massimo, giacché nemmeno l’Obama originale sta più alla Casa Bianca.

DISTRAZIONE DI MASSA

L’altro sponsor internazionale di Renzi è la Merkel e questo spiega perché anche stavolta il segretario del Pd potrà abbaiare un po’ contro la Ue, ma senza mordere, cioè senza mettere in discussione davvero la subalternità italiana alla politica e agli interessi economici della Germania (che passa anche dalla gabbia soffocante dell’euro).

Al Lingotto si farà un po’ di spettacolo, magari con un carosello di ideuzze che però sono pannicelli caldi per non affrontare il vero problema: la gabbia politico-economico-monetaria che sta strozzando l’Italia.

Né Renzi, né gli scissionisti dalemiani hanno il coraggio, la capacità e la preparazione per fare una storica autocritica e imboccare un’altra strada.

Ecco perché gli scissionisti denunciano sì la grave sofferenza sociale del paese, ma senza spiegarne le vere cause, imputandola tutta e solo a Renzi, che in realtà è stato il semplice “fiduciario” della politica dell’eurocrazia (a guida tedesca).

Infatti pure gli scissionisti non hanno nessuna prospettiva diversa in quanto l’Ulivo prima e il Pd poi sono nati proprio da questa subalternità all’eurocrazia franco-tedesca.

LOTTA DI POTERE

Così finiscono per azzuffarsi solo attorno a Renzi e al suo modo personalistico di esercitare il potere (cosa che, in vista delle elezioni, avrebbe significato la loro decimazione nelle liste dei candidati).

Del resto Enrico Rossi (governatore della Toscana, uno dei leader degli scissionisti) ad Alan Friedman che gli chiedeva se è ipotizzabile un ritorno nel Pd in caso di vittoria di Andrea Orlando, ha risposto: “Se ne può discutere”.

E’ in corso una polemica su questa frase, poi malamente precisata. Ma è evidente che l’unico vero motivo di rottura dei dalemiani è Renzi.

Si tratta quindi di una lotta per il potere, una rissa personalistica dentro al Pd ed è abbastanza curioso e sorprendente che gli ex diccì siano riusciti a fare le scarpe agli ex comunisti che tutti credevano molto più rocciosi e tosti.

Tutto questo però resta una bega di Palazzo. Lontanissima dalla vita concreta della gente. Il Pd e la Sinistra stanno litigando sul Titanic.

Il Paese, che ha bisogno di una politica, vera e forte, per scongiurare il declino e il baratro, deve guardare altrove.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 11 marzo 2017

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(nella foto: il filosofo cattolico Augusto del Noce)

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