Vorrei difendere la Rai, dove lavoro, su questo giornale che le è spesso ostile.
La Rai sarà più che mai una ricchezza per il Paese se saprà aprirsi e rinnovarsi come sta facendo la classe dirigente italiana (il Papa stesso ha riconosciuto l’inizio di tempi nuovi, dicendosene lieto). Ma come farlo?

Ieri, sulla Stampa, Paolo Martini, uno dei giornalisti più esperti di televisione, ha anticipato il prossimo palinsesto della Rai per l’informazione.
Lui, che certamente non è di centrodestra, ha tratto questa conclusione: “La tv di Stato, a sorpresa, si offre sul mercato con un volto così arroccato a sinistra, che nemmeno ai tempi del governo Prodi ha mai avuto”.
Il servizio pubblico è tenuto al massimo pluralismo e, in questo momento storico, l’area politico-culturale di sinistra è ai minimi storici nel Paese (così dicono le urne): possibile che invece in tv, come dice Martini, detenga l’esclusiva? Se così sarà, scoppieranno polemiche infuocate. Si possono evitare? E come?

Prima vediamo le previsioni per l’autunno.
In prima serata – stando appunto alla Stampa – saranno confermati i talk show di Giovanni Floris (Ballarò) e di Michele Santoro (AnnoZero), anzi Santoro ci sarà già dall’estate con alcuni speciali.
Ed è ovviamente confermato Fabio Fazio, “Che tempo che fa”, che aggiunge addirittura otto prime serate.

Parte inoltre su Rai 3, in seconda serata, “una nuova striscia d’intrattenimento e informazione” di Serena Dandini “contro Bruno Vespa” (secondo Martini).
Una striscia quotidiana. A cui poi si aggiunge la rubrica del Tg3 “Primo piano” e “Report” di Milena Gabanelli.
Infine da gennaio è annunciata una nuova prima serata di informazione, addirittura su Rai 1, di Gianni Riotta che, scrive La Stampa, “resta direttore del Tg1”.

Si farebbe fatica, in questo bel panorama di bravi professionisti, a trovare una sensibilità culturale che non sia storicamente di sinistra.
Del ritorno di Giuliano Ferrara in Rai, che sarebbe stata finalmente una voce diversa, a quanto pare non si parla più.
Martini rileva che questa programmazione “ha decisamente uno strano sapore, soprattutto rispetto agli scenari politici e di governo”.

In effetti è difficile contestarlo: è un pluralismo di voci, ma tutte storicamente nell’area dell’attuale opposizione, quella che rappresenta un terzo del Paese.
Degli altri due terzi sembra non vi sia traccia nelle infuocate arene delle prime serate.
Se a questo aggiungiamo il palinsesto della 7, che schiera nelle prime serate Gad Lerner con “L’Infedele”, la Bignardi con “Le invasioni barbariche”, Ilaria d’Amico con “Exit” e un “Otto e mezzo” senza più Ferrara, possiamo affermare che la Sinistra, quasi estinta nel Paese, prospera alla grande nella riserva indiana della televisione.
Benissimo. Sono tutti validi colleghi: facciano serenamente i loro programmi.
Ma vorrei sommessamente chiedere loro che, abituati da anni a fare il piagnisteo dei perseguitati e dei censurati, stile “chiagne e fotte”, lascino perdere almeno la lagna. Sarebbe auspicabile per ragioni estetiche.
Ma non lo faranno: fa parte del loro Dna.

Già martedì scorso sui giornali è apparso un Bertinotti che metteva in guardia dal “regime dolce”.
Quale regime? Di chi? Di Berlusconi naturalmente che, come tutti vedono, ha l’informazione in mano.
Beppe Giulietti, uomo simpatico e intelligente, continuerà a riproporre la litania dei Guzzanti e dei Luttazzi che devono anch’essi assolutamente tornare in Rai.
E a questo punto si aspetta solo il ritorno di Enrico Deaglio, che magari spunterà fra qualche mese, e i reportage di Riccardo Iacona.

Quanto all’informazione “alta”, culturale, abbiamo sempre il magistero di “Lord Augias”, come è stato ribattezzato da uno strepitoso corsivo di Aldo Grasso.
Inoltre leggo su “Avvenire” che su Rai 3 sta per partire un nuovo programma sulle religioni, “Il Cielo e la Terra”, ideato – udite udite – da Fabrizio Rondolino, giornalista simpaticissimo, un tempo all’Unità, poi portavoce di Massimo D’Alema, ma che finora non aveva mai manifestato interessi o competenze mistiche.
Non c’è più (neanche) la religione.
La sinistra onnivora (si) occupa (di) tutto.
Forse per questo Pietrangelo Buttafuoco, tempo fa, manifestò ironico interesse per lo spazio del segnale orario.

I miei colleghi di sinistra non contenti del presente, tendono a cancellare anche dal passato le rare voci difformi che, per un qualche incidente, si appalesarono brevemente.
E qui parlo per esperienza personale.
Martedì per esempio Giovanni Floris, in una intervista alla Stampa, parlando della sua concorrenza con Santoro, dichiara: “Quando iniziammo c’eravamo solo noi e Vespa”.

A dire la verità con Ballarò cominciò anche Excalibur che nella sua prima puntata fece un risultato quasi doppio.
Alla fine della stagione i due programmi fecero lo stesso share complessivo, ma quello di Floris, ben lanciato e protetto da Rai 3, poté crescere e andare avanti, l’altro (linciato ogni giorno dalla tollerante sinistra) no.
Personalmente detesto il piagnisteo e in questi quattro anni non ho mai speso una riga a lamentare censure e imbavagliamenti.
Però rivendico quella breve stagione come un momento in cui si sono potute sperimentare cose e voci nuove.
L’intero capitolo che Giampaolo Pansa, nel volume “La grande bugia”, ha dedicato alla puntata di Excalibur fatta, con lui, nella rossa Emilia (“La tivù nel Triangolo”) è stato per me la più bella delle soddisfazioni.
Ma, al di là di questo, mi chiedo chi, al di fuori di noi, si sarebbe occupato di quel tema, chi se ne occupa oggi e mi chiedo perché mai la Tv non possa o non debba approfondire il “caso culturale” di questi anni, rappresentato appunto dai libri-inchiesta di Pansa che ricostruisce una delle più grandi tragedie della nostra storia, totalmente rimossa.

Certo, Excalibur è stato un programma anomalo. E molto odiato: la sola volta in cui intervistammo Berlusconi finì che fummo portati davanti all’Authority.
Non avevamo le vignette di Vauro, ma interviste esclusive con un certo Joseph Ratzinger e con suor Lucia di Fatima (fu un evento: non aveva mai parlato in tv).
Invece del comico ospite fisso (Crozza) discutevamo di politica, cultura e costume – ne sono fiero – con personaggi come Giampiero Mughini, Oscar Giannino e Augusto Minzolini.
Abbiamo avuto, con Pansa, gente come Ferrara, Sofri, Galli della Loggia, Vattimo, Massimo Fini, Geminello Alvi, Rusconi, Mieli, Rubbia.

Abbiamo lanciato una novità come “Dodicesimo Round” e abbiamo tentato di lanciare una striscia culturale di Pigi Battista.
Avevamo varato una rubrica di Marcello Veneziani e abbiamo tentato, senza riuscirci, di fare un bellissimo programma con Buttafuoco.

Sia pure fra mille errori, credo che abbiamo dimostrato, in due sole stagioni, che “un altro mondo è possibile”, che altre voci esistono.
Penso che si debba riprendere ad allargare in tv il panorama delle culture che sono vive e presenti nel Paese.
Certo, poi bisogna anche crederci e non soffocare il neonato nella culla. Lo insegnano gli esperti: per esempio “Che tempo che fa” per tutto il primo anno oscillò sul 6 per cento. Gli anni successivi decollò. Così anche il primissimo Santoro (Rai 3 sa ben curare i suoi prodotti).
Post scriptum. Preciso che personalmente non smanio dalla voglia di rifare programmi (ho già dato), oltretutto io non sono un conduttore (ma solo un inutile intellettuale, con tutti i difetti del caso).
Penso però che ci siano molte risorse da valorizzare.
Io trovo incredibile – ad esempio – che debba stare fuori dalla televisione uno come Giuliano Ferrara.
E ritengo che non ci resterà. Sono certo che la Rai, che ha buoni dirigenti, non andrà solo nella direzione prospettata da Martini, ma – è nel suo interesse – che saprà parlare con i diversi linguaggi presenti nel nostro variegato Paese. Perché il futuro è pluralismo e dialogo.

Fonte: © Libero – 14 giugno 2008

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