La scomunica per l’aborto e il Papa
Una nuova tempesta ora si scatenerà su Benedetto XVI. Cosa è successo? I vescovi del Messico hanno indicato la sanzione della scomunica per i politici che hanno approvato la legalizzazione dell’aborto a Città del Messico. Il pontefice – interpellato su questa inedita decisione mentre si reca in America Latina – ha osservato che “non è cosa arbitraria” perché “è prevista dal Codice di diritto canonico”.
Queste parole gli costeranno, perché la stampa e gli intellettuali laici, che pretendono di impedire ai cattolici di parlare delle cose pubbliche, poi esigono di metter bocca sulle leggi interne della Chiesa (scomuniche, funerali, sacramenti dell’ordine e del matrimonio e quant’altro). E’ evidente che la Chiesa ha tutto il diritto di darsi delle norme che regolano l’appartenenza ecclesiale.
Qui siamo di fronte a una estensione ai politici cattolici del canone 1398 (scomunica latae sententiae, cioè automatica, per chi procura l’aborto), grazie al canone 1329, par. 2, che allarga la pena anche a coloro senza la cui opera il fatto non sarebbe stato commesso. Com’è maturata questa novità? La Chiesa – al recente Sinodo dei vescovi, recepito nella Sacramentum caritatis – ha ritenuto che se la scomunica si applica, da tempo immemorabile, a una povera donna che – in condizioni psicologiche terribili – ricorre all’aborto, magari senza neanche rendersi conto di ciò che fa (e si commina la scomunica per farle capire la gravità della cosa, ma la Chiesa è subito pronta a riaccoglierla pentita), è giusto che tale sanzione si estenda anche ai politici che a freddo, ben consapevoli di ciò che fanno, rendono legale l’aborto.
Ma perché negli anni Settanta gli episcopati in Europa e in America – quando furono approvate le leggi abortiste – non evocarono questa sanzione per i politici? Quali sono le ragioni? Innanzitutto in quegli anni il mondo cattolico e gli episcopati erano in una fase di grande sbandamento dottrinale e di subalternità nei confronti del mondo, come denunciarono con parole drammatiche sia Paolo VI che Giovanni Paolo II. E’ stato il magistero di papa Wojtyla – si pensi alla Evangelium vitae citata infatti dalla Sacramentum caritatis – che ha fatto prendere coscienza sempre più chiara ai pastori del loro dovere.
Ratzinger da prefetto del S. Uffizio ha dato un aiuto formidabile a papa Wojtyla in questo raddrizzamento della Barca di Pietro. E oggi da Papa manifesta la volontà che il magistero sulla vita di Giovanni Paolo II non resti nelle sue encicliche, ma sia fatto proprio concretamente dai vescovi e applicato ai problemi d’attualità. Da qui viene il severo richiamo ai vescovi contenuto nella recente Sacramentum caritatis (“i vescovi sono tenuti a richiamare costantemente tali valori; ciò fa parte della loro responsabilità nei confronti del gregge loro affidato”). Da qui viene la decisione dei vescovi messicani a cui il Papa ha subito dato sostegno.
C’è inoltre una ragione storica di questa “novità”. In Europa e nel mondo l’aborto è stato legalizzato innanzitutto dai grandi totalitarismi novecenteschi che – essendo ferocemente anticristiani – se ne infischiavano dell’epulsione dall’appartenenza alla comunione cattolica. Per primo fu il comunismo sovietico a legalizzare l’aborto, seguito poi dalla Germania nazista (l’aborto è il frutto avvelenato che questi regimi hanno lasciato ai posteri). Le legislazioni abortiste dei paesi democratici sono arrivate molto più tardi, negli anni Settanta, volute da classi politiche laiciste, anch’esse indifferenti alle norme ecclesiastiche (e in un tempo di confusione ecclesiale).
Invece in America Latina il problema è d’attualità oggi e siccome i governanti di quei paesi, in gran parte, si proclamano cattolici, la Chiesa ritiene che la sanzione canonica possa essere un forte deterrente che richiama efficacemente quelle classi dirigenti alla loro grave responsabilità. Legalizzare l’aborto è incompatibile con l’appartenenza alla comunione ecclesiale perché “l’uccisione di un bimbo” ha detto il papa “è incompatibile con il nutrirsi del Corpo di Cristo”.
Peraltro qua i bimbi soppressi sono un oceano. La severità della Chiesa su questo problema è dovuta anche alle dimensioni ormai apocalittiche che la piaga dell’aborto sta acquistando. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità ogni anno vengono praticati nel mondo 53 milioni di aborti, ovvero annualmente abbiamo un numero di vittime innocenti pari a tutti i morti fatti nella Seconda guerra mondiale che – scrive Marcello Flores – “sul terreno quantitativo, con i suoi 50 milioni di morti, rappresenta l’evento più violento e distruttivo del XX secolo e forse della storia umana”.
Nell’arco degli ultimi decenni, da quando l’aborto è stato legalizzato, si calcola l’immane cifra di 1 miliardo di vite soppresse da aborti clinici (cifra che lievita enormemente se si calcolano anche gli altri tipi di aborto, farmacologico o meccanico). Un panorama agghiacciante che diventa ancora più cupo se si pensa che nel Paese più grande del mondo, la Cina, da venti anni l’aborto è addirittura obbligatorio per legge, grazie alla politica del figlio unico che ha provocato violenze sulle donne orrende e un numero di vittime terrificante. Ma purtroppo fra le vette di mostruosità del fenomeno va segnalato anche il cosiddetto “aborto tardivo”, praticato negli Usa fino all’ottavo mese di gravidanza (finché Bush jr non ha meritoriamente posto fine a tale fenomeno).
C’è chi sostiene che l’aborto sia pratica antica e che oggi le leggi diano solo assistenza. Ma non è così. Innanzitutto erano comunque pochi casi isolati. E’ dimostrabile che le cifre tanto sbandierate del cosiddetto aborto clandestino non erano vere (rimando al mio libro “Il genocidio censurato”) e che in ogni caso le leggi non hanno cancellato il fenomeno. Del resto nei tempi passati tante altre pratiche cruente erano in uso, ma non per questo oggi sono state legalizzate. Ma l’assoluta novità storica di questi decenni è la nascita dell’ideologia e dell’industria abortista, con un possente apparato di Stati che legalizzano, propagandano e di tecnologia che pratica la soppressione di vite innocenti su scala planetaria e con serialità industriale. Il miliardo di vittime a cui ho accennato sarebbe stato inimmaginabile senza la legalizzazione dell’aborto. La legge ha prodotto una cultura e diffuso una pratica.
Anche per questo la responsabilità dei legislatori, secondo la Chiesa, è gravissima. Giovanni Paolo II affermò che nessun parlamento – sebbene democraticamente eletto – può decidere di legalizzare la soppressione di esseri umani innocenti, perché un parlamento non ha il potere su tutto, ci sono beni indisponibili della persona (i diritti umani fondamentali) che nessuno Stato può sopprimere senza diventare tirannico.
Nel suo ultimo libro-testamento, papa Wojtyla, dopo aver tuonato contro i crimini del Novecento, scrisse: “Permane tuttavia lo sterminio legale degli esseri umani concepiti e non ancora nati. E questa volta si tratta di uno sterminio deciso addirittura da Parlamenti eletti democraticamente, nei quali ci si appella al progresso civile delle società… I parlamenti che promulgano simili leggi devono essere consapevoli di spingersi oltre le proprie competenze e di porsi in palese conflitto con la legge di Dio e con la legge di natura”.
La denuncia del Papa era del tutto laica. Infatti il padre del pensiero laico italiano, Norberto Bobbio, aveva già affermato: “Mi stupisco che i laici lascino ai cattolici il privilegio e l’onore di affermare che non si deve uccidere”. E ancora prima Gandhi – lo ricordo ai Radicali – aveva dichiarato: “Mi sembra chiaro come la luce del giorno che l’aborto è un crimine”.
Fonte: © Libero – 10 maggio 2007