LA GEOPOLITICA DI DIO (TRA FRANCESCO E LEONE XIV)
Il nome del nuovo Papa rimanda a Leone XIII, il Papa della Rerum novarum, dell’apertura della Chiesa alla questione sociale che (a quel tempo) portò a una primavera cattolica. Si dovrà capire cosa significa oggi (Prevost è stato per anni missionario in Perù, patria della Teologia della liberazione).
Si è affacciato dal balcone di San Pietro con la stola dove sono rappresentati San Pietro e San Paolo seguendo una tradizione che Francesco aveva accantonato, ma non risultano pubblici dissensi dalla sua linea. Del resto è stato eletto da cardinali in gran parte bergogliani.
Tuttavia è probabile che il suo pontificato riporti la Chiesa in acque più tranquille e più familiari ai cattolici. Il suo primo saluto del resto è stato tradizionale, anche toccante.
È il primo Papa statunitense, ma non pare che sia sulle posizioni dell’attuale amministrazione. Tuttavia non risulta nemmeno vicino ai Dem.
Sulla pace (la prima parola che ha pronunciato) sicuramente si trova a condividere le preoccupazioni di Trump che si è subito congratulato con entusiasmo per la sua elezione. Poi la sua sensibilità sociale può essere un terreno d’incontro con il vicepresidente Vance il quale rappresenta un cattolicesimo attento alla dottrina sociale della Chiesa (com’era la nostra Dc) e non ai neocon.
In effetti ora, con Prevost, si apre anche per la Chiesa la “questione americana”. Per comprendere bisogna partire dal contesto geopolitico del precedente Conclave del 2013. Lo ha in parte ricordato ieri sulla Stampa Nicola Lagioia: “Barack Obama era allora il presidente degli Stati Uniti. Meno di sette mesi prima Mario Draghi aveva pronunciato il suo ‘Whatever it takes’… la Gran Bretagna faceva parte della UE. Il mondo globalizzato sembrava reggere… In apparenza le due grandi aree di influenza occidentali (l’impero statunitense e la potenza ‘erbivora’ europea) se la passavano meglio della Chiesa Cattolica”.
In effetti la Chiesa era sotto duro attacco e Benedetto XVI, anziano e isolato,decise di rinunciare. L’elezione di Giorgio Mario Bergoglio al Papato, nel 2013, va inquadrata in quest’epoca di dominio geopolitico dell’establishment Dem, con la sua ideologia woke e post-cristiana da imporre a tutto il mondo.
Il papato di Bergoglio è figlio di una stagione ideologica in cui la Chiesa doveva allinearsi a questo nuovo ordine mondiale. L’ho scritto su queste colonne all’indomani della morte del Papa.
Alcuni giorni dopo, Maurizio Molinari, già direttore di Repubblica, lo ha ripetuto in tv con parole ancora più nette: “è stato un Papa che sin dall’inizio ha trasformato il messaggio di Barack Obama in un messaggio globale. Viene eletto nel 2013 e riflette, porta nel mondo, quello che all’epoca era il messaggio di Barack Obama (…). Lui se ne fa portatore. Questo testimonia la capacità del Conclave di interpretare lo spirito del tempo nel 2013. Questo è il mondo che lui ha interpretato, creando consensi e anche dissensi, paradossalmente negli stessi Stati Uniti dove oggi invece l’America è quella di Trump e ha rifiutato il messaggio di Obama. E quindi paradossalmente oggi che finisce la stagione di Bergoglio l’America esprime valori opposti”.
Infatti ora è andato in pezzi quel nuovo ordine mondiale Dem, con la sua ideologia post-cristiana e woke, quella globalizzazione con le sue follie (come il green e l’immigrazionismo) e con quell’arrendevolezza verso la Cina comunista. Oggi anche la UE franco-tedesca sta franando, con il fallimento delle sue politiche (anzitutto economiche e poi quelle green e quelle immigrazioniste) e manifesta tendenze illiberali e belliciste (si pensi al riarmo della Germania) che la rendono perfino pericolosa. Siamo ad una grande svolta culturale, come ha spiegato il recente discorso di Vance a Monaco. La stagione Dem ci ha lasciato un mondo a pezzi e in guerra.
Su guerra e pace Francesco ha dissentito dall’establishment Dem. Mentre sul resto, seguendo l’indirizzo politico Dem, ha prodotto una confusione pastorale e dottrinale senza precedenti, con spaccature traumatiche nel mondo cattolico e con una gestione autoritaria della Chiesa che ha scontentato molti anche fra i suoi sostenitori.
Certamente Francesco ha cercato di inserire nel “messaggio obamiano” (come lo chiama Molinari) dei temi evangelici, talvolta arrivando al cuore della gente, ma più spesso con esiti confusi. Un papato contraddittorio che i media hanno rappresentato come una rottura rivoluzionaria con la tradizione della Chiesa.
L’elezione di Leone XIV, dopo la morte di Bergoglio, coincide con la fine del potere Dem in America e con la crisi gravissima della UE che oggi si caratterizza anche per l’opposizione dura agli Stati Uniti di Trump.
Si è aperta una lacerazione gravissima nell’Occidente. Il nuovo pontificato potrebbe (e dovrebbe) contribuire a risanarla (questa è anche la posizione del governo italiano, l’unico solido fra i grandi Paesi fondatori dell’UE). Lo farà? O farà il contrario?
Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di S. Egidio – che non è riuscita a portare il suo card. Zuppi al Papato – nei giorni scorsi ha dichiarato a Le Mondeche “Francesco, dal punto di vista culturale, morale e religioso, era l’anti-Trump”.
Quindi non “anti Cina comunista” o anti totalitario, ma anti Trump. Non ha reso un bel servizio al Papa defunto. Peraltro Riccardi ha aggiunto poi un attacco a Vance a cui attribuisce idee sociali diverse da quelle che egli professa.
Si può immaginare che questo catto-progressismo e le sinistre in genere possano tentare di usare il nuovo Papa ancora contro Trump. Ma un Pastore della Chiesa, davanti a un mondo in fiamme, non può che cercare il dialogo con la prima potenza democratica mondiale, la cui amministrazione peraltro è piena di cattolici. È anche il suo Paese.
Al primo impatto sembra un Papa che vuole riportare la barca di Pietro in acque più tranquille per fare opera di pacificazione, di riconciliazione e perfino per dare consolazione in un tempo in cui le persone e i popoli sono pieni di ferite da curare con intelligenza e amore.
Antonio Socci
Da “Libero”, 9 maggio 2025