TANTO PE’ CANTA’  

I giovani cantanti di cui il sistema decreta il successo, oggi, fanno notizia soprattutto per le presunte “provocazioni” politiche e di costume, in realtà molto mainstream. O per le bizze o per le liti fra di loro, in cui si attribuiscono addirittura la qualifica di “artista” (anche in questi giorni se n’è vista una).

In tutti costoro – che sono molto social e si misurano a follower – domina ciò che è stato definito “il conformismo dell’anticonformismo”. Infatti sono molto coccolati dai media e si atteggiano a divi già alle prime canzoni.

Ma la musica? La qualità dei testi? Qualcuno ascolterà le loro canzoni di oggi fra 30 o 40 anni? La domanda è pertinente. Perché oggi si ascoltano ancora e si amano le canzoni degli anni Settanta o Ottanta: Battisti ma pure Al Bano o i Pooh o Morandi o Massimo Ranieri, e poi Lucio Dalla, Bennato, la Nannini, Vasco Rossi, Rino Gaetano e ancor più Branduardi, Battiato, De Gregori, Guccini, De André…

La loro sono canzoni tuttora popolarissime, pure fra chi ha venti o trent’anni. Forse restano popolari perfino certe canzoni degli anni Sessanta, specie se allarghiamo lo sguardo oltreconfine.

La resistenza all’usura del tempo è un bel criterio di giudizio. Fra mezzo secolo si canteranno ancora e saranno popolari le canzonette che si sentono attualmente alla radio? Ovviamente no. Ma qual è la ragione?

 

TANTO RUMOR PER NULLA

Umberto Tozzi (Rolling Stone 4/8) è drastico: “secondo me la musica di oggi è ridicola”. Perché ridicola? “Non emoziona. Fa rumore, è rumore. Sono nato in un’epoca diversa: qualsiasi roba uscisse, dagli Yes ai Deep Purple erano tutte cose che avevano senso, che emozionavano. Oggi non sento neanche più le radio”.

Francesco Guccini – dal punto di vista letterario – fa un’analoga stroncatura su Repubblica (17/6): “Ho 81 anni e non capisco niente, ma è anche vero che non ascolto musica, se non per caso. Quando sono in macchina con mia moglie lei mette la radio ma io le chiedo di spegnere. E comunque il problema è che non sembrano canzoni belle o brutte, mi sembrano inutili. Ogni tanto mi viene da pensare a vecchissime canzoni come Signorinella, Vecchia America, c’erano storie, parole messe bene insieme”.

Secondo Guccini però la canzone d’autore non è affatto morta perché “la realtà pullula di giovani cantautori, ma non arrivano a nessuno”. E questo è un problema di industria culturale. Perché non arrivano?

E perché certe canzoni centravano il bersaglio? Si tratta solo di testi meglio costruiti e musiche di maggior qualità? E qual è il bersaglio a cui devono arrivare?

 

POESIA E DESERTO

La risposta è semplice: all’anima. E la fornisce Enrico Ruggeri (Il Giornale 19/8) che dice: “io continuerò a suonare per quella che chiamo l’élite dell’anima”.

Le canzoni rappresentano in effetti la scuola esistenziale delle generazioni o almeno devono suscitare emozioni, trovare parole e note per capire la vita. Oggi c’è il rumore. Mentre i testi di De André o di Guccini (dove peraltro sentivi l’eco di Gozzano e di Leopardi) illuminavano le domande e le risposte della vita e infatti finivano nelle antologie scolastiche di letteratura già trent’anni fa. Del resto se Bob Dylan ha vinto il Nobel per la letteratura c’è un motivo: ha fatto poesia.

Sappiamo che certe poesie di Leopardi erano popolari, per i giovani del suo tempo, come lo sono stati per noi Dylan, Guccini o De André. Linguaggi dell’anima dove balena la bellezza della vita, la sua fatica e il suo mistero. Ma oggi? “Deserto e vuoto”, direbbe Eliot.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 20 agosto 2021

 

 

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