Di solito il Papa fa notizia quando parla dei temi sociali, politici, etici a cui i media sono sensibili. Probabilmente non farà notizia il suo bellissimo discorso di ieri, al Regina caeli, in cui ha toccato un tema (una ferita: l’accettazione di sé) che milioni di persone conoscono bene, soprattutto oggi, con l’epidemia di peste esistenziale che sembra dilagare nei cuori e nelle menti, specialmente fra i più giovani.

Questo approccio poetico, umano, rivolto alle persone comuni, è molto frequente in Francesco, caratterizza il suo pontificato, eppure sembra che i media – molto concentrati sulla politica – non se ne accorgano.

Francesco, nella domenica di “Gesù Buon Pastore”, è partito dal Vangelo del giorno: “Gesù dice: ‘Il buon pastore dà la propria vita per le pecore’ e insiste su questo aspetto (…). Lui conosce le pecore. Lui, il Signore, pastore di tutti noi, ci conosce, ognuno di noi, ci chiama per nome e, quando ci smarriamo, ci cerca finché ci ritrova (cfr Lc 15,4-5). Di più: Gesù è il Buon Pastore, che per noi ha sacrificato la vita e, risorto, ci ha dato il suo Spirito”.

È la notizia di un amore smisurato, inaudito in un mondo in cui siamo abituati a non sentirci veramente amati, a essere soli anche nella folla e nel chiasso quotidiano dei social.

Così Francesco parla di Gesù: “lui pensa a ciascuno di noi, e ci pensa come all’amore della sua vita. Pensiamo a questo: io per Cristo sono importante, Lui mi pensa, sono insostituibile, valgo il prezzo infinito della sua vita. E questo non è un modo di dire: Lui ha dato veramente la vita per me, è morto e risorto per me. Perché? Perché mi ama e trova in me una bellezza che io spesso non vedo. Fratelli e sorelle, quante persone oggi si ritengono inadeguate o persino sbagliate! Quante volte si pensa che il nostro valore dipenda dagli obiettivi che riusciamo a raggiungere, dal successo agli occhi del mondo, dai giudizi degli altri! E quante volte si finisce per buttarsi via per cose da poco! Oggi Gesù ci dice che noi per Lui valiamo tanto e sempre. E allora, per ritrovare noi stessi, la prima cosa da fare è metterci alla sua presenza, lasciarci accogliere e sollevare dalle braccia amorevoli del nostro Buon Pastore”.

La parola “bellezza” risuona con un accento insolito nel discorso del Papa: “(Egli) mi ama e trova in me una bellezza che io spesso non vedo”. È attraverso lo sguardo di un altro che noi riconosciamo la nostra bellezza e ci accettiamo. E comprendiamo anche di aver bisogno di incontrare quello sguardo, quella Bellezza.

Nel testo greco del Vangelo la parola “buono” è in realtà “kalos” che significa anche “bello”. Gli esegeti infatti spiegano che il Buon Pastore è anche il Bel pastore. È proprio lui la Bellezza. Fu l’incontro con lui, con questa Bellezza, che capovolse la vita di Agostino, intellettuale di successo e uomo inquieto che per anni aveva vissuto di mondanità.

In una delle più belle pagine delle sue Confessioni scrive: Tardi ti ho amato, o Bellezza, tanto antica e sempre nuova, tardi ti ho amato!
Ed ecco tu eri dentro di me e io ero fuori e là ti cercavo ed io nella mia deformità mi gettavo sulle belle forme delle tue creature. Tu eri con me ed io non ero con te. La bellezza di quelle creature mi teneva lontano da te e tuttavia se esse non fossero state in te non sarebbero affatto esistite. Tu mi hai chiamato e hai squarciato la mia sordità; tu hai brillato su di me e hai dissipato la mia cecità; tu hai emanato la tua fragranza e io ho sentito il tuo profumo e ora ti bramo; ho gustato e ora ho fame e sete di te; tu mi hai toccato e io ora bramo la tua pace”.

Le parole del Papa poi fanno pensare al messaggio del Concilio agli artisti: “Questo mondo nel quale viviamo ha bisogno di bellezza per non sprofondare nella disperazione. La bellezza, come la verità, è ciò che infonde gioia al cuore degli uomini, è quel frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell’ammirazione”.

Così l’accento esistenziale sulla “bellezza” risuona nella vita di una comunità, di un popolo, e la fa fiorire. L’accettazione di sé diventa uno sguardo fraterno capace anche di capire e amare la bellezza che le generazioni passate ci hanno lasciato in eredità.

Hans Urs von Balthasar ha scritto: “La bellezza è l’ultima parola che l’intelletto pensante può osare di pronunciare, perché essa non fa altro che incoronare, quale aureola di splendore inafferrabile, il duplice astro del vero e del bene e il loro indissolubile rapporto. Essa è la bellezza disinteressata senza la quale il vecchio mondo era incapace di intendersi, ma la quale ha preso congedo in punta di piedi dal moderno mondo degli interessi, per abbandonarlo alla sua cupidità e alla sua tristezza”.

Eppure si può invertire la rotta, si può rinascere, ci ha detto ieri il Papa, scoprendo, in uno sguardo, la bellezza di noi stessi.

 

Antonio Socci

 

Da “Libero”, 22 aprile 2024

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