Non è detto che il riavvicinamento fra Casini e Berlusconi – che Libero per primo ha colto e segnalato – sia momentaneo e tattico, finalizzato alle amministrative.
Potrebbe essere addirittura un evento storico. Potrebbe segnare la svolta tanto attesa per il centrodestra e per il Paese. Perché? Cosa è accaduto di nuovo?

Le novità vere, quelle che cambiano davvero le cose, non vanno cercate nella cronaca delle dichiarazioni e delle tattiche partitiche, ma nella storia. E oggi, negli eventi accaduti in Italia e nel mondo negli ultimi sei mesi, si trovano le condizioni che spingono alla riemersione della Dc (della sua funzione storica, quale che sia il suo nome) con la galassia di partiti laici che hanno fatto prosperare l’Italia per 40 anni. Si può aprire una nuova stagione per il Paese.
Attenzione: non perché questo o quel politico rimetterà in mare la Balena bianca (come si è banalmente pensato o temuto negli anni scorsi). Semplicemente perché la storia, pesanti fattori internazionali e nazionali, spingono nella direzione opposta a quella del 1992.
Sta accadendo insomma oggi esattamente ciò che accadde nel 1945-1948. Qual era la funzione storica da cui fu investita la Dc nel dopoguerra?

Primo: una missione internazionale. L’Italia era sulla frontiera fra Est comunista (che arrivava fino a Trieste) e Occidente libero. Gli americani videro nella Dc l’unico baluardo possibile alla tracimazione di Mosca sul Mediterraneo.
Secondo: la Chiesa puntò sulla Dc per fermare il comunismo che minacciava il Paese e il cuore della Cristianità, accettando l’alleanza con le culture risorgimentali, liberale e repubblicana (che – per bocca di Benedetto Croce – “investirono” anch’esse sulla Dc).
Terzo: il ceto medio italiano si sentiva minacciato dal Fronte popolare e il popolo contadino (a quel tempo la maggioranza degli italiani) vedeva nella Dc l’occasione del riscatto e dell’ascesa alla piccola proprietà e all’impresa artigiana (come accadde).

Questo grande patto sociale (Usa-Chiesa-ceto medio) che ha dato libertà e benessere all’Italia è durato 45 anni. E’ venuto meno dopo il 1992: il crollo del Muro di Berlino ha tolto all’Italia importanza geopolitica e la Casa Bianca ha considerato irrilevante l’arrivo al potere a Roma della Sinistra. Inoltre la sinistra dc si è alleata al Pds e la Chiesa ha pensato di “condizionare” il centrosinistra anche grazie alla leadership prodiana. Infine in quel 1992 si ruppe il patto del pentapartito col ceto medio per le traumatiche Finanziarie 1992-1993 e la contemporanea esplosione di Tangentopoli.

Quel “patto sociale” da anni si fondava 1) sulle svalutazioni competitive che aprivano artificiosamente i mercati esteri ai prodotti italiani, 2) sulla creazione di un colossale debito pubblico che sopiva le tensioni sociali e 3) sulla reciproca “tolleranza” fra evasione fiscale di massa e finanziamento irregolare dei partiti.
Quando – a causa del Trattato di Maastricht e della necessità di mettersi in regola con quei parametri – il governo Amato varò una Finanziaria da 90 mila miliardi (e il governo Ciampi proseguì sulla stessa linea) fu una mazzata pesantisima per il Paese: chiusero i battenti centinaia di migliaia di lavoratori autonomi, i consumi privati crollarono del 2,5 per cento (il valore più basso dal 1945), il pil precipitò all’1,2 per cento e si persero circa 700 mila posti di lavoro. Nel frattempo con Tangentopoli si scoperchiava il pentolone dei soldi alla politica: il ceto medio si sentì tartassato e tradito da una classe dirigente che non aveva legittimità morale e i partiti storici dell’Italia repubblicana, che non avevano più l’ “investitura” internazionale (perché non c’era più l’Urss), né quella della Chiesa, furono spazzati via.
Gli scricchiolii di questo crollo stavano già tutti nella nascita e nella crescita della Lega Nord che ormai da qualche anno dava voce alla protesta di un Nord produttivo dissanguato da un carrozzone statale assistenzialista, sperperone e corrotto.

Il colpo di genio di Berlusconi, crollata la Dc e il Psi, fu – con piglio imprenditoriale – di dare rappresentanza politica alla maggioranza moderata del Paese rimasta orfana e di farlo con una cultura politica liberale che – mentre era apertamente anticomunista – si disfaceva dei limiti dei partiti storici: niente più tassazione esosa, né politica corrotta, niente più assistenzialismo e sprechi, niente più burocrazia soffocante. Ma modernizzazione, stato leggero e valorizzazione del “fattore umano”, di quel popolo di artigiani e imprenditori che ha fatto ricca l’Italia, dell’associazionismo, della libera iniziativa.
Berlusconi ha rivoluzionato la politica e la cultura politica. Ma per l’economia e lo Stato la sua resta una rivoluzione incompiuta. Il suo primo tentativo di governo, nel 1994, fu sabotato e spazzato via dal vecchio establishment e dalle corporazioni che non ci stavano a perdere il controllo dello Stato. Il secondo tentativo, dal 2001 al 2006, ha visto molte realizzazioni, ma l’opera è rimasta a metà, per errori, talora per pochezza culturale del centrodestra, per gli effetti selvaggi dell’introduzione dell’euro, ma anche perché nello stesso anno della vittoria elettorale, l’11 settembre, è scoppiata la guerra mondiale della nostra epoca, con ricadute pesantissime per la nostra economia.

Il centrodestra berlusconiano aveva un forte legame col ceto medio e ha costruito un forte rapporto con l’amministrazione Bush. Ma non aveva dalla sua l’establishment italiano (neanche quello confindustriale), ha avuto fortemente ostili la tecnocrazia di Bruxelles e gli altri governi europei (per il venir meno di Kohl e infine anche di Aznar) e non ha mai avuto una piena investitura della Chiesa che ha pensato fino a ieri di poter influenzare anche il centrosinistra.
Lo scenario che si è aperto in questi mesi è nuovo e va compreso. Innanzitutto l’Italia è tornata un Paese di frontiera: non più col mondo comunista, ma con quello islamico che rappresenta, per gli Stati Uniti, l’antagonista di questi anni. E gli Stati Uniti – dopo l’episodio di Vicenza, il ritiro dall’Iraq e il papocchio afghano – hanno capito che questo centrosinistra, con due partiti comunisti e mezzo, è del tutto inaffidabile (D’Alema – per calcolo politico – si accreditò con la Casa Bianca con la guerra contro la Serbia, nel 1999, ma si è poi screditato come interlocutore).

La Chiesa ha ormai compreso – nei sette mesi del governo Prodi – che i cattolici nel centrosinistra sono foglie di fico della cultura nichilista, non sono minimamente in grado di egemonizzare la coalizione la quale appare connotata da una furia ideologica anticattolica e “zapateriana”: il centrodestra, che sulla legge 40 si comportò bene in Parlamento (trovando una splendida sintesi fra cultura laica e cultura cattolica) e si comportò male al referendum, di fronte al trionfo conseguito dai soli cattolici nelle urne, ha capito la lezione e sui Dico è impeccabile.
Oltre agli Usa e alla Chiesa c’è poi il “fattore Europa”. Le novità sono l’arrivo in Germania della Merkel e ora il tramonto di Chirac. Quindi anche la Ue si annuncia più “potabile” per il centrodestra. Infine il ceto medio italiano – dopo i primi mesi di governo Prodi e la sua sciagurata legge Finanziaria, che è tornata ad accanirsi sui contribuenti – è saldamente ostile al centrosinistra (i sondaggi sono univoci).
Questo mutato quadro – con la tremenda debolezza del barcollante esecutivo Prodi, che potrebbe perdere Mastella e altri pezzi di centro (come ha perso la fiducia della Confindustria) – offre al centrodestra un’occasione storica.
Starà soprattutto a Berlusconi e Casini coglierla. E’ una scommessa straordinaria.

Fonte: © Libero – 16 marzo 2007

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