SORPRESA DRAGHI

“Gli ideatori e costruttori dell’Ue – economisti, banchieri, politici – sono stati attentissimi a non lasciare aperto neanche uno spiraglio in cui potesse prendere piede il pensiero critico, la riflessione filosofica, o anche soltanto un dubbio”.

Ida Magli – una delle poche voci controcorrente negli anni dell’unificazione europea – così scriveva nel suo libro “Difendere l’Italia” (Bur) del 2013.

Non poteva immaginare che invece a riaprire il dibattito critico sull’Europa di Maastricht e sulle sue regole sarebbe stato quel Mario Draghi, ritenuto un convinto europeista, che è stato proprio banchiere, economista e oggi è un politico al massimo livello.

Il 12 maggio, in Parlamento, il Presidente del Consiglio ha dichiarato: “Voglio essere molto chiaro su questo: è fuori discussione che le regole dovranno cambiare. Tuttavia, questo dibattito, che impiegherà gran parte del 2022, non è ancora partito. La mia linea – e non è da oggi, ma da diverso tempo su questo tema – è che le attuali regole di bilancio erano inadeguate e sono ancora più inadeguate per un’economia in uscita da una pandemia… Nei prossimi anni dovremo concentrarci soprattutto su un forte rilancio della crescita economica, che è anche il modo migliore per assicurare la sostenibilità dei conti pubblici. La revisione delle regole deve dunque assicurare margini di azione più ampi alla politica di bilancio nella sua funzione di stabilizzazione anticiclica”.

Se a fare una dichiarazione del genere fosse stato un politico bollato come “sovranista”, non gli sarebbero toccate accuse di “nazionalismo” e “antieuropeismo”?

Non è il caso di mettere in soffitta tutte queste logore formule e anche il vizio di squalificare con certe classificazioni chi esprime un pensiero non conformista?

 

LEGGI E LETTURE

Sul Ddl Zan si discute molto sui giornali, ma servirebbero riflessioni più approfondite. È utile  perciò un libro che studia tutti i problemi connessi: “Omofobi per legge?” (Cantagalli), curato da Alfredo Mantovano, magistrato, poi parlamentare e oggi tornato alla giurisprudenza (è anche vicepresidente del Centro Studi Rosario Livatino).

 

DOLENTI NOTE

Giuseppe Culicchia, intervistato da Massimiliano Parente (Il Giornale 13/5), esprime tutto il suo disappunto per la “cancel culture” che dilaga nelle università americane “dove ridicolmente e pericolosamente viene eliminata dai corsi di studio perfino l’Iliade, perché sessista, maschilista, violenta e patriarcale”.

Ma questa “rivoluzione culturale” non si limita alla letteratura, alla storia o al cinema. Arriva perfino alla musica.

Bruno Chaouat, professore di letteratura francese all’Università del Minnesota, su “Vita e pensiero” (2/2021), si chiede: “La musica classica, cioè la musica tonale, che ha elaborato un ordine rigoroso e gerarchie armoniche, è forse razzista precisamente per il fatto di avere una classificazione sonora? Per il teorico della musica Philip Ewell, la musica classica è un’arte classista, non solo perché ha privilegiato gli uomini bianchi (fatto che è piuttosto normale dato che è nata in Europa dopo il Rinascimento), ma perché la sua stessa organizzazione, la sua struttura estetica e matematica, si fonda sulla discriminazione sonora”.

Avendo sostituito, come chiave di lettura della storia, il conflitto di classe con il tema delle discriminazioni razziali, spiega Chaouat, oggi “si definisce razzista la musica classica”.

Perciò niente più Bach, Vivaldi, Beethoven, Schubert e Chopin. Tutto cancellato. L’ultimo che esce spenga la luce.

 

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 14 maggio 2021

 

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