Ormai davvero tante personalità del mondo laico, negli ultimi giorni della vita, maturano la scelta di riavvicinarsi alla Chiesa. Spesso prendendo i sacramenti, altre volte con gesti e segni che indicano una forte propensione del cuore verso Dio (poi nessuno può scrutare nelle coscienze dove l’anima parla al Padre). Anche negli ultimi tempi famosi giornalisti, artisti, politici…

Noi cattolici ne parliamo, anche sui giornali. Ma spesso sui mass media laici, superficialmente, prendono le nostre considerazioni come fossero trionfalistiche rivendicazione di vittoria. Al contrario non è così e non può essere così. Se considerassimo la conversione finale di un uomo come la conferma che in punto di morte si è arreso e “ha dato ragione a noi” saremmo i più sciocchi degli esseri umani. Ma soprattutto mostreremmo di non aver capito niente del cristianesimo.

Innanzitutto perché il cristianesimo non è un ragionamento di cui convincersi, né un partito a cui dar ragione, ma è la rivelazione gratuita di un amore appassionato e da noi immeritato. E non c’entriamo nulla noi se e quando Dio decide di mostrare a un’anima la bellezza del Suo Amore. In secondo luogo noi non siamo nella condizione di ritenere Dio una nostra proprietà, ma semmai in quella dei mendicanti che ogni giorno devono chiedere di poter perseverare nella fede e morire cristianamente come quei fratelli.

Siamo stati amati da Cristo così come siamo e siamo stati scelti senza alcun nostro merito. Dobbiamo sempre ricordare che tante persone, molto migliori di noi, non conoscono ancora l’Amore di Dio. Noi possiamo solo ringraziare continuamente il cielo per “averci creato e fatti cristiani”. Mi hanno sorpreso ed entusiasmato le prime due domande e risposte del Catechismo Maggiore di San Pio X. Sentite che bellezza:

D. Siete voi cristiano?
R. Sì, io sono cristiano per grazia di Dio
D. Perché dite voi: per grazia di Dio?
R. Io dico “per grazia di Dio” perché l’essere cristiano è un dono tutto gratuito di Dio, che noi non abbiamo potuto meritare.
Mi sembra splendido. Dunque l’unica cosa che tutti dobbiamo ricordare è quello che un giorno Gesù disse alla mistica polacca santa Faustina Kowalska:

“Desidero che i miei Sacerdoti annunzino questa mia grande misericordia per le anime peccatrici. Il peccatore non tema di avvicinarsi a Me. Anche se l’anima fosse come un cadavere in piena putrefazione, se umanamente non ci fosse più rimedio, non è così davanti a Dio. Le fiamme della misericordia mi consumano, desidero effonderla sulle anime degli uomini. Io sono tutto amore e misericordia. Un’anima che ha fiducia in Me è felice, perché Io stesso mi prendo cura di lei. Nessun peccatore, fosse pure un abisso di abiezione, mai esaurirà la mia misericordia, poiché più vi si attinge più aumenta. Figlia mia, non cessare di annunziare la mia misericordia, facendo questo darai refrigerio al mio Cuore consumato da fiamme di compassione per i peccatori. Quanto dolorosamente mi ferisce la mancanza di fiducia nella mia bontà! Per punire ho tutta l’eternità, adesso invece prolungo il tempo della misericordia per loro. Anche se i suoi peccati fossero neri come la notte, rivolgendosi alla mia misericordia, il peccatore mi glorifica e onora la mia Passione. Nell’ora della sua morte Io lo difenderò come la stessa mia gloria. Quando un’anima esalta la mia bontà, Satana trema davanti ad essa e fugge fin nel profondo dell’inferno. Il mio cuore soffre perché anche le anime consacrate ignorano la mia Misericordia e mi trattano con diffidenza. Quanto mi feriscono! Se non credete alle Mie parole, credete almeno alle Mie piaghe!”

SCIASCIA, PANNUNZIO, PERTINI…. E DIO

di Antonio Socci

Ma perché Dio imbarazza così l’establishment intellettuale? Perché si censura così la conversione di tanti laici negli ultimi giorni della vita o il loro interesse per la Chiesa? Prendiamo Leonardo Sciascia. Da tempo il suo “presunto agnosticismo” lasciava invece trasparire una profonda domanda religiosa, anche se la cosa disturbava “i suoi sponsor politici e culturali”. Poi la sua morte cristiana. E, come scrisse Vittorio Messori, “è stato un po’ penoso leggere, in tante cronache, i tentativi di giustificare – attribuendolo all’iniziativa autonoma e patetica di certe ‘donne di casa’ – quel crocifisso d’argento che lo scrittore nella bara teneva tra le mani. Fu invece lui a volerlo”.

Ebbene ieri il Corriere della sera lanciava una “rivelazione” a tutta pagina: “Sciascia, svelato l’ultimo enigma”. Si tratta dell’epitaffio che volle scolpito sulla sua tomba: “Ce ne ricorderemo, di questo pianeta” (citazione tratta da Rouget de l’Isle Adam). Il senso di una frase simile su una tomba per la verità appare già molto chiaro e ben poco “laico e agnostico”. Ma se ci fosse stato ancora un dubbio, lo ha dissolto l’appunto manoscritto conservato dalla famiglia dove Sciascia scrive: “Ho deciso di farmi scrivere sulla tomba qualcosa di meno personale e di più ameno, e precisamente questa frase di Rouget de l’Isle Adam: ‘Ce ne ricorderemo, di questo pianeta’. E così partecipo alla scommessa di Pascal e avverto che una certa attenzione questa terra, questa vita, la meritano”.

La scommessa di Pascal, l’importanza dell’esistenza terrena… Più eloquentemente e chiaramente cristiano non poteva essere. Eppure Matteo Collura, che firma il pezzo del Corriere e ha il merito di pubblicare questo frammento, non sembra avvedersi del senso della scelta di Sciascia. E arriva a scrivere che Sciascia era “così sobrio, riservato, così discreto da avere voluto i funerali in chiesa per non creare scandalo”.

I funerali in chiesa per non creare scandalo? E perché mai sarebbe stato scandaloso per Sciascia morire da laico? Viene quasi da sorridere. Sciascia era stato l’intellettuale laico e illuminista per eccellenza: lo scandalo semmai è stato precisamente il contrario, cioè morire da cristiano e nella Chiesa come ha scelto di fare. Scelta talmente “scandalosa” che la cultura laica ancora oggi non l’ha digerita e fa finta di niente. Come se convertirsi e morire da cristiano fosse cosa imbarazzante, cosa da mascherare, da negare. Una rimozione analoga è avvenuta per Mario Pannunzio di cui tanto si è parlato nei giorni scorsi per la polemica di Eugenio Scalfari contro Vittorio Feltri (che ha risposto per le rime). Scalfari da anni ritiene di essere l’erede morale del mitico fondatore e direttore del “Mondo”.

Si ha la sensazione che Scalfari coltivi una sua immagine di Pannunzio che probabilmente non corrisponde alla realtà. C’è per esempio un fatto – di importanza capitale – su cui si tende a sorvolare quando si decanta la sua laicità. Lo mise in rilievo sempre Messori scrivendo che “il direttore-fondatore del Mondo, bandiera del laicismo militante, volle morire chiedendo in extremis i sacramenti: cosa che si cercò poi di tenere nascosta”. I momenti finali della vita portano spesso una saggezza, un’illuminazione che nel frastuono dei giorni non c’è. Forse è quello che la Chiesa chiama “grazia”. Misericordia di Dio. D’altra parte non c’è bisogno di arrivare in punto di morte per avvertire il desiderio di Dio e percepire la sua presenza. Spesso accade incontrando degli uomini di Dio, che ne portano la luce nel volto.

Accadde qualcosa probabilmente anche a Sandro Pertini per l’amicizia con Karol Wojtyla. Il presidente, laico a 24 carati e pure lui amico di Scalfari, nutriva un affetto e una stima particolari per il papa polacco che lo ricambiava calorosamente. Ma c’è un episodio particolarmente commovente che ora viene alla luce perché è raccontato dal fotografo del Papa, Arturo Mari in un suo volume di ricordi che in Polonia ha avuto una grande diffusione. Sta uscendo ora in edizione italiana, s’intitola “Arrivederci in Paradiso”. Ieri questa pagina è stata letta a Radio Maria dal mitico suo direttore padre Livio Fanzaga nella seguitissima rassegna stampa. Il libro contiene la prefazione del cardinale Stanislaw Dziwisz, già segreterio del Papa.

Mari innanzitutto ricorda la prima visita ufficiale di Pertini in Vaticano e quello sguardo inconfondinile di Karol Wojtyla “dritto negli occhi” del vecchio partigiano socialista. Secondo Mari da quell’incontro “il presidente cambia dalla notte al giorno. Da quel momento, ogni settimana prende il telefono e chiama il Papa, il suo ‘amico’. E parlano a lungo”.

Poi un giorno c’è un viaggio improvviso, di quelli a cui Wojtyla aveva abituato i suoi stretti collaboratori. Mari viene chiamato dal segretario del Papa, don Stanislao. Subito in elicottero. Il Santo Padre va a Castelporziano in visita al Presidente che, appena atterrano, gli va incontro. I due restano a lungo da soli, parlano, fanno una passeggiata insieme. Alla fine della serata “Pertini accompagna il Papa all’elicottero. Vediamo che parlano, Pertini sembra molto emozionato e, in effetti, a un certo punto il Presidente dice: ‘Santo Padre, qualcuno in questo momento sta piangendo lassù, nel cielo. E’ la mia mamma. Lei vede questo suo figlio ateo vicino al suo grande amico, il Papa’. Detto questo” secondo il racconto di Mari “cade in ginocchio e scoppia in lacrime”.

E’ una scena che lascia stupiti. Lo stesso intervistatore del fotografo commenta: “Inverosimile”. Ma Mari riprende: “Hai ragione è inverosimile, ma del tutto documentato. Noi non abbiamo sentito tutto il colloquio, ma le parole dette sulla ‘mamma che piange nel cielo per suo figlio ateo’ bastano per capire come il Presidente abbia aperto il cuore alla religione. Abbiamo assistito all’intensissimo legame che li univa: il Presidente della Repubblica che piangeva e il Santo Padre, molto più giovane di lui, che lo guardava e con la sua dolcezza lo rincuorava come il figlio prodigo. Con amore di padre l’ha sorretto, l’ha aiutato ad alzarsi e lo ha stretto al petto”. Questo il racconto di Mari. Non sapremmo dire se il suo ricordo è preciso in tutti i particolari. Dobbiamo dire che su un altro episodio, legato alla morte di Pertini, la sua versione è stata radicalmente contestata dalla Fondazione Pertini che ha ricordato anche la precisa e severa contestazione della signora Carla Voltolina, moglie del Presidente.

In tutta questa controversia la cosa certa – la stessa Signora Voltolina lo ricordava e ne era fiera – è l’autentica amicizia che legò il Presidente a papa Wojtyla, un’amicizia in cui Pertini esprimeva il meglio della sua umanità e probabilmente le sue domande più profonde. Credo sia giusto non spingersi oltre essendo noi all’oscuro dei fatti e anche di ciò che accade nelle coscienze. In questo caso dunque non ci sono scelte che possono far parlare di conversione, come nei casi precedenti. Ma quell’amicizia affettuosa fa pensare alle parole di René Bazin: “Anche i non credenti hanno tal bisogno di santità che corrono ad essa appena in qualche modo si manifesti”.

Nei confronti di Giovanni Paolo II sono stati tanti i laici che hanno avvertito un fascino profondo e indecifrabile. Il resto è mistero. Perché censurare tutto questo?

Da “Libero” 6 settembre 2007