Caro Walter,

ho letto la tua bella commemorazione di Tiziano Terzani (pubblicata sull’Unità del 21 dicembre) per la dedica di un viale di Roma a questo famoso e celebrato giornalista. Ma ho una perplessità. Ed è giusto discuterne perché non è un particolare irrilevante nella vita di Terzani e soprattutto nella nostra storia, come Paese e pure come corporazione dei giornalisti. Tu hai affermato: “Il giornalismo divenne la sua professione, la sua vita. Guardò subito ad Oriente. Inviato di ‘Der Spiegel’, descrisse la Cina comunista, raccontò gli orrori della guerra del Vietnam, le atrocità dei massacri cambogiani. Con la capacità di narrazione e di scrittura del grande giornalista”.

Magari fosse vero. Purtroppo, caro Walter, non andò così. Come andarono veramente le cose (e ci limiteremo solo al caso Cambogia) lo raccontò lo stesso Terzani in un articolo-confessione scritto per La Repubblica molto più tardi, troppo tardi, maledettamente tardi: il 29 marzo 1985. Nel 1985 ormai l’orrore del comunismo khmer era noto a tutto il mondo: avevano massacrato 2 milioni di persone su 5 milioni di abitanti in soli quattro anni, dal 1975 al 1979. Perfino il cinema aveva già raccontato quella tragedia con “Urla nel silenzio”, che ebbe tre Oscar. Il film di Roland Joffé raccontava la storia dell’inviato del New York Times, Sydney Schanberg (Premio Pulitzer nel 1976) e del suo interprete cambogiano inghiottito dall’orrore khmer. Terzani conosceva Schanberg e dopo l’uscita del film, nel 1985, raccontò la verità su quegli anni. Il suo articolo si annunciava nella pagina culturale di Repubblica con un titolo significativo: “Pol Pot, tu non mi piaci più”.

Terzani lì ricorda che, nella primavera 1973, quando era inviato in Indocina, aveva idee molto decise, pensava che il male fossero gli americani e la loro guerra: “I Khmer rossi ci sembravano l’unica via d’uscita dall’incubo della guerra. Fossero arrivati loro a Phnom Penh, il conflitto sarebbe finito… Allora la pensavamo così”. Per la verità da giornalista, inviato di guerra, avrebbe dovuto innanzitutto riferire i fatti, anziché avanzare convinzioni. Ma invece quella sua ideologia prevalse sui fatti. Ecco il suo racconto: “Chi erano davvero i Khmer rossi? ‘Assassini sanguinari, accecati dall’ideologia marxista-leninista’, dicevano i diplomatici americani… Ma noi non ci facevamo influenzare. Anzi, proprio perché quei giudizi venivano da loro, tendevamo a pensare esattamente il contrario. Ricordo una volta in cui l’ambasciata americana ci fece sapere che i Khmer rossi erano entrati di notte in un villaggio governativo ed erano ripartiti dopo averne ucciso sistematicamente tutti gli abitanti, compresi donne e bambini. Se volevamo vedere con i nostri occhi quel ‘massacro comunista’, bastava che andassimo… Ci andai e ricordo benissimo di aver girato in mezzo a quelle decine di cadaveri sgozzati, impalati, maciullati, cercando di convincermi che non potevano essere stati uccisi dai guerriglieri, che magari quella gente era rimasta vittima dei bombardamenti americani e poi era stata messa lì, ‘usata’, per così dire, in modo da farci credere alla storia del massacro comunista”.

Terzani ebbe poi altre notizie sulle zone occupate dai Khmer, ma “come crederci?”, si diceva. “Neppure il fatto che di tutti i colleghi che avevano raggiunto le forze guerrigliere, nessuno era tornato a raccontare come fossero in realtà i khmer rossi, fu sufficiente a farmi anche solo sospettare che ci fosse qualcosa di spaventoso al di là delle linee. Dall’inizio della guerra, nel 1970, ben 33 giornalisti erano scomparsi nelle zone tenute dai Khmer rossi: un prezzo altissimo pagato alla ricerca della verità”.

Ricerca che invece non riguardava i giornalisti italiani, che nella quasi totalità raccontavano la stessa storia. In una memorabile intervista con Walter Tobagi, Giorgio Bocca ammise: “andai quattro volte in Vietnam e feci dei servizi che piacquero alla sinistra italiana: in parte perché raccontavo la verità sulla formidabile guerriglia vietnamita, in parte perché mi autocensuravo”. Tobagi chiede ancora: “Vuoi dire che tacevi alcuni aspetti della situazione vietnamita?”. Bocca: “Succedeva questo: la mitizzazione della rivolta vietnamita e la demonizzazione degli americani erano giunte a un tale livello che non era possibile raccontare una verità che avesse però il marchio di informazione Usa”.

Questo era il famoso “giornalismo obiettivo”, la crema del giornalismo italiano. Ma torniamo a Terzani. Due anni dopo, nel 1975, i Khmer hanno vinto. Al confine con la Thailandia arrivano “ondate di profughi” che riferiscono “storie di massacri e di fosse comuni”, atrocità pazzesche. Ma ancora una volta il grande inviato Terzani si chiede: “come crederci? Sembrava una parodia delle selezioni naziste di ebrei nei campi di sterminio”.

Ci volle del tempo perché Terzani si arrendesse all’evidenza dei fatti e delle testimonianze. “A poco a poco mi resi conto che quello che i profughi mi dicevano erano solo i dettagli di un grandioso piano dell’orrore… Quel piano lo capii nella sua totalità solo col tempo”. Ora, nel 1985, Terzani finalmente ne scriveva affermando – giustamente – che quel genocidio non veniva dalla pazzia di Pol Pot: “i khmer rossi sono i figli ideologici di Mao Zedong”, l’altro mito dell’intelligentsia occidentale. I Khmer non hanno fatto che imitare Mao.

A quell’articolo di Terzani seguì solo la missiva di una lettrice, Fiorella Franceschini che ribatté: troppo comodo. Quella di Terzani gli appariva non una “onesta autoaccusa”, ma “un facile lavaggio di coscienza”. Concludeva amaramente: “chi risarcisce tutta quella generazione che credette ai rapporti giornalistici di chi era in prima fila?”. Parole vere. Per tutti questi motivi, caro Walter, temo sia problematico dire che Terzani – almeno in quel caso – abbia veramente “raccolto le parole e i sentimenti dei popoli e delle persone calpestate, vittime della violenza”.

Tuttavia bisogna riconoscere che in quell’articolo riparatorio del 1985 un paio di cose preziose e ancora attuali Terzani le aggiunse. Puntò il dito sulla nostra “Sinistra che ha sostenuto ideologicamente la guerriglia indocinese durante la guerra con gli Stati Uniti” e che “non ha preso posizione, non ha preso sul serio il fenomeno Pol Pot, non ha cercato di spiegarselo e lo ha liquidato come se si trattasse semplicemente di una folle deviazione”. Infine Terzani riferisce di un incontro con un vecchio leader Khmer, di nuovo impegnato nella guerriglia. Gli chiese cosa pensasse dei loro due milioni di vittime e quello sorridendo: “Finiamola di parlare del passato”.

La domanda di Terzani, datata 1985, è memorabile: “Davvero bisogna smettere di parlare del passato, visto che abbiamo cominciato soltanto da poco a discuterlo?”. Purtroppo la discussione sul comunismo abortì subito. Negli anni Ottanta perché sembrava “propaganda craxiana”. Poi dal 1989, crollato il Muro di Berlino, non sono stati messi all’indice i comunisti, ma gli anticomunisti che pensavano finalmente di poter parlare liberamente dell’orrore rosso. Sono stati considerati sciacalli e spernacchiati come fissati. Personalmente per aver mostrato in tv nel 2002 i teschi del “museo dell’orrore” che c’è in Cambogia sono stato “linciato” sui giornali. Sarebbe stato bello essere difesi da Terzani, ma non è accaduto.
Tu, caro Walter, sei una persona che sa ascoltare e hai saputo dire coraggiosamente certe verità scomode sul comunismo (prendendoti qualche randellata). Tu sogni e prefiguri una Sinistra diversa. Perché allora non cominciamo a fare una grande operazione-verità?

Fonte: © Libero – 23 dicembre 2006

Print Friendly, PDF & Email