Accade un fenomeno strano. Nell’epoca in cui sono stati spazzati via, delegittimati culturalmente, anticomunismo e antifascismo, si diffonde il disprezzo antropologico per “il democristiano”, squalificato moralmente e considerato come sinonimo di trescone, traditore e cinico.
Nonostante siano stati il meglio, la salvezza del Paese, i democrisatiani vengono presentati come “il peggio” della storia d’Italia, quasi l’emblema di quell’ “Italia alle vongole” che era il bersaglio delle invettive scalfariane e prima della scuola azionista.
Perché oggi tale disprezzo antropologico per il “diccì” è diffuso ed espresso nell’area di centrodestra piuttosto che a Sinistra ?
E’ strano, perché l’elettorato della Casa delle libertà è in gran parte quello democristiano, la classe dirigente di Forza Italia è in discreta misura di provenienza democristiana e Berlusconi nei suoi discorsi ufficiali ha sempre – e giustamente – rivendicato la continuità con le scelte di fondo di De Gasperi e con la cultura antistatalista di don Sturzo, anzi lui stesso ha rivendicato quella provenienza (ha raccontato di aver attaccato manifesti della Dc già da ragazzo nella mitica campagna elettorale del 1948).
Tuttavia anche da parte di Berlusconi sono costanti il sospetto morale e la critica preventiva verso il “democristiano”.
Penso alle polemiche di questi giorni nella Casa delle libertà e nei giornali di centrodestra. La Lega parla esplicitamente di “mani libere” dal centrodestra e di “dialogo” con la Sinistra, ma nessuno si sogna di fulminare questi segnali come prove di “tradimento”.
Fini all’esecutivo del suo partito dice di voler andare “oltre Fiuggi” (forse verso Orte, recuperando il motto di Mino Maccari: o Roma o Orte). Poi dichiara ufficialmente morta l’esperienza della Casa delle libertà dopo che già in altre occasioni strategiche si era “smarcato” andando alla disfatta (con l’elefantino di Segni nel 1999 e con il salto della quaglia per il referendum del 2005). Ma nessuno lo accusa di essere un voltagabana.
Invece Casini e l’Udc sono sempre sul banco degli imputati. Berlusconi con loro si comporta secondo la celebre battuta cinese: “quando torni a casa, picchia tua moglie. Tu non sai perché, ma lei sì”. In effetti il leader della coalizione ha cominciato a insultare l’Udc prima delle elezioni e ha continuato dopo il referendum.
Lancia sempre il sospetto del tradimento, ma spesso con palesi contraddizioni.
Poche settimane fa alcune personalità vicine al Cavaliere caldeggiavano l’elezione di D’Alema al Quirinale con un inquietante papocchio politico-istituzionale (quello prefigurato da Fassino al Foglio).
Mentre si appoggiava tale operazione si accusava Casini (che si stava opponendo a quell’inciucio) di volersi accordare con la Sinistra.
Berlusconi in quei giorni arrivò ad accusare l’Udc di non aver votato Gianni Letta (che ovviamente non aveva chances) e quasi lanciava il sospetto che l’Udc fosse d’accordo col nemico. Intanto i “berlus-cloni” trattavano su D’Alema. Così c’è il rischio di demolire definitivamente la Casa delle libertà o quantomeno di spingere fuori l’Udc che fra l’altro ha raddoppiato i suoi voti alle politiche intercettando quell’area cattolica in uscita dall’Unione per la presenza dei radicali.

Da cosa deriva l’atteggiamento di Berlusconi? Dicono che si spieghi col fatto che Follini e Tabacci l’anno passato fecero una politica da sfasciacarrozze. Ma oggi Follini non è più segretario dell’Udc. E dunque?
Probabilmente il fastidio di Berlusconi nasce dal fatto che si vuol discutere liberamente la sua leadership unica. Qui però manca di realismo politico e di senso del limite (sia il limite anagrafico, suo, sia quel limite che separa la monarchia assoluta dalla democrazia).
Se tanti nel centrodestra, compreso Fini e molti esponenti di Forza Italia, avvertono che – soprattutto dopo la sconfitta elettorale – c’è un problema di leadership in vista del 2011 e che Berlusconi dovrebbe guidare una grande operazione di rifondazione e rinnovamento, non si può gridare al delitto di lesa maestà. Altrimenti si condanna il centrodestra al soffocamento per mancanza di prospettive politiche e alla disintegrazione.

Giorgio Gaber un giorno ebbe una memorabile battuta: “io non temo Berlusconi in sé, ma Berlusconi in me”. Ecco, oggi questo è lo stato d’animo nell’area moderata. Berlusconi dovrebbe dare una risposta tranquillizzante. Da queste colonne si è chiesto al Cavaliere di battere un colpo. Forse oggi preferisce battere il tempo alle canzoni di Apicella, o pensare agli investimenti da fare nell’energia, ma la leadership politica bisogna anche esercitarla oltreché rivendicarla.
Bisogna saper cogliere il nuovo e indicare un orizzonte. Altrimenti ognuno va per la sua strada. Che è ciò che sta accadendo per Forza Italia, An, Lega e Udc.
Non mi pare sensato in questa situazione fare dell’Udc il capro espiatorio. Per cosa, poi? Per il voto favorevole alla missione in Afghanistan? Vittorio Feltri su queste colonne ha scritto: “laggiù i militari li abbiamo inviati noi per convinzione e ora non possiamo tirarci indietro solo perché la decisione spetta alla nuova maggioranza.
Il ragionamento non fa una grinza”. Però Feltri qui obietta che “l’Unione sul punto è divisa” e quindi l’appoggio dell’Udc sarebbe determinante, dunque niente voti.
Vorrei ricordare all’amico Vittorio che fra 1996 e 2001 Berlusconi con tutto il Polo “salvarono” il governo di centrosinistra votando le missioni in Albania e in Kosovo da cui l’estrema sinistra si dissociò. E ricordo che Berlusconi – giustamente – per tutti i cinque anni del suo governo ha accusato il centrosinistra di fare un’opposizione ideologica, votando contro anche alle scelte che riconosceva giuste per il bene del Paese.
Dunque perché mai il centrodestra dovrebbe venir meno alla sua filosofia della responsabilità che lo differenzia dal settarismo della sinistra?
Anche il ministro Martino sembra propenso a valutare laicamente le scelte del governo. L’opposizione deve fare l’interesse del Paese non quello della sua fazione.
Anni fa Berlusconi votò D’Alema come presidente della Bicamerale: non stava affatto tradendo i suoi elettori, ma tentò un’operazione politica che poteva essere importante per il Paese.

Dopo questa difesa dell’Udc un rilievo critico. Non si può far politica solo in Parlamento. Se non si hanno le televisioni occorre ritrovare anche un radicamento territoriale.
L’Udc di Casini (come Forza Italia, An e Lega) dovrebbe riflettere per esempio sul “caso Lombardo-Veneto” non solo per la suggestione che rappresenta la Cdu bavarese, ma per come Ernesto Galli della Loggia (non per primo) l’ha segnalato.
Il “Lombardo-Veneto” che vota massicciamente centrodestra e poi vota sì alla riforma costituzionale è un caso politico e sociale. Perché è l’area più moderna e prospera d’Italia (e d’Europa) ed è anche l’area dove più forte è l’attaccamento ai valori cristiani. E’ una perfetta identità politica per il centrodestra.
Il “Lombardo-Veneto” è in piccolo ciò che gli Stati Uniti sono in grande.
Ribaltano i dogmi della sociologia positivista. Dimostrano che la modernità non è sinonimo di scristianizzazione. E che si può vincere la scommessa di modernizzare il Paese senza sradicarlo o distruggerlo con la cultura nichilista della Sinistra. Bisogna ripartire da Nordest.

Fonte: © Libero – 09 luglio 2006

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