In questi giorni si è tornati a parlare della rinuncia di Benedetto XVI. Il suo segretario personale, Mons. Georg Gänswein, a cui è stato chiesto quando seppe della decisione di Benedetto XVI, ha risposto: “Il Papa me lo ha detto a Castel Gandolfo. Era fine settembre del 2012”.

Il card. Tarcisio Bertone, che era Segretario di Stato, rispondendo a una domanda analoga, ha dichiarato: “Nella primavera del 2012 ha iniziato a parlarmene”, ma fu “durante l’estate” che il Papa prese la decisione definitiva.

Ratzinger stesso lo aveva detto in una intervista a Peter Seewald. Anche per questo alcuni ipotizzavano che la rinuncia fosse soprattutto conseguenza del “caso Vatileaks”, cominciato proprio all’inizio del 2012. Ma Benedetto XVI ha sempre categoricamente smentito.

In effetti la questione è molto più complessa e parte da lontano. Un indizio si può ricavare pure da una vicenda che ho vissuto direttamente. Infatti il 25 settembre 2011, sulla prima pagina di “Libero”, pubblicai un articolo nel quale scrivevo che il Papa stava pensando di dimettersi dopo aver compiuto 85 anni, ovvero dopo l’aprile del 2012 (prima dell’86° compleanno che sarebbe stato il 16 aprile 2013).

Fu uno scoop che – al momento – fu seppellito dalle smentite ufficiali del Vaticano e dagli strali degli altri giornalisti. Ma si rivelò esatto perché la rinuncia di Benedetto XVI arrivò nel febbraio 2013 (appena fu chiuso il caso Vatileaks), cioè prima del compimento dell’86° compleanno.

Lo scoop non stava tanto nell’ipotizzare la rinuncia del Papa come possibilità teorica perché quella era sul tavolo da sempre (già dall’epoca di Giovanni Paolo II) ed era stata analizzata anche dallo stesso Ratzinger all’inizio del suo pontificato.

Lo scoop consisteva nell’indicazione precisa dei tempi (una cosa è affermare che in California in futuro potrebbe esserci un terremoto, ben altra cosa è indicarne il momento preciso).

Avevo avuto la “soffiata” nell’estate del 2011 e nei mesi successivi avevo cercato conferme (indirette). Così pubblicai la notizia – pur con cautela e un certo timore – il 25 settembre 2011. Infatti io stesso ero dubbioso.

Perché nel 2011 nessuno si aspettava quella rinuncia, il pontificato era iniziato solo da sei anni, il Papa stava lavorando all’enciclica sulla Fede (dopo quelle sulla Speranza e sulla Carità). Inoltre stava per essere indetto l’Anno della Fede (2012-2013).

Il Pontefice, in buona salute, aveva un’agenda fitta di impegni e di viaggi pastorali. Perché dunque avrebbe dovuto rinunciare? Eppure è proprio quello che fece nei tempi indicati dalla mia fonte e riportati nel mio articolo.

Mi colpì la sicurezza con cui la mia fonte (un ecclesiastico di rilievo del Vaticano) dava per certa la rinuncia. Vedendo la mia perplessità, aggiunse che nei sacri palazzi la cosa era conosciuta da diverse persone.

Una conferma di queste parole arrivò cinque mesi dopo, il 10 febbraio 2012, quando Marco Lillo sul “Fatto quotidiano” pubblicò un rapporto da cui si apprendeva che un cardinale italiano, durante un viaggio in Cina del novembre 2011, aveva confidato ad alcuni suoi interlocutori che Benedetto XVI l’anno dopo non sarebbe più stato Papa. In pratica preannunciava la rinuncia (anche se il rapporto conteneva un errore di traduzione fuorviante).

Tre giorni dopo la pubblicazione dell’articolo del “Fatto” sulle dichiarazioni del cardinale in Cina, era arrivata pure una conferma dal Vescovo emerito di Ivrea, monsignor Luigi Bettazzi.

Ha scritto Lillo: “(Bettazzi) Ai microfoni della trasmissione radio ‘Un giorno da pecora’ spiega – nella distrazione generale – il vero senso del documento: ‘Il Papa si sente molto stanco e di fronte alle tensioni che ci sono nella Curia, potrebbe pensare alle dimissioni’. Sembra una battuta” aggiungeva Lillo “ma la possibilità di un simile epilogo del Pontificato era stata anticipata da Antonio Socci su Libero nel settembre 2011”.

Se ne può dedurre che effettivamente – come sosteneva la mia fonte – la decisione del Papa era nota, in Curia, almeno dal 2011.

Bisogna poi ricordare due colloqui con il card. Carlo Maria Martinipubblicati nel 2012 da Renata Patti e risalenti al 7 gennaio e all’11 marzo 2012. Nel primo dei due incontri, alle considerazioni sconsolate della Patti sulla Chiesa, il prelato risponde: “Passerà, passerà”. La Patti chiede: “E Benedetto XVI?”. Martini replica: “Anche lui passerà. L’ho visto in aprile [del 2011]. Ho visto un uomo vecchio e stanco. Spero che presto si dimetta. Così la faremo finita con il segretario di Stato e la segreteria di Stato”.

Di un altro incontro fra Martini e Ratzinger, nel giugno 2012, scrisse Gian Guido Vecchi sul “Corriere della sera” del 16 luglio 2015, parlando del biblista Silvano Fausti, che era il confessore del cardinale di Milano: Padre Silvano Fausti raccontava che il momento era stato quando Benedetto XVI e Carlo Maria Martini si videro per l’ultima volta. Milano, incontro mondiale delle Famiglie, 2 giugno 2012, il cardinale malato da tempo era uscito dall’Aloisium di Gallarate per raggiungere il Papa. Fu allora che si guardarono negli occhi e Martini, che sarebbe morto il 31 agosto, disse a Ratzinger: la Curia non si riforma, non ti resta che lasciare”.

Vecchi aggiunge: Dimissioni ‘già programmate’ dall’inizio del papato – se le cose non fossero andate come dovevano -, fin da quando al Conclave del 2005 Martini spostò i suoi consensi su Ratzinger per evitare i ‘giochi sporchi’ che puntavano a eliminare tutti e due ed eleggere ‘uno di Curia, molto strisciante, che non ci è riuscito’, rivela il padre gesuita”.

In realtà pare inverosimile parlare di dimissioni “già programmate” nel 2005. Ma qualcosa al Conclave potrebbe essere accaduto.

Nel 2010 due bravi vaticanisti, Andrea Tornielli e Paolo Rodari, pubblicarono da Piemme il libro “Attacco a Ratzinger. Accuse e scandali, profezie e complotti contro Benedetto XVI”.

Il libro si apre con una premessa che inizia con un lungo virgolettato che i due autori definiscono “una confidenza” fatta nel 2009 da “un autorevole porporato che lavora da molti anni nei sacri palazzi”.

Ecco una sintesi della sua lunga esternazione: “Ricordo ancora, come fosse oggi, le parole che sentii dire da un cardinale italiano, allora molto potente nella Curia romana, all’indomani dell’elezione di Benedetto XVI. ‘Due-tre anni, durerà solo due-tre anni…’. Joseph Ratzinger doveva essere un Papa di transizione, passare velocemente, ma soprattutto doveva passare senza lasciare troppa traccia di sé. Certo, un accenno alla durata del pontificato la fece Ratzinger stesso, nella Sistina. Disse che sceglieva il nome di Benedetto per ciò che la figura del grande santo patrono d’Europa aveva significato, ma anche perché l’ultimo Papa che aveva preso questo nome, Benedetto XV, non aveva avuto un pontificato molto lungo e si era adoperato per la pace… Visto che non è passato così velocemente come qualcuno sperava, e visto che il suo pontificato è destinato a lasciare un segno, si sono moltiplicati gli attacchi contro Benedetto XVI”.

Il porporato metteva in rilievo i grandi limiti dei suoi collaboratori e vedeva il Papa come un uomo solo.

In questa situazione e in un contesto internazionale ostile, anche e soprattutto in Occidente (gli Usa di Obama/Clinton e l’Europa laicista), il Papa si rese conto che, con le forze che gli rimanevano, non poteva – in solitudine – guidare la Chiesa sotto attacco. La situazione era drammatica.

Ma non seguì il consiglio di Martini andando in pensione. Fece un passo di lato, diventando papa emerito, “nel recinto di San Pietro”, per far posto a un successore che lui avrebbe sostenuto con la preghiera di intercessione come Mosè, sulla montagna, sosteneva con la preghiera la battaglia di Giosuè: “Quando Mosè alzava le mani, Israele era il più forte, ma quando le lasciava cadere, era più forte Amalek”. Alla fine “Giosuè sconfisse Amalek” (Esodo 17).

Francesco ha detto del Papa emerito che “solo Dio conosce il valore e la forza della sua intercessione, dei suoi sacrifici offerti per il bene della Chiesa”.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 4 gennaio 2023