Tutti abbiamo detto un gran male della Germania e della Signora Merkel per come sta imponendo a tutta l’Europa una rigidissima disciplina di bilancio.

Si ritiene che sia una strategia controproducente. E la maggioranza degli osservatori giudicano pure che sia stata la miopia del governo tedesco a impedire il salvataggio della Grecia quando si era ancora in tempo.

Tutte queste critiche sono più che fondate e molte altre se ne potrebbero fare (a ragione, per esempio, si ricorda che sono state Germania e Francia per prime a trasgredire i parametri europei).

Se ne parla da mesi sui giornali. Tuttavia c’è un fatto su cui si riflette poco o per nulla: proprio il caso Germania, o anche il “miracolo economico” tedesco.

Tutta l’Europa è in recessione e i tedeschi invece segnano un aumento del Pil del 3 per cento annuo. La loro economia cresce. Le loro imprese macinano profitti.

Gli stipendi e i salari sono di gran lunga superiori ai nostri (per fare qualche esempio: lo stipendio netto annuo di un autista di autobus è 28 mila euro, di un muratore 30 mila, di un caporeparto 40 mila, di un maestro elementare 38 mila).

La loro inflazione è sotto controllo, al 2 per cento. Il debito pubblico all’80 per cento. La loro tecnologia è all’avanguardia e vince ed esporta in tutto il mondo. Sono un paese libero e civile.

I servizi sono efficienti e la pressione fiscale (attorno al 35 per cento) è ben più bassa della nostra (che sta attorno al 43-44 per cento).

Sembra la smentita categorica di tutti quei nuovi scenari mondiali che oggi si disegnano, che – per esempio – l’ex ministro Tremonti traccia nei suoi libri e di cui io stesso sono convinto da tempo.

Io credo che quegli scenari siano veri. Ma bisogna prendere atto che il caso tedesco di fatto li contraddice clamorosamente.

Si parla di fine della sovranità nazionale e del primato della politica, a vantaggio dei mercati, e lì non è così. Si parla della finanziarizzazione dell’economia che distrugge l’economia reale e lì non è così.

Si parla di tramonto dell’industria manifatturiera in Europa e di delocalizzazione e lì non è così (la disoccupazione è ai minimi storici da vent’anni a questa parte).

Si parla di impoverimento progressivo e inevitabile dei nostri paesi e di cancellazione dello “stato sociale” e lì avviene il contrario (fra l’altro le garanzie per i lavoratori sono alte e i sindacati sono molto potenti: siedono addirittura nei consigli di amministrazione delle grandi aziende).

Si parla di conflitto fra mercatismo e democrazia, che porta alla tecnocrazia, e lì abbiamo invece un sistema economico formidabile governato addirittura dalla compagine politica del Novecento: cioè democristiani da una parte e socialdemocratici dall’altra con il concorso di liberali e verdi (la fase decisiva della ristrutturazione recente, tra 2005 e 2009, è stata gestita insieme da socialdemocratici e democristiani).

Si può addirittura notare nella classe politica tedesca una certa goffa normalità, una difficoltà a proporsi sulla scena mondiale. Ma dopotutto è un bene che abbiano accantonato le ubriacature dello “spirito germanico”, per il quale già Hegel proclamava: “Lo Spirito Germanico è lo Spirito del nuovo Mondo, il cui fine è la realizzazione della Verità assoluta”.

La classe dirigente tedesca si è ritirata in una “banale” (ma per noi fantastica) dimensione di buona amministrazione ed efficienza.

E, in effetti, lì il benessere economico è addirittura in aumento, mentre è in rapida regressione nel resto dell’Europa: pur essendo gli stipendi dei tedeschi già ai vertici della classifica mondiale, in questi giorni si parla di cospicui aumenti salariali e addirittura il ministro delle finanze Wolfgang Schauble li esige (i sindacati dei metalmeccanici chiedono un incremento del 6,5 per cento e gli imprenditori propongono il 3 per cento).

Saranno fatti anche con l’obiettivo di allargare i consumi per trascinare alla crescita pure il resto d’Europa.

Si dirà: ma loro non hanno un enorme problema storico come è per noi il nostro Mezzogiorno. Nient’affatto. La Germania ovest vent’anni fa ha inglobato la Germania est, che era stata ridotta dal comunismo ben peggio del nostro Sud.

L’ha letteralmente ricostruita e assimilata facendole recuperare il ritardo di decenni in pochi anni. Si dirà che l’ha fatto anche grazie a tutto il resto d’Europa e ora si mostra ingrata.

Questo in parte è vero. Ma anche noi abbiamo avuto a disposizione dall’Europa grandi risorse: se l’Italia è il Paese più incapace di spendere i fondi europei è colpa dei tedeschi? O dobbiamo prendercela solo con noi stessi?

Il “grande spreco” dei soldi europei buttati al vento è perfino peggiorato dagli anni Novanta ad oggi e, di riflesso, le regioni meno sviluppate del nostro Sud sono scese ancor più nella graduatoria europea delle zone depresse, mentre la ricchezza media pro capite nelle regioni meridionali è diminuita  gravemente dal 2001 ad oggi (ma anche altri fondi restano inutilizzati e non solo al Sud).

Dovremmo prendere di petto il disastro della pubblica amministrazione italiana fino a chiederci se non si dovrebbero commissariare certe regioni meridionali.

Meditando sul “caso Germania” riconosco che – contrariamente a ciò che pensavo mesi fa – un po’ di “germanizzazione” ci farebbe molto bene.

La classe politica tedesca non sembra fatta di superman e geni, eppure si dimostra all’altezza della sfida di questi anni. I nostri politici dovrebbero severamente esaminarsi (o comunque lo faranno gli elettori) e riconoscere la differenza.

E così pure i nostri sindacati e la nostra classe imprenditoriale.

Ma anche noi stessi, come cittadini. Non abbiamo nulla di meno dei tedeschi. In un recente passato abbiamo fatto un miracolo economico che non ha niente da invidiare a quello tedesco.

Non ci manca né la creatività, né il gusto del lavoro. Viviamo in un Paese meraviglioso e pieno di tesori di arte e di cultura. Abbiamo un’ossatura industriale che in Europa se la gioca con la Francia ed è seconda solo alla Germania.

Allora, invece di lamentarci del cinismo tedesco o aspettarsi dall’esterno la salvezza, tiriamo fuori le nostre capacità, il nostro impegno e il nostro ingegno. Sentiamoci un paese unito e solidale, dove ognuno fa il suo dovere.

Cerchiamo classi dirigenti all’altezza del momento storico. Accettiamo di cambiare tante cose.

Un’Europa virtuosa potrà ricordare ai tedeschi che essi hanno un dovere in più verso gli altri popoli della comunità, avendo devastato il continente con la barbarie disumana del nazismo.

Perché dopo il 1945 le potenze vincitrici avrebbero potuto annientare la Germania per duecento anni. Invece gli Stati Uniti finanziarono il “Piano Marshall” e la fecero ricostruire. Dunque facciano memoria di questa magnanimità che fu usata con loro.

Tuttavia non sarà l’Italia che potrà ammonire la Germania con questo argomento storico. Perché a proposito di Seconda guerra mondiale non abbiamo le carte in regola.

Il nostro argomento vincente dunque potrà e dovrà essere solo il presente, il nostro impegno, la nostra capacità di costruire e la nostra serietà.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 13 maggio 2012

 

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