DOPO SEI MESI. UN PAPA PIU’ OCCIDENTALE (E PIU’ CATTOLICO). MA ANCORA IL BERGOGLISMO REGNA. IL PONTIFICATO DI LEONE XIV RESTERA’ UNA PALLIDA APPENDICE DI QUELLO BERGOGLIANO?
I primi sei mesi di Leone XIV sono stati solennizzati dal Dicastero vaticano della comunicazione addirittura con un documentario apologetico: Leo from Chicago.
Negli ultimi anni è dilagata la papolatria. Ma oggi questo zelo celebrativo stupisce perché, fin dall’inizio, Leone, in contrasto con il febbrile protagonismo del predecessore, ha dichiarato il suo “impegno irrinunciabile” ovvero “sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato”.
In effetti il suo stile pastorale è discreto e pacato. Non certo da star mediatica. Del resto ha un carattere sereno, mite, affabile e una sua spiritualità. Manifesta un equilibrio che è in sintonia con la sua volontà di smussare gli angoli, conciliare le “polarizzazioni” e cercare sempre l’unità (il suo motto è In Illo uno unum, “Nell’unico Cristo siamo uno”).
Un obiettivo sacrosanto (soprattutto dopo che il predecessore ha prodotto pesanti divisioni e ferite dolorose), ma anche difficile da raggiungere. Come si può fare unità fra la verità e le assurdità? Com’è possibile considerare Francesco in continuità con Benedetto XVI, Giovanni Paolo II e Paolo VI?
I media, per ora, presentano il pontificato di Leone come una coda di quello bergogliano. Ma è vero solo in parte. Ci sono già delle correzioni di rotta. Quelle più evidenti riguardano la politica internazionale.
Maurizio Molinari, nel suo recente libro La scossa globale, afferma che con Leone XIV “il Vaticano può essere un inedito attore geopolitico del mondo in trasformazione”, per il diverso linguaggio adoperato da Prevost, rispetto a Bergoglio, a proposito delle “due guerre in atto, in Ucraina e Medio Oriente” (anche sulla Cina c’è un piccolo spiraglio di cambiamento futuro). Sono svolte che potremmo definire “occidentali”.
Ma c’è dell’altro. Su The Catholic Thing alcuni intellettuali cattolici Usa si chiedono “se l’attivismo contro il cambiamento climatico e le politiche sull’immigrazione siano diventati nuovi ‘articoli di fede’ all’interno della Chiesa cattolica”.
Negli anni di Bergoglio si poteva temerlo. Ma oggi? Leone ha ripreso quei temi, ma con meno insistenza e senza dogmatismi. Chiede (giustamente) agli Usa di trattare con umanità gli immigrati irregolari che vengono rimpatriati, ma non fa dell’immigrazionismo di massa una verità teologica.
Oppure esorta al rispetto per l’ambiente, ma non trasforma il riscaldamento globale in dogma di fede (pur usando talora la surreale espressione bergogliana “conversione ecologica”, che non ha mai fatto parte della dottrina cattolica).
Del resto tutta la Curia è dominata da un apparato bergogliano e – tranne le omelie e le meditazioni del mercoledì, dense di spiritualità, con una forte impronta prevostiana – tutti gli altri interventi di Leone sono scritti da quell’establishment bergogliano.
C’è infatti una vistosa differenza fra i suoi testi e quelli dell’apparato vaticano. È vero che li pronuncia lui, quindi sono parte del suo magistero. Ma è in atto una lenta correzione di rotta.
Prendiamo i tre documenti recenti che più hanno fatto discutere. È noto che la prima Esortazione apostolica di Leone, Dilexi te, è stata scritta dal predecessore; il recente documento dell’ex S. Uffizio “contro” i titoli della Madonna è opera del card. Fernandez, ultra-bergogliano. Infine il controverso e surreale documento approvato dall’Assemblea sinodale italiana rimanda a un altro ultra-bergogliano, il card. Zuppi.
Cos’ha fatto Leone XIV? Nella Dilexi te ha dichiarato apertamente all’inizio che la paternità del testo è in massima parte del predecessore: “Papa Francesco stava preparando, negli ultimi mesi della sua vita, un’Esortazione apostolica sulla cura della Chiesa per i poveri e con i poveri, intitolata Dilexi te[…]. Avendo ricevuto come in eredità questo progetto, sono felice di farlo mio – aggiungendo alcune riflessioni – e di proporlo ancora all’inizio del mio pontificato”.
Si tratta quindi di una sorta di testamento del predecessore che Leone pubblica come Francesco aveva fatto con Benedetto XVI per l’enciclica sulla fede. Ma le (poche) parti spirituali prevostiane sono diverse dalle analisi sociali che ricordano genericamente la Teologia della liberazione.
Il documento di Fernandez che vuole ridimensionare i titoli della Madonna non solo contraddice secoli di Santi, Dottori della Chiesa e Papi come Pio IX, Leone XIII, Pio X, Pio XI, Paolo VI, Giovanni Paolo II e lo stesso Benedetto XVI (11 maggio 2007), ma perfino la Lumen Gentium del Concilio Vaticano II. E – non ultimo – contraddice lo stesso Leone XIV (omelia del 9 giugno 2025).
Siccome anche questo testo di Fernandez è stato concepito al tempo di Bergoglio, il Papa lo ha fatto pubblicare, ma ha fatto scrivere nell’Introduzione che “il presente documento” non vuole “esaurire la riflessione né essere esaustivo”. Come ha dimostrato padre Lanzetta, di fatto, è solo “un parere teologico”. Discutibile perché contraddice la tradizione della Chiesa.
Oltretutto c’è chi ha fatto notare che Leone XIV ha dato alla Nota un’approvazione solo “in forma communi”, non “in forma specifica”, cosa che l’avrebbe trasformata in un insegnamento papale che esige pieno e definitivo assenso. Sono interventi fatti con discrezione, ma significativi.
Tuttavia senza correzioni più chiare e decise la confusione continuerà a regnare sovrana. Come dimostra anche il documento dell’Assemblea sinodale italiana che ha fatto scoppiare il “caso Gay Pride”.
Un vescovo che ha il filo diretto con Leone XIV all’indomani ha scritto qualche riga critica in cui manifesta notevoli riserve: è il segnale non ufficiale della perplessità del Papa che il 20 novembre parteciperà ad Assisi alla riunione della Cei che dovrà discuterne. Vedremo se in quella sede arriverà un’altra felpata correzione.
Il Concistoro straordinario dei cardinali, convocato da Leone il 7 e 8 gennaio,potrebbe essere il momento in cui inizierà il suo vero pontificato. Di certo il popolo cristiano vorrebbe una svolta decisa per far uscire la Chiesa dalla confusione degli ultimi anni.
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Antonio Socci
Da “Libero”, 14 novembre 2025





