D’improvviso irrompe l’orrore nella vita quotidiana. Non una cattiveria potabile e consueta, ma proprio il Male satanico dispiegato in tutto il suo odio per le creature umane (sì, Satana esiste e opera nelle tenebre dei nostri cuori !!!).
Esplode – il Male – non altrove, non lontano (dove c’è la guerra o la fame o la miseria), ma qui, accanto a me e a te, fra i “vicini di casa”, dentro me medesimo….
E tutto va in tilt: i media, la politica, la televisione, le coscienze… Tutti diventano incapaci di capire veramente. E di vedere l’unica speranza, il riscatto, la salvezza… (nemmeno certi preti come don Gino Rigoldi che trova parole meschine per Carlo Castagna, l’unico nel cui perdono si sia accesa la speranza: vergogna, don Rigoldi !!!)

Da “Libero” del 13 gennaio 2007
QUELL’INCREDIBILE PERDONO DI NONNO CARLO….
v Anche Eugenio Scalfari, ieri sul “Venerdì”, inorridisce per gli strazi del film “Apocalypto” di Mel Gibson, invocando il divieto ai minori di anni 14, perché “l’orrore non è un tema e una rappresentazione che possa essere scodellato davanti a soggetti non ancora preparati a riceverlo”. Sennonché la sera precedente i telegiornali ci hanno informato: 1) che è stata la donna di Erba ad aver ucciso (sgozzato) il bambino “perché piangeva” e 2) che al noto Policlinico Umberto I “rubavano gli occhi ai morti” (notizia ripresa dalla copertina dell’Espresso). Non c’è qualcosa che non va?

Il film di Gibson bisogna espressamente andarlo a cercare nelle sale, è visto da un pubblico limitato, che sa quello che vedrà. Invece i telegiornali della sera hanno davanti milioni di persone (anche bimbi) impreparate all’orrore. Ti piombano in casa mentre sei a tavola ignaro e tranquillo con i figli. Tu al peggio ti aspetti qualche notizia sulle tasse di Prodi. E invece ti arrivano addosso mazzate simili, cosicché sei costretto a gettarti sul telecomando per evitare ai figli piccoli (e a te medesimo) di vomitare nel piatto (ogni giorno così: ieri ci sono toccate le immagini ravvicinate di una mummia con discussione sulla sua putrefazione).

Pretendiamo di mettere il divieto di anni 14 alle sale cinematografiche per Apocalypto, ma poi inondiamo di orrore le case. Ci fu perfino qualche moralista che inorridì per la violenza del precedente film di Gibson, “The Passion” (che poi è la storia vera della torture inflitte a Gesù e riferite dai Vangeli). Anche allora si auspicò un qualche divieto. Sennonché poi si accetta tranquillamente che – secondo le statistiche ufficiali – ogni bambino italiano, prima di aver terminato la scuola elementare, veda in media in tv 8.000 omicidi (ottomila!) e 100.000 (centomila!) atti di violenza. Lì niente divieti.

La richiesta di censura può scattare invece per il “politicamente scorretto”. Mesi fa – per dire – l’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria decretò che un manifesto del Movimento per la vita, fatto per aiutare donne in difficoltà, era “oggettivamente scioccante e angosciante”. Conteneva una bellissima foto – fatta con una sofisticata ecografia – di un bimbo di 15 settimane che si succhiava il pollice nel seno della madre e sotto stava la scritta: “Mamma ti voglio bene. Non uccidermi. Se sei in difficoltà S.O.S Vita. Numero verde 808-13000”.

Al Movimento per la vita arrivò questa lettera: “Il Comitato di controllo ha ritenuto che il messaggio, prescindendo dalla finalità e dalle motivazioni che lo animano (…) sia idoneo a produrre sentimenti di turbamento nel pubblico dei destinatari, potendo suscitare un’eccessiva ansia in coloro che, per le più disparate motivazioni, non intendano aderire all’appello”. Anche la foto (dolce e simpatica) era giudicata inammissibile in quanto idonea “a rafforzare il turbamento e il senso di colpa suscitato dalla parte testuale”.

Strano rovesciamento. Per i media e la cultura dominante l’orrore da proibire non è che si facciano (secondi i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità) 50 milioni di aborti all’anno (130 mila in Italia). No, da “sconsigliare” è che se ne parli, che si chiamino le cose col loro nome. Turbando le nostre coscienze. Infatti più di un miliardo di vite innocenti sono state spazzate via, nel mondo, negli ultimi 70 anni, da quando l’aborto è stato autorizzato dalle leggi. Ma la “notizia” non desta l’attenzione dei media, non buca l’indifferenza. Com’è possibile? Qual è la soglia dell’orrore nella nostra coscienza?

Non è un po’ ipocrita scoprire l’orrore solo dopo fatti come la strage di Erba e pensare che l’abisso del male siano (solo) quei due disgraziati che si sono macchiati del crimine? Siamo una generazione che convive tranquillamente con la soppressione legale di milioni di bimbi nel seno delle madri. E anzi pretendiamo pure di rivendicare la cosa come “conquista civile” e qualificare l’aborto tra i “diritti dell’uomo”.

Possiamo dormire davvero sonni tranquilli? Inorridiamo solo per i due di Erba? Siamo sicuri che l’abisso dell’orrore del nostro tempo sia (solo) quello? So bene che mi daranno del provocatore. Ma i fatti hanno la testa dura. Del resto non sto parlando solo di “spensierati” aborti fatti in pochi minuti con la pillola del giorno dopo o in ambienti lindi e asettici, al secondo mese, di quelli che si possono facilmente camuffare con l’eufemismo “interruzione di gravidanza” (per sentire meno i sensi di colpa). C’è perfino di peggio.

Nel Paese più grande del mondo, la Cina, essendo prescritto per legge il figlio unico, da anni l’aborto è addirittura obbligatorio, “con la confortante complicità dell’Onu” (Roccella). I media internazionali hanno raccontato storie raccapriccianti di orrore. Sono milioni gli aborti forzati. Negli Stati Uniti, il paese più libero e moderno del mondo, solo il 5 novembre 2003 il presidente Bush è riuscito a proibire il cosiddetto “aborto tardivo” (difeso invece dal democratico Clinton). Che consiste in un aborto praticato anche all’ottavo mese di gravidanza. Lo si realizza così: per non far nascere vivo il bimbo (dopodiché non può più essere soppresso) il medico afferra i piedi del fanciullo con una pinza, porta le gambe fuori dall’utero e provoca il parto, ma senza estrarre la testa alla cui base esegue un’incisione attraverso cui viene aspirato il cervello. Così il bimbo nasce morto.

Questo è ciò che avviene nel nostro mondo “civile”. Dunque si capisce perché Mel Gibson grida che Apocalypto è qui e i Maya siamo noi. Nei loro orrendi rituali, nel loro mare di sangue, lui simboleggia il nostro orrore, la decadenza della nostra civiltà. Gibson però indica anche una speranza che là cambiò le cose: il cristianesimo. Con l’arrivo degli spagnoli finì quel mare di sacrifici umani e di strazi. Ma noi, come dimostra anche la tragedia di Erba, non vogliamo vedere questa speranza. Ieri le maggiori penne dei quotidiani si sono cimentate col massacro di Erba: Pigi Battista sul Corriere della sera, Adriano Sofri e Umberto Galimberti sulla Repubblica, Elena Loewenthal sulla Stampa, Ferdinando Camon sull’Unità, Giuseppe Anzani sull’Avvenire. Se non erro non ce n’è stato uno che non abbia puntato il dito accusatorio su qualcuno o qualcosa. Non ce n’ è stato uno – se si eccettua l’editorialiosta di Libero – che abbia notato l’unica luce di speranza di questa tragedia, cioè le parole di perdono di Carlo Castagna che nel massacro ha perduto la figlia, la moglie e il nipotino: “Li perdono e li affido al Signore” ha detto. “Bisogna perdonare in questi momenti. Bisogna finirla con l’odio”. E parole simili ha detto anche il figlio Giuseppe.
v D’improvviso in questo orrido abisso di odio e di sangue s’accende la luce di una parola cristiana, di una sofferenza cristiana: il perdono delle vittime. E s’illumina l’unica speranza che mette fine al gorgo satanico della violenza. Senza Cristo tutta la storia sarebbe solo strage, odio e vendetta. Ma i commentatori dei giornali neanche se ne accorgono. Solo Lidia Ravera, sull’Unità, cita il povero signor Carlo, ma per scrivere parole orrende. Dice che tutti provano “una quota di simpatia” per il padre del piccolo Joussef che invoca vendetta e invece “meno ne provoca” secondo la Ravera “il nonno, il signor Castagna, mobiliere, che recita una cavatina sul perdono e contro l’odio”. Resto incredulo. Se non ho frainteso, per la Ravera, quell’uomo buono, che ha subìto il massacro della figlia, della moglie e del nipotino, “recita” quando offre il suo dolente perdono. Sull’Unità è gelidamente definito: “il signor Castagna, mobiliere”. Signora Ravera, almeno un po’ di rispetto…

Antonio Socci

Da “Libero” del 14 gennaio 2007
L’UNITA’ E “IL SIGNOR CASTAGNA, MOBILIERE”

Contrordine compagni. L’Unità in 24 ore capovolge la linea su un fatto che ha colpito milioni di italiani: quel sorprendente “perdono” cristiano che il signor Carlo Castagna ha sussurrato dopo la scoperta dei massacratori dei suoi familiari. Venerdì sull’Unità era uscito un infelice e confuso articolo di Lidia Ravera dove si manifestava “una quota di simpatia” al “giovane tunisino Azouz” che “giura vendetta”, mentre “meno ne provoca il nonno, il signor Castagna, mobiliere” che, secondo la scrittrice, “recita una cavatina sul perdono e contro l’odio”.

Questo editoriale dell’Unità suonava insensibile al dolore e ancor più alla fede eroica di quel pover’uomo. Ieri invece con un altro editoriale di Toni Jop c’è stata un’inversione di marcia. Il giornale Ds ha trasformato il signor Carlo – suo malgrado – in un eroe politico. Da contrapporre a chi? Ma è ovvio: a George Bush, il Cattivo, il Male Assoluto. Tutto fa brodo per un’invettiva anti-americana. Colui che il giorno prima era gelidamente definito un “mobiliere”, in 24 ore diventa – a sua insaputa – un simbolo della lotta antiamericana. Come si fa a trascinare in politica il commovente gesto del signor Castagna?

Confondendo gli Stati (che sono tenuti a difendere i propri cittadini e a dare sicurezza), con le singole persone che, quando hanno una fede cristiana, possono anche optare per l’assoluta non-violenza e per il perdono eroico del male subìto o per il martirio. Questo è il teorema dell’Unità: “dalla strada alla politica internazionale il messaggio che piove quotidianamente sulle teste di miliardi di esseri umani… è davvero lontano dalla cultura cui Carlo Castagna ha dichiarato la sua devozione. A un colpo subìto segue la rappresaglia, a uno schiaffo segue un pugno, a un’offesa segue l’insulto: questa oggi è la legge sovrana che regola i modi delle reazioni degli Stati come, con qualche accorgimento in meno, delle organizzazioni criminali, come dei singoli individui. Se il più potente Stato della Terra” tuona l’Unità “può legittimamente accampare il diritto di invadere e bombardare dopo che il terrorismo gli ha abbattuto le Torri Gemelle, perché Carlo Castagna non dovrebbe desiderare di fare a pezzi gli sterminatori della sua famiglia?”.

La risposta è molto semplice: perché nonno Carlo è profondamente cristiano. L’Unità riconosce che quel suo “perdono”, dato evocando il Crocifisso e il mantello di Dio, è “la sola rivoluzionaria parola alla quale si può affidare, con qualche speranza, il destino dell’umanità”. Ma se è così – ed è così – l’Unità dovrebbe spiegare perché si caratterizza quotidianamente come il giornale più ferocemente anticristiano di tutta la stampa italiana. E perché tenta sistematicamente di screditare e demolire questa tradizione cristiana, così luminosa, l’unica speranza.

L’editoriale di Jop nota ancora con giusto rammarico che pure il “perdono” di nonno Carlo ha suscitato sorda ostilità: “il fatto che quest’uomo ammirevole non amministri la vendetta che ‘gli spetta’ lo rende, per più di qualcuno, non solo sorprendente, quasi ‘sospetto’ ”.

Bello. Ma questa critica doveva essere rivolta all’Unità del giorno prima, dove Lidia Ravera manifestava “una quota di simpatia” per il tunisino Azouz che “giura vendetta” e aggiungeva che “meno ne provoca il nonno, il signor Castagna, mobiliere, che recita una cavatina sul perdono e contro l’odio”.

La Ravera preferisce la vendetta al perdono? Non sarà pure lei fra i seguaci di Bush? L’Unità su questo terreno rischia il cortocircuito ideologico. Il “perdono” è di destra o di sinistra? E la vendetta è buona o cattiva? Dipende. Secondo i “compagni” quella di Bush è cattiva. Se invece la prospetta il giovane Azouz merita “una quota di simpatia”. Ma un doppiopesismo simile non regge. E’ ipocrita.

Toni Jop riconosce che – in effetti – all’opposto di nonno Carlo c’è “la reattività inizialmente violenta manifestata dall’islamico Azouz” che ha parlato di “vendetta”, affermando “restituisco ciò che ho avuto”. Job sostiene che il giovane Azouz ha poi “diluito la durezza delle prima dichiarazioni” e comunque merita le nostre scuse perché – oltre ad aver subito il massacro dei suoi – era stato pure sospettato.

In realtà il giovane Azouz merita comprensione anche perché le sue reazioni riflettono i codici di comportamento delle società musulmane dove è nato, con l’antico criterio di giustizia: occhio per occhio, dente per dente. Ma l’Unità non può osare dirlo, altrimenti rischierebbe di ribaltare il suo teorema attribuendo alla cultura islamica (e non a Bush) il codice della vendetta (i Ds sono pur sempre il partito della Moschea di Colle val d’Elsa e dello slancio filoarabo).

Le contraddizioni dell’Unità sono quelle di una Sinistra che continua a perseverare nell’errore sessantottino per cui “tutto è politica”. Invece la politica non è tutto. Ci sono cose ben più grandi e importanti come la vita, la morte, la felicità, il mistero del Male, il dolore e la fede.

Non si comprende nulla di questi eventi se si tengono gli occhiali fumosi e deformanti dell’ideologia come fa la Ravera che fu ieri Sessantottina e oggi girotondina. Leggo sulla “Gazzetta di Lilliput” che uno dei comandamenti della “fede laica” di Lidia Ravera sarebbe questo: “Per me, chi non è di sinistra è una persona non buona”. Con ciò è detto tutto. Madre Teresa, Padre Pio e Karol Wojtyla, non sono buoni, perché non furono di Sinistra. Mentre “buoni” in quanto “di sinistra” sono la Ravera, il salotto giacobino di Micromega, Scalfari, Diliberto, Caruso, Toni Negri e ovviamente lo furono pure Togliatti e gli altri campioni del comunismo.

Ripenso alla definizione della Ravera: “il signor Castagna, mobiliere”. Può un mobiliere brianzolo e cattolico essere di Sinistra? Molto difficile. E allora come può essere “buono” il suo eroico gesto di perdono? Se fosse stato Azouz a perdonare e il signor Castagna a gridare vendetta, allora la Ravera si sarebbe prodotta in un’apologia del perdono, avrebbe sviolinato alla lezione che un musulmano impartiva a noi detestabili cristiani. Ma è accaduto il contrario e il mobiliere brianzolo è ostico da digerire. Nell’immaginario della Sinistra il piccolo industriale lombardo è per definizione evasore fiscale, arrogante, egoista, berlusconiano e parcheggia il fuoristrada sul marciapiede. La classe intellettuale l’ha sempre rappresentato con questo disprezzo antropologico, dal “Maestro di Vigevano” fino ai corsivi di Michele Serra, passando dal “borghese piccolo piccolo”. La verità è molto diversa. C’è un bel libro di Sandro Fontana, “La riscossa dei lombardi”, che dimostra, dati alla mano, una verità clamorosa e nascosta: il mezzadro-operaio brianzolo, trasformatosi in artigiano e piccolo imprenditore, fu all’origine del miracolo economico italiano e poi fu lui a contagiare l’Emilia Romagna e il Nord-Est. In pratica è proprio lì la culla del nostro benessere. Ma soprattutto il popolo brianzolo laborioso e buono, disprezzato da media e intellettuali, è ancora profondamente cristiano (questa è la terra dove non a caso nacque don Giussani).

La Lombardia è oggi la regione più ricca e moderna d’Europa, ma al tempo stesso è anche una delle più cattoliche, civili e solidali. E questo “paradosso” ribalta tutti i paradigmi sociologici della Sinistra. Perciò “il signor Castagna, mobiliere” è un miracolo di umanità e di fede che non può essere compreso negli schemi dell’ideologia dominante. E neppure in quelli cattoprogressisti di don Gino Rigoldi che invece di “giudicare” il Castagna dovrebbe andare a imparare da lui cos’è il cristianesimo.

Antonio Socci

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