Penso, come tanti, che le trovate e i modi del ministro Calderoli siano simpatici come una rettoscopia. Insomma il tipo non mi piace per niente. Ma ciò detto mi chiedo: che differenza c’è fra la sua vicenda e il “caso Rushdie”? La domanda potrà stupire, ma riflettiamoci con la mente libera.

Calderoli ha dichiarato di aver fatto fare una maglietta (ripeto: una banale maglietta), che nessuno ha ancora visto (ripeto: mai vista), dunque praticamente inesistente, dove ha fatto stampare alcune delle innocue vignette del giornale danese. E’ venuto giù il mondo: sia quello islamico, in Libia (con morti e feriti fatti dal regime), sia quello nostrano (intellettuali e politici in testa).
Il ministro, che ha già una fatwa pendente sulla sua testa, è stato “indicato” come “maiale” in un sito che si ritiene vicino ad Al Qaeda e tutti i giornali italiani, tutti i politici e gli intellettuali l’hanno moralmente e politicamente “linciato”.
Salman Rushdie ha avuto il trattamento opposto. Lo scrittore anglo-indiano pubblicò nel 1989 un romanzo, “Versetti satanici” che è stato letto da un mare di persone (ripeto: letto da migliaia di persone).
Il libro era obiettivamente molto ruvido verso Maometto e l’Islam, infatti suscitò le ire degli ayatollah iraniani. L’autore ne ricavò una fatwa, anni di nascondimento, tanti diritti d’autore e la notorietà mondiale.
Ebbene, tutta l’intellighentsia del mondo, compresa quella progressista italiana, che non ha mai speso una parola per i due milioni di cristiani massacrati in Sudan dagli islamici, è insorta al suo fianco e da anni lo porta in trionfo come eroe e “martire” del libero pensiero. Per vedere cosa dicono di lui, da anni, basta scorrere le cronache. Il 23 maggio scorso – per esempio – Rushdie ha partecipato al IV festival mondiale delle letterature e l’assessore capitolino alla Cultura Gianni Borgna, intellettuale serio e accorto, l’ha così definito: “Rushdie è divenuto un simbolo vivente di coraggio, indipendenza di pensiero e lotta contro l’intolleranza e il fanatismo”.
Oggi scrive sulla “Repubblica” e vanta l’amicizia di Umberto Eco. E’ riverito e omaggiato. Eppure le sue pagine sono molto più corrosive verso l’Islam di quanto siano le banali vignette danesi che Calderoli ha fatto stampare su una maglietta (ripeto: mai vista da nessuno). E certamente sono pagine scritte con un orizzonte ideologico laico-dissacrante, non meno deliberatamente provocatorio delle note vignette.
Solo che Rushdie viene coccolato e omaggiato, canonizzato e portato in trionfo: un trattamento semplicemente opposto a quello riservato a Calderoli.

Perché si ritiene che Rushdie sia “un simbolo vivente di coraggio, indipendenza di pensiero e lotta contro l’intolleranza e il fanatismo” e si dice tutto il contrario del ruspante politico “padano”? Perché questa plateale differenza di trattamento fra Rushdie e Calderoli? Possibile che nessuno – fra i tanti che hanno bersagliato Calderoli – senta il dovere di spendere qualche parola in difesa di un uomo che – sebbene possa essere antipatico – è seriamente minacciato come Rushdie?
Si obietterà che Calderoli è un uomo politico di governo e la sua mossa è stata irresponsabile perché, rappresentando il Paese, ci espone alle ritorsioni. Questo è vero. Ma può dire così solo chi si è pubblicamente esposto in difesa di tutti gli intellettuali minacciati di morte dall’Islam per le proprie idee.
Per esempio, Oriana Fallaci non è un ministro, non rappresenta un governo, è una intellettuale come Rushdie, ma nel nostro salotto intellettuale ha raccolto quasi soltanto disprezzo, scherno e condanne morali. Per lei la diversità di trattamento rispetto a Rushdie è clamorosamente evidente. Come si spiega?
E’ inevitabile il sospetto: Rushdie di solito è un sostenitore dei luoghi comuni “politically correct”, mentre la Fallaci dice verità scomode sul suicidio spirituale e morale dell’Occidente, sulle nostre tradite radici cristiane e sulle menzogne del progressismo nostrano.
Ecco perché la libertà di espressione di Rushdie è sacra e quella della Fallaci un po’ meno. Ecco perché la vita minacciata di Rushdie provoca un mare di solidarietà e quella della Fallaci assai meno. Dunque la tanto celebrata libertà di espressione ha due pesi e due misure. Ma non solo.

Torniamo all’argomento “uomo di governo”. Non è affatto vero che un uomo di governo non può prendere posizioni che urtano certi regimi e certe ideologie per non provocare ritorsioni. Tutti i grandi leader occidentali lo hanno fatto, da sempre. Dunque un uomo di governo può e deve pronunciarsi in difesa della libertà di pensiero, dei diritti umani e contro il fanatismo e la violenza. Ammesso che non sia opportuno farlo con delle vignette satiriche, mi chiedo: se Calderoli – anziché gli insipidi disegni danesi – si fosse fatto stampare una maglietta con le pagine più irriverenti di Rushdie sarebbe diventato “ipso facto” anche lui “un simbolo vivente di coraggio, indipendenza di pensiero e lotta contro l’intolleranza e il fanatismo”? O sarebbe rimasto un Calderoli qualsiasi perché non conta ciò che si dice, ma chi lo dice?

E se Calderoli avesse fatto stampare sulla sua maglietta le durissime pagine di Voltaire su Maometto e l’Islam? Voltaire è continuamente citato, dai paladini dei Lumi e della cultura laica, come il maestro della tolleranza e del rispetto dell’altro. Il suo “Trattato sulla tolleranza” uscì da Einaudi con la prefazione di Palmiro Togliatti. Il suo nome è usato di solito come simbolo certo di laicità e civiltà. Ebbene, le sue pagine nella tragedia “Mahomet” (1742) o nel più tardo “Essai sur le moeurs”, sono certamente molto più duri e pesanti delle vignette danesi.
Se Calderoli avesse fatto stampare quelle parole del filosofo francese, cosa si sarebbe detto e scritto? Che non è più lecito pubblicare Voltaire? Che è ritenuta una irresponsabile provocazione contro l’Islam? Eppure in Francia Voltaire è celebrato fra gli immortali e le sue opere sono un pilastro della “République”.

E’ difficile credere che Calderoli sia più influente e importante di Voltaire. Ma oggi alle piazze islamiche – teleguidate dai regimi per loro scopi politici – fa comodo “sollevarsi” per una maglietta (mai vista da nessuno) di Calderoli e dunque Voltaire (letto da milioni di persone) non interessa.
Magari fra qualche tempo, per qualche contenzioso con la Francia, scoppierà anche il “caso Voltaire”.
E per l’Italia bisogna avvertire il presidente Berlusconi che non c’è solo Calderoli da mettere al bando, ma anche un altro “provocatore”: si tratta di Dante Alighieri. Nome un pochino più pesante di quello del ministro leghista. Certo, accostare il nome di Calderoli a quello del divin poeta provoca un certo brivido, ma è il mondo islamico ad averli bersagliati per lo stesso motivo: aver offeso Maometto. I terribili versi di Dante nella nona fossa infernale delle Malebolge (Inf. XXVIII 22-63) sono stati espunti nelle edizioni arabe del poema, uscite mutilate (in qualche paese, come il Pakistan, il poema è addirittura stato sequestrato e vietato).
Si dirà che Calderoli è un ministro e il premier lo ha “dimissionato” per il suo ruolo pubblico. Ma perché, forse che Dante ha avuto ed ha un ruolo – nella storia patria – inferiore a quello di Calderoli?
Forse che Dante è meno rappresentativo della nostra nazione di Calderoli? Dopo che fu proclamato il regno d’Italia, nel 1861, proprio la sua lingua fu dichiarata l’italiano ufficiale. Il suo poema è diventato la “norma” del nostro idioma nazionale. Non sarà ritenuta, prima o poi, una pericolosa provocazione verso l’Islam? In effetti già si sono sentite le prime voci musulmane, qua da noi, protestare per la Divina Commedia e per l’affresco dantesco di San Petronio a Bologna. Basta aspettare ancora un po’ di tempo, continuando a cedere.

Potremmo fare la fine della Libia le cui immagini ci raggiungono da ieri? Non lo so. So però che il Nordafrica, prima di Maometto, era una bellissima terra cristiana. Era verde di boschi e gialli di campi di grano.
Quella grande cristianità dette i natali a santi e dottori della Chiesa come s. Agostino e s. Cipriano. Oggi è un deserto islamico.

Fonte: © Libero – 19 febbraio 2006

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