Non si sa se questo PD sopravvivrà alla disfatta elettorale, al vuoto di leadership e di strategia, allo smarrimento di identità e alla caotica, conflittuale, estenuante “costituente” che si è avviata con le dimissioni di Enrico Letta.

Non si sa se il Pd esploderà in mille pezzi, con il M5S, da una parte, e il duo Renzi/Calenda, dall’altra, che se ne contendono le spoglie. I sondaggi sono sempre più cupi e – negli ultimi tempi – la Sinistra, nel suo insieme, ha rovinosi crolli di immagine sui media.

Di certo però il Pd – seppure ancora radicato nell’establishment – non è più quel “partito del sistema” che è stato, nell’ultimo decennio, al centro della vita pubblica e del potere politico.

Oggi è il centrodestra guidato da Giorgia Meloni, con la legittimazione elettorale di cui il PD non disponeva (non avendo mai vinto le elezioni politiche), ad essere riconosciuto – a livello nazionale e internazionale – come il pilastro del sistema Italia.

È una svolta importante che va compresa alla luce della storia. Negli ultimi trent’anni, infatti, abbiamo vissuto una rivoluzione senza esserne pienamente coscienti. Non solo la rivoluzione tecnologica, ma anche una rivoluzione geopolitica mondiale.

Certo, in Italia ci siamo resi conto – all’inizio degli anni Novanta – della fragorosa fine della prima repubblica, con la sparizione dei partiti storici: era l’Italia imperniata sulla DC che aveva portato la democrazia, aveva compiuto la ricostruzione, il miracolo economico e una straordinaria modernizzazione.

Ma non era facile, nei tempestosi anni Novanta, capire cosa si stava sostituendo ai partiti storici e in particolare alla DC. Per alcuni anni la magistratura e la presidenza della Repubblica sono sembrati i poteri più solidi, mentre si stavano affermando sempre più, nel mondo, il dominio dei mercati globali e le istituzioni sovrannazionali, come l’Unione Europea.

Il fenomeno che chiamiamo globalizzazione non puntava a spazzare via i governi, i parlamenti e gli stati, ma piuttosto ad avvolgerli in sistema di governance che imbrigliasse le democrazie nazionali in modo da renderle dipendenti da istituzioni sovrannazionali e dall’ordine globale del mercato.

In sostanza si è trattato una progressiva e consensuale cessione di sovranità (consensuale da parte delle classi dirigenti) che ha portato, in Italia, a una perdita di potere e di capacità di intervento dei parlamenti e dei governi, a una diffusa sfiducia nella politica e a conseguenti ondate di antipolitica.

Ovviamente è vero che viviamo nel tempo dell’interdipendenza ed è vero che molti fenomeni vanno governati a livello sovranazionale. Nessuno può isolarsi e fare da sé. Ma si può (e si deve) stare dentro alleanze e accordi internazionali da protagonisti, evitando una totale cessione di sovranità e sapendo difendere i nostri interessi nazionali.

L’Italia dell’ultimo decennio non lo ha fatto. Ha sostanzialmente subìto le strategie altrui, anche nella UE dove tutti hanno difeso accanitamente i propri interessi nazionali (eccetto noi).

È stato il decennio del Pd e dei suoi governi. Il PD ha inseguito il sogno di diventare il “partito della nazione” (soprattutto con Renzi), ma non ha mai ottenuto il voto degli italiani per vincere le elezioni politiche e diventare quello che fu la DC.

Perciò si è accontentato di essere il partito del sistema, quello che – pur non avendo avuto i voti per vincere dagli italiani – aveva la fiducia e l’investitura dell’establishment e delle realtà sovrannazionali (anzitutto la UE e i mercati).

Perché i governi PD facevano le politiche loro gradite, non alzavano la voce nei consessi internazionali e non si battevano per affermare i nostri interessi nazionali. Non avevano proprie strategie e obiettivi. Questo ha reso marginale e sempre più irrilevante l’Italia nella UE e nel contesto globale.

Oggi le cose stanno cambiando, non solo grazie alla legittimazione elettorale (e alla stabilità) di questo governo. In un solo mese la premier si è guadagnata attenzione e stima a livello internazionale.

La sua decisa linea atlantica le ha permesso di stabilire un rapporto positivo con gli Stati Uniti, tanto più prezioso ora che il ritorno della “guerra fredda” con la Russia restituisce importanza strategica al nostro Paese (e gli offre addirittura la possibilità di diventare l’hub energetico dell’Europa).

Significativo (e poco notato) anche il dialogo positivo con papa Francesco al cui insegnamento il centrodestra è molto più attento della sinistra. Abbiamo bisogno di unità e dialogo.

Ci potrebbero essere le premesse di un nuovo “miracolo economico”. Ma è necessario che il Paese sia liberato dalla cappa di catastrofismo della narrazione dominante, che rappresenta sempre un’Italia allo stremo, degradata e fallimentare.

È vero l’opposto. In un recente intervento l’economista Marco Fortis ha proposto una serie di dati strepitosi e sorprendenti dai quali emerge che – contrariamente a tutte le previsioni – l’Italia dell’economia cresce forse più della Cina e prevale su Germania, Francia, Spagna e Gran Bretagna.

È la prova che l’Italia profonda lavora ed è piena di intelligenza e risorse. Il modello Italia è vincente e ha bisogno di un governo che finalmente la rappresenti nel mondo e le permetta di esprimersi al massimo. È la grande, storica scommessa del centrodestra se vuole diventare la nuova DC.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 12 dicembre 2022

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