L’ultimo movimento della Nona Sinfonia di Beethoven – noto come “Inno alla gioia” – è stato adottato, prima dal Consiglio d’Europa (nel 1972), poi dall’Unione Europa (nel 1985), come inno dell’Europa. Per celebrare la fratellanza dei popoli. Beethoven volle con esso musicare nel 1824 un testo poetico scritto da Schiller nel 1785.

Per la verità l’incontro fra il musicista tedesco e la politica non era stato felicissimo. Infatti Beethoven, attorno al 1803, aveva composto a Vienna la Sinfonia n. 3 che inizialmente doveva chiamarsi “Sinfonia Bonaparte”.

Ma nel 1806 il musicista tolse il nome di Napoleone dal frontespizio e scelse un altro titolo: Sinfonia Eroica, composta per festeggiare il sovvenire di un grand’uomo”. Il musicista era rimasto deluso dalla decisione di Napoleone di proclamarsi Imperatore nel 1804.  Così avrebbe tradito gli ideali in cui Beethoven credeva.

In effetti unificare l’Europa tramite la conquista militare delle armate francesi non è proprio un esempio di fratellanza e libertà dei popoli…Peraltro Napoleone, con il suo esercito, com’è noto, “prelevò” in Italia una quantità incredibile di opera d’arte con cui riempì il suo Louvre.

La vicenda, ricostruita dettagliatamente da Alessandro Marzo Magno nel libro “Missione grande bellezza” (Garzanti), ha un capitolo riguardante Venezia, in particolare l’archivio della Pietà, andato disperso dopo le soppressioni francesi.

Scrive infatti il saggista: “In epoca napoleonica scompare l’archivio musicale del Pio ospedale della Pietà. Comprendeva anche le copie di tutte le partiture di Antonio Vivaldi, che ne era stato maestro di violino per 17 anni. Non si sa che fine abbia fatto, ma le scoperte di partiture provenienti da quell’archivio sono ‘fortuite e isolate’, come sottolinea Olivier Fourés, musicista francese autore di una tesi di dottorato sulle opere vivaldiane per violone. Se fosse semplicemente andato disperso, i ritrovamenti di partiture dovrebbero essere stati frequenti, visto che ce ne doveva essere un numero ingentissimo. Quindi, o è stato distrutto o è perduto. Nel primo caso, però, qualcuno avrebbe dovuto riportare la notizia della distruzione – clamorosa – di una tale mole di documenti. Dunque, ipotizza Fourés, è più probabile che sia perduto; potrebbe essere finito in qualche villa della terraferma e poi scomparso senza lasciare tracce, oppure – e questa è un’ipotesi assai affascinante – murato in qualche ripostiglio o intercapedine. Se così fosse, non dovremmo abbandonare tutte le speranze di ritrovare le partiture di opere vivaldiane oggi perdute, per esempio l’oratorio Mosè o i concerti dedicati a paesi europei, come la Francia o la Germania, che sappiamo essere stati composti, ma che sono scomparsi”.

L’esperto vivaldiano Federico Maria Sardelli, fondatore e direttore dell’orchestra Modo Antiquo e attuale responsabile del registro vivaldiano, in una intervista a Marzo Magno, spiega: “La ‘Juditha Triumphans’ è l’unico oratorio sopravvissuto dei quattro che Vivaldi aveva composto. Nel 1712 aveva scritto il ‘Mosè’ che doveva essere un capolavoro immenso; ci è giunto il libretto per cui sappiamo che c’erano svariati cori e moltissimi strumenti”.

Dovrebbero essere fatte ricerche sistematiche di queste opere vivaldiane perdute come si fa per quadri e sculture. Si tratta di veri capolavori. Patrimonio dell’umanità. I concerti dedicati ai paesi europei sono anche un autentico inno alla fratellanza, a ciò che veramente unisce il nostro continente: la cultura.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 21 gennaio 2023

 

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