Ma è proprio sicuro Berlusconi che la cosa giusta sia chiudere la porta in faccia a Veltroni?
E’ convinto davvero che l’atteggiamento migliore sia continuare a gridare “al voto al voto”? Non vede che ha davanti a sé un’occasione storica senza precedenti? Non gli conviene – come in una partita a poker – andare a “vedere” le carte dell’avversario?

Riassumiamo: nel giro di due settimane è successo un cataclisma. Neanche i più ottimisti del centrodestra avrebbero mai immaginato venti giorni fa – di vedere il centrosinistra allo sbando e il leader del Pd, col cappello in mano, che bussa alla porta del Cavaliere per chiedergli di poter fare ora la “grande coalizione”. Eppure è quello che sta accadendo oggi.

La Casa delle libertà ricompattata continua a ripetere, dall’inizio della crisi, “al voto, al voto”, meccanicamente e, temo, stoltamente: sembra non essersi accorta del mutamento di scenario avvenuto negli ultimi giorni. Una cecità pericolosa.
Provo allora a descrivere cosa è accaduto di nuovo. Dall’apertura della crisi l’antagonista non è più il balbettante Prodi, impopolare e incapace di comunicare alcunché, ma lo strabiliante Veltroni, mago della comunicazione.

La partita con lui è stata nettamente persa dalla Casa delle libertà perchè Veltroni è riuscito a far passare – nell’opinione comune e sui mass media (perfino fra le categorie produttive di area berlusconiana) – tre idee del tutto infondate, ma che il centrodestra non è stato capace di demolire: 1) che il governo Prodi è caduto per colpa della legge elettorale “porcella”; 2) che il Pd è tanto preoccupato del bene del Paese e solo di quello che d’ora in poi andrà alle elezioni da solo in modo da evitare, in futuro, coalizioni rissose, in mano a estremisti e dannose per il Paese: in questo modo dà l’immagine di un partito così serio che preferisce perdere il potere piuttosto che fare danno al Paese; 3) che il centrodestra è così bramoso di riprendersi il potere che se ne infischia del bene del Paese e pensa solo alle poltrone.

Il Centrodestra avrebbe dovuto far capire agli italiani che 1) il governo è caduto non per la legge elettorale (che anzi gli aveva consentito di avere una maggioranza pure al Senato, dove l’Unione aveva preso meno voti), ma perché il centrosinistra ha di nuovo fallito come nel 1998, mostrandosi incapace di governare insieme;
2) che il centrosinistra è terrorizzato dal voto perchè la Casta non vuole perdere le poltrone e anche perché la prospettiva di cinque anni di governo della Cdl significa che tutta la leadership della ex Unione verrebbe pensionata. Per questo, dopo aver ripetuto per mesi “se cade Prodi cè solo il voto”, adesso si rimangiano tutto e sono pronti a quella “grande coalizione” che Berlusconi propose subito dopo le elezioni del 2006, ma che loro – per arroganza e brama di poltrone – rifiutarono beffardamente accaparrandosi tutto il potere e dando vita al governo delle tasse selvagge;
3) il centrodestra avrebbe dovuto mostrare al Paese quanto la Casta al potere disprezza gli italiani dal momento che definisce “una tragedia” il voto, cioè l’espressione più alta e nobile della democrazia: anziché riconoscere la “sovranità del popolo”, lorsignori considerano una sciagura che gli italiani decidano il proprio futuro. Una cosa vergognosa.

Ma avete sentito esporre e ripetere queste ragioni? No. E’ evidente a tutti che nella partita del dopo-Prodi sono gli slogan ripetuti dal centrosinistra ad aver prevalso, non le buone ragioni del centrodestra, che appare spesso incapace di argomentare (con rarissime eccezioni come Giulio Tremonti, nettamente il migliore). Questo dovrebbe indurre Berlusconi a riflettere sul fatto che la vittoria certa, in tasca, non ce l’ha nessuno.

Come ha spiegato ieri Luca Ricolfi sulla “Stampa” è vero che l’epoca Prodi è stata ritenuta devastante dagli italiani e che il centrodestra ha un forte vantaggio nei sondaggi (circa dieci punti), ma quest’ultimo rischia di sottovalutare alcune incognite.
1) E’ fisiologico che, iniziata la campagna elettorale, i consensi si riequilibrino un po’ (è successo sia nel 2001 che ne 2006).
Inoltre 2) a Veltroni sarebbe facilissimo presentare il centrodestra come una “minestra riscaldata”, senza novità e cambiamenti da 13 anni, con la prospettiva delle solite risse e solite paralisi, mentre il Pd sarebbe la sola vera novità, capace di assicurare un governo serio e saldo, senza ricatto di partitini ed estremisti.
Poi 3) l’irrompere possibile di nuove liste – magari al centro – potrebbe, anche con pochi voti, rendere fragile o inesistente la maggioranza al Senato.
Per non dire 4) del “partito invisibile degli indecisi, incerti, delusi, stufi, amareggiati, disgustati, arrabbiati, furibondi”, che sono un’incognita.

Se le cose stanno così, vediamo cosa accadrebbe se il Cavaliere accettasse la proposta veltroniana di grande coalizione.
1) Smonterebbe il principale argomento propagandistico dell’avversario: pur ottenendo infatti le elezioni a giugno (due mesi dopo non è una tragedia), Berlusconi si mostrerebe attento anche ai pronunciamenti delle categorie produttive e potrebbe far suo il motto di De Gasperi: “lo statista pensa alle prossime generazioni, il politicante solo alle prossime elezioni”.
2) Mandando Gianni Letta a fare il vicepremier dell “esecutivo marsicano”, potrebbe gestire alcune partite importanti, come quella delle nomine, impedendo agli avversari di fare operazioni pre-elettorali o di usare – come argomento di propaganda – il tema del “tesoretto” che il centrodestra avrebbe impedito, con il voto, di redistribuire al popolo;
3) la “grande coalizione” dimostrerebbe al Paese che aveva ragione Berlusconi quando la prospettò dopo il voto del 2006; quindi dimostrerebbe che il settarismo di Prodi è stato nefasto e provocherebbe un terremoto devastante nel centrosinistra, dove il Pd si troverebbe isolato e accusato dagli ex alleati di tradimento, di “adulterio” con l’odiato Berlusconi: con ciò sarebbe definitivamente morto il centrosinistra;
4) provocherebbe un altro terremoto interno al Pd dove la fazione Prodi-Rosy Bindi insorgerebbe come un sol uomo, gridando allo scandalo e probabilmente vedremmo un’altra frattura anche nella “cosa rossa” visto che Rc ha auspicato un governo per la riforma elettorale mentre il Pdci ha sempre sparato contro questa ipotesi;
5) isolerebbe definitivamente il “partito degli odiatori”, come li chiama Paolo Mieli, togliendo finalmente al Pd l’argomento principale di propaganda: l’antiberlusconismo. Sarebbe la fine di un’epoca di scontro e una legittimazione reciproca;
6) accettando la proposta, Berlusconi potrebbe vincolare il suo “sì a due idee: reintrodurre le preferenze per dare ai cittadini un potere che era stato loro sottratto e attribuire il premio di maggioranza alle coalizioni, proposta che troverebbe il consenso anche dei piccoli partiti del centrosinistra e che metterebbe in scacco il Pd, spalancando la strada al trionfo del centrodestra: nel caso in cui Veltroni rifiutasse queste due proposte sarebbe evidente a tutti che fare una riforma elettorale ora, in tempi ristretti, non possibile e non per colpa del centrodestra.
Inoltre 7) l’accordo di governo permetterebbe a Berlusconi e alla Casa delle libertà di preparare meglio la campagna elettorale di giugno per evitare l’effetto “minestra riscaldata”.
Infine 8) potrebbero essere presi alcuni provvedimenti bipartisan per l’economia in vista dell’arrivo autunnale della crisi da oltreoceano.

Sarebbe una mossa da volpe per avere un trionfo da leoni,secondo la norma del Machiavelli.
Ma il centrodestra in questo momento sembra un furetto affamato che è preso dalla fregola del formaggio e corre insensatamente e senza riflettere sulla ruota. Ripetere continuamente, “al voto, al voto”, “O Roma o morte” potrebbe risolversi in un suicidio politico. Come nella parodia di Mino Maccari: o Roma o Orte.

Fonte: © Libero, 3 febbraio 2008

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