LA SINISTRA VUOLE RICONOSCERE UNO STATO CHE NON C’E’, MA DETESTA GLI STATI CHE CI SONO (E ACCUSA DI “SOVRANISMO” CHI LI DIFENDE)
Si vive di propaganda in un eterno presente e si ignora la storia. Non si ha visione politica dei problemi. Perciò la trovata macroniana – il riconoscimento dello Stato palestinese che non esiste – raccoglie adesioni, nonostante la bocciatura del presidente Trump e del buon senso.
Le sinistre esigono questo riconoscimento anche da Giorgia Meloni e il Segretario di Stato Parolin dichiara che il Vaticano lo ha già fatto nel 2015, al tempo di papa Bergoglio.
Ma non esiste quello Stato. Ciò che poteva essere un principio di Stato, grazie al ritiro di Israele dalla Striscia di Gaza, venti anni fa, diventò una dittatura di Hamas che alla fine invase Israele il 7 ottobre 2023 con un orrendo massacro di civili. Così riconoscere oggi lo Stato palestinese significa premiare la strategia di Hamas (che tiene ancora gli ostaggi).
Peraltro la classe dirigente palestinese ha sempre rifiutato il principio “due popoli e due stati”. Come ha scritto sul Figaro lo storico Georges Bensoussan: “contrariamente a quanto si crede la parte araba ha rifiutato la divisione della Palestina in due Stati in sei occasioni dal 1937. Rifiuto del Piano Peel nel luglio 1937, rifiuto del Libro bianco britannico nel maggio 1939, che prevedeva l’indipendenza della Palestina entro dieci anni. Rifiuto della risoluzione 181 delle Nazioni Unite del 29 novembre 1947, che prevedeva la divisione della Palestina in due Stati. E tre successivi ‘no’ alla proposta di uno stato palestinese accanto a Israele avanzata dal Primo ministro israeliano Ehud Barak nel 2000 e nel 2001 e da Ehud Olmert nel 2007”.
Giustamente Bensoussan si chiede: “Perché questo stato palestinese, che oggi viene salutato come il rimedio a tutti i mali della regione, non è nato fra il 1949 e il 1967, in Cisgiordania e a Gaza, dove all’epoca non c’erano né ebrei né israeliani?”
Il fatto è che gli arabi non si sono limitati a dire “no” in tutte quelle occasioni allo stato palestinese, ma hanno scatenato una serie di guerre (sempre perse) e di aggressioni contro Israele perché ciò che volevano, in realtà, era la cancellazione dello Stato d’Israele, non la fondazione dello Stato palestinese. Per la loro ideologia semplicemente non può esistere uno Stato d’Israele in quella che ritengono terra musulmana.
Infine è anche singolare questo “amore” del progressismo occidentale ed europeista per l’idea dello Stato palestinese. Da anni si scagliano contro le frontiere fra gli Stati e contro i “sovranisti” rei di difendere le identità nazionali che dovrebbero sciogliersi nell’europeismo e nell’indistinto universalismo globalista. Però diventano improvvisamente sovranisti, identitari e nazionalisti per la Palestina. È una clamorosa contraddizione.
Come ha scritto, su Causeur, Charles Rojzman “per la sinistra, come per l’islamismo, le nazioni sono finzioni da dissolvere, ostacoli all’avvento di un ordine superiore: quello della ummah per alcuni, quello del mercato globale per altri, quello dell’umanità universale per un terzo. Ed è per questo che comprendiamo anche perché queste correnti apparentemente diverse – islamisti, capitalisti, rivoluzionari – si trovino paradossalmente a difendere, in un modo o nell’altro, l’immigrazione di massa, in particolare dai paesi a maggioranza musulmana: perché questo flusso umano, annegando le identità storiche sotto un’ondata demografica, contribuisce potentemente a dissolvere i punti di riferimento, a cancellare le singolarità nazionali, a rendere i popoli più malleabili, più astratti, più intercambiabili”.
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Antonio Socci
Da “Libero”, 2 agosto 2025