Per chi suona la campagna (referendaria)? Di sicuro le urne rischiano di essere funerarie (politicamente) per referen-Dario Franceschini che è davanti a un’alternativa tragica: perdere la faccia o perdere la poltrona (e tutto il resto).

La scelta non è entusiasmante. Fin dall’inizio infatti il Pd è stato favorevole al referendum elettorale del 21 giugno (ci sono suoi dirigenti nel comitato promotore), ma ora che si è schierato per il sì anche Berlusconi, ora che la vittoria del referendum promette al Pdl da solo, senza Lega, di prendersi il 55 per cento dei seggi, il Pd è terrorizzato. Dovrebbe mettersi a fare opposizione a se stesso, disdicendo la posizione già decisa?

Un altro caso stupefacente è quello di Antonio Di Pietro. Una foto del 24 luglio 2007 lo immortala, trionfante, accanto a Giovanni Guzzetta, Mario Segni e Arturo Parisi, nell’atto di consegnare le firme del referendum alla Cassazione. Ancora il 2 maggio scorso, con toni drammatici, avvertiva il Paese che se non passa il Sì al referendum “la democrazia è già morta”.
Sono trascorsi appena 11 giorni e Di Pietro fa accoratamente sapere al Paese che, al contrario di quanto proclamato fino al giorno prima, è la vittoria del Sì al referendum che “finirebbe per uccidere la democrazia”.

Può sembrare uno scherzo, invece è tutto vero. Naturalmente il decesso della democrazia non è alle viste.
A morire semmai è stato il senso del ridicolo. Perché? E’ accaduto che Franceschini e Berlusconi si sono schierati a favore del referendum e tanto è bastato a Di Pietro per capovolgere le sue granitiche convinzioni sul referendum e sulla sorte della democrazia. E dire che Di Pietro e la sua Idv avevano addirittura partecipato alla raccolta delle firme. Tonino a quel tempo annunciava: “il sì al referendum favorirà il superamento della porcata di Calderoli”. Ma oggi, dopo il conseguimento del numero di firme richiesto e ottenuta l’indizione della consultazone per il 21 giugno, lancia l’allarme opposto: “Il sì al referendum elettorale consegna definitivamente tutta l’Italia al ducetto Berlusconi”.
Come faranno ora i dirigenti e i militanti dell’Italia dei valori, che sono andati in giro per l’Italia a raccogliere le firme, a tornare nelle stesse piazze e a scongiurare gli elettori di votare no?

Forse Di Pietro non si era reso conto che quel referendum avrebbe spazzato via i partitini come il suo e avrebbe dato tutto in mano a due grandi partiti, il vincente dei quali si prendeva la maggioranza assoluta?
In realtà Di Pietro lo sapeva benissimo, anzi si vantava di lavorare proprio per la sparizione dei partitini come il suo: “voglio fare gli interessi del Paese”, diceva.
Poi aggiungeva: “per noi la partecipazione al referendum significa mettere in gioco la nostra stessa esistenza. Anzi, andare oltre la nostra esistenza. I piccoli partiti devono fare raggruppamento. Noi vogliamo tirarci fuori dalla logica dell’interdizione”. E ancora: “vogliamo un sistema bipolare vero: con due blocchi… Con il raggiungimento delle 500 mila firme per il referendum ci penseranno i cittadini a ridurre il numero dei partiti”.
Infine: “oggi i partiti devono guardare oltre se stessi, abbandonare la politica del ricatto che serve a mantenere la propria nicchia… Il referendum è l’unico strumento democratico, come nel ’93, per dare una spallata al sistema politico”.
Un’ultima pennellata: “da parte dei cittadini c’è scoramento, scollamento, apatia, indifferenza, disprezzo. A tutto questo non ci può essere che una via d’uscita democratica: il referendum elettorale. Cambia le carte in tavola. E’ un’arma democratica”.

E quando qualcuno paventava il rischio che un partito prenda il 55 per cento dei seggi avendo solo una maggioranza relativa, Di Pietro incurante rispondeva (ancora il 2 maggio scorso): “E’ un rischio che va affrontato”.
Ora invece tuona: indietro tutta. Secondo Mariotto Segni, l’ex piemme ha capovolto le posizioni per mera convenienza tattica: “il sì di Franceschini ha spinto il leader dell’Idv a smarcarsi: si è smarcato col no perché pensa così di fregare voti al Pd”.

In ogni caso non è un bello spettacolo. E il plurievocato Roberto Calderoli, autore del cosiddetto “porcellum”, la legge elettorale che si vuole modificare? Ha passato queste settimane a rilasciare allarmanti certificati medici. Giorni fa dichiarò sobriamente: “chi nel Pd e nell’Idv è per il referendum è da trattamento sanitario obbligatorio”.
L’altroieri ha aggiunto che se Berlusconi intende “guidare il fronte del sì” al referendum, allora “è matto”. Perché la Lega farebbe la crisi di governo e andremmo alle elezioni anticipate.
Il partito di Bossi vede infatti come la peste uno scenario in cui il Pdl da solo può ottenere un premio di maggioranza che lo porta al 55 per cento. Ritengono che sarebbe la fine della Lega. Più precisamente sarebbe la fine del potere di ricatto dei partitini che hanno una rendita di posizione e un’influenza ben superiore al loro peso elettorale.

Quello che Calderoli finge di non sapere lo ha illustrato Guzzetta e ha dell’incredibile (speriamo non venga a saperlo anche Bossi): già oggi questa “fine” è possibile. Spiega Guzzetta: “andatevi a vedere l’attuale legge e scoprirete che il meccanismo c’è già. Berlusconi se riterrà di farcela da solo a ottenere più degli altri, e sicuramente ce la farà, potrebbe giovarsene già adesso di questo premio alla lista. La legge dice infatti che il premio di maggioranza va ‘alla lista o alla coalizione’. Noi vogliamo abolire quel ‘o alla coalizione’ ”.
A questo punto siamo al surreale. Praticamente già oggi il Pdl o il Pd potrebbero presentarsi da soli e ottenere il premio di maggioranza per la lista. Grazie alla legge Calderoli. Votata dalla Lega e anche dall’Udc. Per questo fa sorridere anche l’opposizione al referendum di Casini che tuona contro i sì al referendum: “faranno di Berlusconi l’imperatore d’Italia”.
No, ci ha già pensato Casini, quando, polemizza Mariotto Segni, “ha politicamente avallato il porcellum” (del resto l’Udc candida alle europee quel Gianni Rivera che sta nel comitato promotore del referendum: anche lui vuole Berlusconi imperatore?).

Pure per i radicali che oggi hanno varato il comitato per il “no”, c’è qualcosa da dire: “hanno aiutato noi a raccogliere le firme”, dice Guzzetta. Ci sono in effetti fra i promotori del referendum degli esponenti radicali, ma non Bonino e Pannella che oggi schierano il loro partito col “no”.
Anche un intellettuale come Michele Ainis, di cultura radicale, che era il numero 3 del comitato promotore, ora annuncia sulla Stampa: “voterò no”. Come si vede il referendum ha fatto emergere davanti a tutti il teatro dell’assurdo che è la politica italiana. Ma c’è un ultimo tocco di assurdo che riguarda anche l’esito del referendum stesso.
Segni infatti dichiara: “Con il nostro referendum nulla cambia nell’assegnazione dei seggi rispetto al porcellum”. Nulla cambia? E’ uno scherzo? Segni invita a fare una simulazione con i numeri dell’ultimo sondaggio dove il Pdl era al 40 per cento e il Pd al 26,5. Cosa ne viene fuori? Secondo Segni “con il porcellum il Pdl alla Camera avrebbe 331 seggi e con la legge referendaria gli stessi 331. Il Pd ne avrebbe 156, sia con la legge Calderoli che con quella che uscirebbe dalle urne il 21 giugno”. Mariotto conclude: “chi straparla di incoronazione dell’imperatore, dovrebbe perciò chiedere scusa agli italiani”.
Va bene. Però a questo punto – se “con il nostro referendum nulla cambia” – non si capisce più che senso ha votare (oltretutto il meccanismo del premio al partito singolo, anziché alla coalizione, come si è visto, è già possibile oggi con la legge Calderoli).
Sarà bene che Guzzetta spieghi meglio lo scenario che si prospetta, perché quello delineato da Segni, oltre ad essere controproducente per i referendari, potrebbe pure essere sbagliato. In ogni caso tutto questo teatrino è esilarante.

Fonte: © Libero – 16 maggio 2009

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