Anche ieri qualche esagitato ha provato a occupare la scena attaccando la polizia. Ma nelle cento città d’Italia la vita della gente comune si è dipanata nella sua normalità quotidiana.

Un sabato italiano come quello dei ragazzi di Recanati descritto da Leopardi: “La gioventù del loco/ Lascia le case, e per le vie si spande;/E mira ed è mirata, e in cor s’allegra”.

Essere guardati regala ad ogni adolescente un momentaneo surrogato della felicità. In fondo è sempre per questa incertezza di esistere che altri giovanotti, ieri, hanno cercato una diversa visibilità nel gran teatro del mondo urlando slogan bellicosi, recitando la parte – stantìa e risaputa – dei manifestanti di vecchie ideologie.

Un agitarsi inconsulto come i pupi siciliani che si proclamano intrepidi paladini mentre qualcuno tira i loro fili senza i quali si affloscerebbero a terra disperati. Il gridare in favore di telecamere evita loro l’avventura impietosa del guardarsi dentro. Dove si smarrirebbero.

In fondo anche Internet è una colossale macchina planetaria per farsi guardare e quindi per sentirsi vivi: instagram, facebook, twitter regalano un’esistenza fittizia che fa sentire i mortali simili ai divi, quei personaggi mediatici perennemente sotto le telecamere, perfino con le loro miserie come gli dèi greci nell’Olimpo.

Non a caso da anni imperversano “Il grande fratello” e “L’isola dei famosi”. Siamo tutti “morti di fama” come recita il titolo di un libro su “iperconnessi e sradicati”.

Il prezzo che paghiamo alla società dello spettacolo è l’esteriorità totale, la fine della vita interiore, la riduzione dell’esistenza all’apparire e all’emozione, la banalizzazione di ogni personale dramma e del mistero della nostra vita.

Anche quando, con sincerità, si affida alla telecamera il racconto intimo – per esempio – della propria malattia o dei propri affetti. Tutto viene risucchiato e digerito nel gorgo del nulla e di un’emozione effimera.

A dire il vero questo desiderio di essere guardati non sarebbe di per sé così banale e fallace. All’origine c’è la ricerca di uno sguardo che ti faccia sentire amato e ti accompagni a scoprire il senso della tua vita.

In fondo è la prima cosa che facciamo venendo al mondo: aggrapparci allo sguardo amoroso che – poi capiremo – è nostra madre e sorridere al suo sorriso che ci fa capire di essere voluti e adorati.

La poesia stessa vive di questa ricerca del volto amato o dello sguardo misterioso nascosto in tutte le cose. Ne ha parlato Walter Benjamin a proposito di Baudelaire: è lo sguardo fugace della donna incrociata per un attimo nella folla della metropoli.

O, per Rainer Maria Rilke, è la misteriosa chiamata alla bellezza del torso di Apollo (“non vi è punto, qui, che non ti guardi./ Devi cambiare la tua vita”).

Leopardi stesso intravede quel “tu” misterioso nella luna il cui sguardo pietoso commuove “il pastore errante” che le chiede “il perché delle cose”, di “questo viver terreno” e poi avanza la domanda più bruciante: “e io che sono?”.

Tutta la grande arte pone questi interrogativi a quel “Tu” misterioso e inafferrabile. Ma quel Tu ha un nome e un volto?

Francesco Merlo, su “Repubblica”, ha raccontato la sua esplorazione sui ponteggi della Cappella Sistina, a un passo dall’opera michelangiolesca. Uno dei restauratori del Giudizio universale che lavora sull’affresco gli ha detto: “ho scoperto i dettagli invisibili e ho capito che Michelangelo dipingeva per sé: l’artista perfetto”.

Per sé? No. Michelangelo dipingeva per Colui che sta al centro della Sistina. La sua arte era preghiera. Nelle “Rime” che mettono a nudo il cuore dell’artista si legge: “Né pinger né scolpir fie più che quieti/ l’anima, volta a quell’amor divino/ c’aperse, a prender noi, ‘n croce le braccia”. E ancora: “ma che poss’io, Signor, s’a me non vieni/ coll’usata ineffabil cortesia?”.

I veri artisti e i grandi costruttori di cattedrali vivono al cospetto di quel Tu. Anche oggi. C’è in rete un bellissimo monologo di Nicole Johnson che s’intitola “Donna invisibile”.

Comincia raccontando la normalità della vita quotidiana di una donna in cui lavoro in casa o fuori sembra non sia visto né dai figli né dal marito. Nicole racconta però che un giorno ricevette da un’amica un libro sui costruttori di cattedrali del Medioevo con questa dedica: “Con ammirazione per la grandezza di quello che costruisci senza essere vista”.

La Johnson sfoglia il libro e comincia a capire: “Non sappiamo i nomi dei costruttori di cattedrali. Vedi queste grandezze, cerchi il nome. Dice: ‘Costruttore sconosciuto’. Lavoravano senza pretendere di essere notati”.

Alcune sculture di quelle cattedrali erano in punti invisibili agli uomini. La Johnson immagina che qualcuno abbia chiesto a uno degli artisti: “Perché perdi tanto tempo per una cosa che nessuno vedrà?”. Risposta: “Perché Dio vede”.

Commossa commenta: “Sapevano che Dio vede tutto. Spendevano la vita per un lavoro gigantesco, che non avrebbero visto finito, giorno dopo giorno… con sacrificio, senza gloria… un edificio che non avrebbe portato il loro nome”.

La donna che si sentiva “invisibile”, capisce che Dio le sta dicendo attraverso di loro: “Io ti vedo, tu non sei invisibile per me. Nessun sacrificio è così piccolo da passare inosservato ai miei occhi… vedo ogni pasticcino che sforni e sorrido… vedo ogni tua lacrima di delusione… Ricorda: stai costruendo una grande cattedrale! Non la finirai nella tua vita, non ci abiterai dentro, ma se la costruisci bene ci abiterò io”.

Quanti invisibili costruttori di cattedrali ci sono al mondo: padri e madri eroiche, missionari straordinari, sconosciuti a tutti, medici e maestri meravigliosi. Anche bambini e giovani che vivono eroicamente la malattia.

Ho provato a raccontarli nel libro “La casa dei giovani eroi”, ma ci vorrebbero centinaia di libri per loro.

Non stanno sotto le telecamere, ma sotto lo sguardo di Dio. Sono uno spettacolo per gli angeli e la loro cattedrale sarà visibile nell’eternità, ma fin da oggi dà luce e bellezza al mondo.

Se lavorerà per questi invisibili anche la politica costruirà cattedrali. Forse è venuto il momento.

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Antonio Socci

Da “Libero”, 25 febbraio 2018

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Twitter: @AntonioSocci1

(nella foto: Gesù, particolare della Vocazione di san Matteo di Caravaggio)

 

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