Alcuni giornali cercano in vari modi di provocare la Lega e di rappresentarla ora come la “mina vagante” ora come l’anello debole della nuova maggioranza di governo.

Ma è vero l’esatto contrario per chi ha seguito il dibattito parlamentare e osserva l’implosione chiassosa del M5S (con espulsioni e scissione) e quella (meno chiassosa) del Pd di Zingaretti, specialmente con l’uscita di scena di Conte.

E’ evidente infatti l’enorme trauma che il governo Draghi rappresenta per i giallorossi. Così come è evidente la serenità (politica) di Matteo Salvini (a cui si somma quella di Renzi e quella di Berlusconi). Il motivo è semplice.

Il trauma di Pd e M5S non deriva solo dalla perdita del potere reale che avevano in duopolio nel governo Conte bis (e già questo non sarebbe poca cosa). C’è di più.

Il nuovo esecutivo rappresenta la fine di due anomalie: quella del M5S e quella del Pd (che sommate hanno avuto effetti deleteri). E Draghi potrà normalizzare, cioè spazzar via, queste due anomalie (lo sta già facendo), a beneficio del Paese, proprio grazie a Lega e Forza Italia: il Centrodestra, nel voto di fiducia in Senato, è risultato il gruppo di maggioranza della coalizione rispetto ai giallorossi (grazie all’esplosione del M5S).

La prima (grossa) anomalia relativa al M5S, che l’esecutivo Draghi spazza, via è questa: ora i grillini non sono più indispensabili per fare una maggioranza di governo, perciò finisce il loro potere di condizionamento.

Questo permette di fare piazza pulita anche delle loro (dannose) idee: finisce l’occhio di riguardo verso la Cina, finisce l’improduttivo assistenzialismo e sarà superato il giustizialismo relativo allo scottante tema della prescrizione, su cui di fatto è caduto il Conte bis, come saranno superate anche – lo ha spiegato ieri Fausto Carioti su queste colonne – quelle rigidità che hanno finora reso impossibile sbloccare i cantieri.

Vuol dire che ci lasciamo alle spalle il “no” grillino alle grandi opere pubbliche e riparte il “cantiere Italia”, volano della ripresa e dello sviluppo.

Per nascondere questa disfatta, Grillo – scrive Marco Travaglio – “scambiò per ‘grillino’ Draghi, che a suo tempo chiamava ‘Dracula’ e voleva ‘processare per Mps’. E spinse i grillini, quelli veri, ad arrenderglisi senza condizioni, in nome di un superministero-supercazzola alla Transizione ecologica” che poi si è scoperto essere “mini, per giunta diretto da un renziano, per giunta indicato da Grillo” (così Travaglio nell’editoriale intitolato: “Movimento 5Sedie”).

E’ evidente che l’ecologismo del governo Draghi sarà del tutto diverso da quello grillino: sarà all’insegna della crescita e dello sviluppo e non certo della decrescita. Sarà fatto di nuove tecnologie e cantieri e non di cantonate.

L’altra anomalia riguarda il Pd, costretto – per non mollare le poltrone – a fare un governo con Salvini e Berlusconi (dopo averlo fatto col M5S di cui aveva detto ogni male): così viene spazzato via il principale propellente ideologico che in questi anni ha alimentato il Pd, cioè l’odio per il Nemico, la demonizzazione dell’avversario.

L’uscita dal governo e dalla scena politica di Conte rappresenta poi la disfatta della strategia Zingaretti-Bettini che su Conte avevano scommesso tutto. Infatti l’attuale segreteria Pd è destabilizzata e – in un probabile prossimo congresso – appare perdente.

Perfino uno dei grandi maestri della Sinistra italiana come Mario Tronti, in una intervista di due giorni fa, dopo aver demolito la strategia di Zingaretti (per cui “non c’era alternativa al Conte 2” e “Conte era l’unico punto di equilibrio della maggioranza”) ha affermato: “Aspetto con pazienza che la mia sinistra si liberi da questa vera e propria ossessione per i 5Stelle. Un’ossessione che, per paradosso, più ci si sposta sulla sinistra, nel centro-sinistra, più diventa totalizzante. Lasciate stare. Catturate, se ne siete capaci, le truppe residue di questa armata Brancaleone e andate avanti per la vostra autonoma strada. Tra l’altro i due elettorati, Pd e 5S, non sono componibili che in piccola parte”.

Ma Tronti non considera che il Pd non ha una strada, né un’identità: aveva puntato tutto su Conte perché la paura del voto dei grillini (che non vogliono andare a casa) gli permetteva di legarli a un patto di governo e così stare aggrappato al potere, che sembra l’unica ragion d’essere del Pd. Il partito, privato del Nemico, del potere e di Conte, non sa più chi è e dove andare.

L’altro pilastro di questa “strategia della poltrona”, per il Pd, era l’investitura della Ue (che sostituiva la mancata investitura degli elettori italiani).

Anche da questo derivava la disastrosa sottomissione dei governi di centrosinistra alla Ue degli ultimi anni: è l’ultima anomalia che Draghi spazza via.

Perché, come avevo scritto giorni fa su queste colonne, Draghi è certamente un europeista, ma il suo – a differenza dell’europeismo ingenuo di Prodi/Ciampi e dell’europeismo sottomesso del Pd – sarà un europeismo patriottico.

Ciò significa che il suo governo andrà a Bruxelles non a prendere ordini, ma a fare quello che Germania e Francia fanno da sempre, ovvero difendere e affermare i propri interessi nazionali e trovare una sintesi “alla pari”.

Il suo non è un europeismo ideologico. La prova? Basta vedere come è sparito il Mes sanitario. Per questo la Lega – che non ha mai professato un antieuropeismo ideologico – ha capito subito il cambio di scenario e supporta l’europeismo patriottico di Draghi come un gran passo avanti.

Anche perché questa novità arriva da colui che ha fatto “ingoiare” il Qe alla Germania e arriva dopo un anno in cui la Ue ha dovuto congelare – a causa del Covid – tutti i suoi dogmi “rigoristi” contestati dalla Lega.

La lucida comprensione di queste grandi novità è stata espressa, nel dibattito sulla fiducia, da Matteo Salvini (che si è divertito a ribaltare i dogmi altrui prospettando “più Europa” dove le norme europee sono migliori di quelle italiane) e da Alberto Bagnai e Claudio Borghi, fra i pochissimi capaci di intervenire nel merito delle politiche europee e quindi di criticare certi “europeisti” che demoliscono l’Europa con scelte controproducenti.

Draghi ha ascoltato con molto interesse i loro interventi, anche perché da economista ne capiva pure i passaggi più tecnici, e a Borghi non è sfuggito il suo significativo “cenno d’intesa” finale. Sarà una collaborazione preziosa.

Cambia tutto. Inizia una stagione nuova, molto fluida, e chi ha l’abilità di capirla e l’agilità di adattare la sua strategia, vincerà.

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Antonio Socci

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Da “Libero”, 21 febbraio 2021

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